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18 Dicembre 2025
16:30

Autovelox, la lista nazionale è online, ma tra omologazioni mancanti e dati incompleti restano problemi

I dati sugli autovelox mostrano dove sono i dispositivi, chi li fornisce e come si distribuisce il mercato, tra informazioni incomplete, aggiornamenti continui e il nodo irrisolto dell’omologazione.

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Autovelox, la lista nazionale è online, ma tra omologazioni mancanti e dati incompleti restano problemi
autovelox

Per la prima volta in Italia esiste un dataset pubblico e nazionale sugli autovelox. Il registro pubblicato il 28 novembre 2025 nasce dall’applicazione delle disposizioni del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che hanno imposto agli enti locali l’obbligo di comunicare e censire i dispositivi di rilevamento della velocità su una piattaforma centralizzata. Fino a quel momento le informazioni erano frammentate, spesso non accessibili e difficili da verificare: è dello scorso anno la polemica sul numero di autovelox in Italia – si parlava addirittura di 11.000 dispositivi di rilevamento. Oggi, invece, l’infrastruttura del controllo della velocità è visibile. E inoltre, sempre da decreto ministeriale, i comuni sono obbligati a spegnere gli autovelox non inseriti nella lista.

Un database "sporco" che non ha un registro ancora definitivo

Nonostante sia stato fatto un passo avanti in termini di trasparenza il dataset è in continuo aggiornamento: i comuni inseriscono informazioni progressivamente, correggono errori, aggiungono dispositivi. Non esiste una versione finale del registro, ma solo una fotografia aggiornata a una certa data. L’ultima da cui abbiamo estratto i dati è stata scattata il 15/12/2025 e riporta 3807 dispositivi censiti.

Oltre a essere instabile, il dataset è molto sporco. Le marche degli autovelox compaiono in decine di varianti diverse, spesso con errori, abbreviazioni o forme giuridiche non uniformi. In molti casi modelli, descrizioni tecniche e modalità operative sono inseriti nello stesso campo. Alcune voci riportano testi descrittivi al posto di categorie standard. Prima di qualunque analisi, quindi, è stato necessario un lavoro di pulizia per distinguere marchi, modelli e enti che hanno installato gli autovelox.

Cosa misura il dataset

Il dataset fotografa dove sono collocati i dispositivi, chi li gestisce e come sono distribuiti sul territorio. La mappa che ne emerge non è uniforme e mostra una chiara asimmetria geografica, con una maggiore concentrazione di autovelox nel Centro-Nord e una presenza più ridotta al Sud.

I dati del censimento registrano i dati per ente e per codice catastale del comune, ma alcuni sono gestiti dalla polizia provinciale mentre altri dalla locale. Abbiamo deciso quindi di dividerli per ente. Alcuni concentrano un numero elevato di dispositivi, mentre molti altri ne hanno pochi o nessuno. In testa c’è la Polizia di Roma Capitale, con 43 autovelox censiti, seguita dalla Polizia Metropolitana della Città Metropolitana di Milano (29) e dal Corpo di Polizia Locale del Comune di Genova (27).

Subito dopo compaiono ancora grandi aree urbane e strutture sovracomunali: la Polizia Locale della Città Metropolitana di Roma (26), la Provincia di Alessandria e la Polizia Municipale di Venezia (entrambe 24), la Polizia Municipale di Firenze (23), la Polizia Provinciale di Brescia e la Polizia Locale del Comune di Milano (22 ciascuna).

Alcune aree risultano invece scarsamente rappresentate: in Sardegna, ad esempio, compaiono solo pochi enti censiti, Polizia locale di Sassari con 8 dispositivi e i comuni di Nuoro e Iglesias con un solo dispositivo a testa, mentre Napoli risulta avere un solo dispositivo  nel database alla data dell’ultima estrazione.

Chi controlla il mercato degli autovelox

Il dataset consente di osservare anche la struttura del mercato dei fornitori di autovelox, mostrando una concentrazione significativa. Dopo un lavoro di uniformazione delle denominazioni — necessario per ricondurre a un’unica voce marchi indicati in modo incoerente o errato — emerge un quadro piuttosto netto: Eltraff domina il mercato, con circa il 39% dei dispositivi censiti. Seguono Sodi Scientifica, con il 17%, ed Engine, con il 12%.

Nel loro insieme, i primi tre operatori superano il 65% del totale, mentre la parte restante del mercato è frammentata tra numerosi fornitori minori, spesso presenti con pochi dispositivi ciascuno. Non si tratta di un monopolio in senso formale, ma di un settore fortemente concentrato, in cui un numero ristretto di aziende fornisce la maggior parte delle tecnologie utilizzate dagli enti pubblici.

La ricorrenza degli stessi marchi in contesti amministrativi e geografici molto diversi indica una forte standardizzazione delle soluzioni adottate, che contribuisce a spiegare perché il mercato degli autovelox appaia poco frammentato, pur in assenza di un unico attore dominante.

Il problema dell’omologazione

Il censimento nazionale segna una svolta in termini di trasparenza, ma non chiude tutte le questioni aperte. Dal 28 novembre 2025 solo i dispositivi censiti possono operare legittimamente: quelli fuori elenco devono essere disattivati e le multe emesse risultano contestabili. Questo passaggio ha già un impatto diretto sul contenzioso.

Resta però aperto un nodo più profondo, quello dell’omologazione. Nel 2024, con l’ordinanza n. 10505, e poi con la n. 26521 del 1° ottobre 2025, la Corte di Cassazione ha annullato diverse sanzioni rilevate da dispositivi “approvati” ma non espressamente “omologati”, riaccendendo il dibattito su una distinzione che da anni crea incertezza.

Il Ministero dei trasporti è intervenuto sul punto con una lettera ufficiale del 21 novembre 2025, chiarendo la propria posizione: secondo il Mit, alla luce dell’articolo 192 del Regolamento del Codice della Strada, omologazione e approvazione sono procedure alternative, entrambe idonee a legittimare l’uso degli strumenti, come avvenuto nella prassi amministrativa degli ultimi decenni.

Questa divergenza tra lettura ministeriale e orientamenti giurisprudenziali non è stata ancora del tutto ricomposta e rischia di alimentare nuovi ricorsi. In questo contesto, il censimento non elimina il contenzioso, ma lo rende più visibile e documentabile, introducendo al tempo stesso nuove responsabilità per gli enti locali, chiamati ad aggiornare i dati e a garantire che solo i dispositivi regolarmente registrati restino in funzione.

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