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Giovanni Falcone, nato a Palermo nel 1939, è stato un magistrato italiano impegnato nelle indagini su Cosa nostra ucciso nel 1992 nella strage di Capaci. Simbolo della lotta contro la mafia, Falcone introdusse nuovi metodi investigativi e, per alcune indagini, coordinò le sue attività con quelle dei giudici statunitensi. Fece parte del pool antimafia, costituito al tribunale di Palermo nel 1983, e tre anni più tardi insieme a Paolo Borsellino scrisse l’ordinanza di rinvio a giudizio per il maxiprocesso contro Cosa nostra, basato sulle dichiarazioni che gli aveva rilasciato il pentito Tommaso Buscetta. La mafia, guidata dai corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano, cercò di eliminare Falcone per la prima volta nel 1989, senza riuscirci. Nel 1992 organizzò un altro attentato, passato alla storia come strage di Capaci, che si concluse con la morte del magistrato e di altre quattro persone. Oggi Falcone è considerato un eroe, ma quando era in vita era criticato da una parte della classe dirigente e dei suoi stessi colleghi.
La gioventù di Giovanni Falcone
Giovanni Falcone nacque a Palermo, nel quartiere della Kalsa, il 18 maggio 1939 da una famiglia benestante. Frequentò le scuole nel capoluogo siciliano e da adolescente, nell’oratorio nel quale praticava attività sportive, incontrò per la prima volta Paolo Borsellino, che sarebbe diventato suo collega e amico. Inoltre, assistette al sacco di Palermo (un’enorme speculazione edilizia gestita dalla mafia con il sostegno della classe politica) che negli anni '50 e '60 stravolse il volto della città. Nel 1957 Falcone si iscrisse all’Accademia navale di Livorno, ma la lasciò dopo soli quattro mesi per tornare a Palermo e iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza.

Laureatosi nel 1961, tre anni più tardi sostenne con successo il concorso in magistratura e convolò a nozze con la fidanzata, Rita Bonnici.
L’inizio della carriera in magistratura di Giovanni Falcone
Nel 1965 Falcone, appena ventiseienne, iniziò la carriera di magistrato assumendo l’incarico di pretore di Lentini; l’anno successivo fu trasferito al tribunale di Trapani, presso il quale prestò servizio per dodici anni. Nel 1978 si trasferì al tribunale Palermo dove il contesto era molto difficile: Cosa nostra era in una fase di crescita, perché gestiva enormi traffici di cocaina non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti. Stava emergendo la cosca corleonese, guidata da Totò Riina, che di lì a poco avrebbe eliminato tutti i rivali e preso il controllo della “cupola”. Falcone iniziò a occuparsi di mafia nel processo contro il costruttore Rosario Spatola e introdusse nuovi metodi investigativi, basati sulle indagini bancarie, intuendo che per contrastare gli affari di Cosa nostra doveva “inseguire” le tracce finanziarie lasciate dai mafiosi. I suoi metodi suscitarono alcune critiche, ma garantirono risultati importanti. Nello stesso periodo, Falcone divorziò da Rita Bonnici e intraprese una relazione con la collega Francesca Morvillo, che nel 1986 sarebbe diventata la sua seconda moglie.
Il pool antimafia e il maxiprocesso
Nei primi anni '80 la cosca corleonese prese il sopravvento all’interno di Cosa nostra e inaugurò una stagione di stragi, eliminando i mafiosi rivali e numerosi personaggi eccellenti, tra i quali il capo dell’ufficio istruzione di Palermo, Rocco Chinnici. Prima di morire, Chinnici aveva deciso di creare un pool di magistrati antimafia: insieme a Falcone, ne facevano parte Paolo Borsellino e altri magistrati. A coordinare il gruppo, dopo la morte di Chinnici, giunse Antonino Caponnetto.

Il risultato più importante ottenuto da Falcone fu il pentimento di Tommaso Buscetta – un boss appartenente alla fazione sconfitta della mafia – che gli raccontò nel dettaglio come funzionava Cosa nostra. Grazie alle dichiarazioni di Buscetta e di altri pentiti, nel 1986 poté avere luogo il maxiprocesso, cioè il processo a ben 475 mafiosi (in parte processati in contumacia). Falcone e Borsellino scrissero l’ordinanza di rinvio a giudizio degli imputati e il processo si concluse con numerose condanne (che nel 1992 saranno in larga parte confermate dalla Cassazione). Il maxiprocesso rappresentò una svolta fondamentale nella lotta alla mafia: di conseguenza, per i mafiosi Falcone e Borsellino divennero i nemici principali.

Falcone contro la mafia: le critiche, l’Addaura, il trasferimento a Roma
Falcone godeva del sostegno di gran parte dell’opinione pubblica, ma i suoi metodi investigativi suscitavano anche alcune critiche nell’ambito della magistratura e del mondo politico-intellettuale. Nel 1987 si candidò all’incarico di capo dell’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, cioè a prendere il posto di Caponnetto, ma il Consiglio superiore della Magistratura elesse un altro candidato, Antonino Meli.
La mafia non dimenticò Falcone e nel 1989 organizzò un attentato dinamitardo, collocando una bomba nei pressi di una casa che il giudice aveva affittato per il periodo estivo, nella località nota come Addaura. La bomba, però, non esplose, forse per un malfunzionamento del detonatore (la vicenda non ha mai smesso di suscitare dubbi). Nonostante l’attentato, Falcone continuò a indagare sui delitti e sugli affari della mafia fin quando, nel 1991, il Ministro di grazia e giustizia, Claudio Martelli, lo chiamò a Roma a dirigere l’ufficio Affari penali del ministero.

La strage di Capaci e il mito di Falcone
Nel 1992 la mafia assassinò Falcone nel corso di una visita in Sicilia. Cosa nostra sapeva che il magistrato poteva danneggiare i suoi affari anche da Roma e decise di eliminarlo con una bomba: il 23 maggio un gruppo di mafiosi, capeggiato da Giovanni Brusca, collocò una potente carica di esplosivo sotto l’autostrada A29 Palermo-Mazara del Vallo, nei pressi dello svincolo di Capaci, dove sapeva che il giudice sarebbe passato. Falcone, atterrato poco prima all’aeroporto di Punta Raisi, era personalmente alla guida della Fiat Croma che avrebbe dovuto condurlo a Palermo. Quando l’auto, seguita da una vettura di scorta, passò presso lo svincolo di Capaci, Brusca fece detonare l’esplosivo, uccidendo Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, vennero feriti anche i restanti agenti della scorta e alcuni automobilisti di passaggio. Meno di due mesi dopo, il 19 luglio, la mafia eliminò anche Paolo Borsellino.
La morte dei due magistrati provocò una reazione dello Stato, che nei mesi seguenti inflisse duri colpi a Cosa nostra, pur non riuscendo a sconfiggerla. Oggi Falcone, insieme a Borsellino, è considerato un eroe della lotta alla criminalità organizzata.