

“Toxic” è una serie che racconta le esperienze di chi ha vissuto in prima persona l’abuso di sostanze, e in questo episodio è la volta di Ivana. Oggi 28enne, studentessa di Medicina e maratoneta, la sua storia ci porta a riflettere sul dolore, le radici, la sofferenza e il lungo cammino verso la guarigione. Un cammino che non è stato mai semplice, ma che oggi la vede più forte che mai.
Ivana nasce ad Arezzo, figlia di una madre ugandese e di un padre italiano, entrambi medici. Cresce in un ambiente tranquillo, ma con una famiglia impegnata professionalmente, tanto che la sua figura di riferimento principale è la nonna ugandese, che le trasmette l’amore per la cultura africana, i colori e la musica. Nonostante la serenità apparente, Ivana avverte una mancanza affettiva: i genitori sono spesso lontani a causa del lavoro e lei cresce in gran parte con la nonna.
Durante le scuole elementari, è una bambina curiosa e piena di sogni, ma le cose iniziano a cambiare alle medie. Ivana si sente sempre più isolata, come se non appartenesse a nulla. Non riusciva a legare con i suoi compagni, e l’inadeguatezza cominciò a radicarsi in lei, soprattutto a causa delle sue origini. Gli episodi di razzismo si intensificarono, tra cui quello che più le rimase impresso: un ragazzino che derideva una collana di perline che le ricordava l’Africa, chiamandola "collare di cane". Questi eventi la portarono a rinchiudersi sempre di più in se stessa.
A questo punto della sua vita, Ivana cominciò a cercare delle vie di fuga per alleggerire il peso che sentiva dentro. L’alcol fu la sua prima risposta. Una volta, in casa, aprì un armadietto e prese il primo liquore che trovò, sentendosi subito "leggera" e "senza preoccupazioni". Da quel momento, l’alcol divenne un compagno costante nelle sue giornate, anche mentre andava a scuola, dove spesso si presentava un po’ brilla, ma riusciva comunque a ottenere buoni voti. Tuttavia, l’alcol non bastò più a placare il suo dolore.
Il disagio che Ivana provava nella sua vita quotidiana la spingeva a cercare soluzioni sempre più forti. Durante il liceo, iniziò a rubare farmaci dal cabinetto della madre, medico, e ad assumere oppiacei come morfina e fentanyl. Questi farmaci diventano la sua risposta al dolore, sia fisico che psicologico. Ivana si sentiva finalmente "libera", come se la sua sofferenza fosse anestetizzata dalla sostanza. Ma le crisi d’astinenza divennero sempre più forti e le costringeva a usare sempre più frequentemente i farmaci per non soffrire.
Le difficoltà della sua vita la portarono a un punto di rottura: i suoi genitori, preoccupati, decisero di mandarla in Uganda, nel tentativo di farle ritrovare le radici e guarire il suo dolore. Lì, tuttavia, Ivana si trovò ad affrontare una tragedia che segnò ancora più profondamente il suo cuore: durante una rapina, il suo zio venne ucciso e lei stessa fu ferita gravemente. In quel momento di devastazione, Ivana toccò con mano la durezza degli ospedali africani e, nonostante fosse in crisi d’astinenza, fu costretta a lottare con il suo dolore. La sua dipendenza da farmaci, però, non si fermò nemmeno in Africa, dove la possibilità di acquistarli senza prescrizione la portò a un’ulteriore escalation della dipendenza.
Dopo l’esperienza in Africa, Ivana tornò in Italia, ma la sua vita non migliorò. Le sostanze continuarono a controllarla, fino a che non si rifugiò in un appartamento isolato, dove trascorse due anni e mezzo in un ciclo di dipendenza, dormendo e consumando costantemente alcol e farmaci. In quel periodo, Ivana si sentiva come se fosse "morta dentro", incapace di vedere un futuro.
Il momento di svolta arrivò quando sua nonna, con un amore incondizionato e una determinazione feroce, decise di intervenire. A 80 anni, lasciò tutto per prendersi cura di Ivana, portandola in una clinica di disintossicazione a Verona e successivamente aiutandola ad entrare in una comunità di recupero. Fu grazie a questa figura di supporto che Ivana cominciò a intraprendere il lungo cammino di guarigione.
In comunità, Ivana dovette affrontare se stessa e le sue fragilità. Lì, tra le persone che come lei avevano lottato contro la dipendenza, trovò il coraggio di aprirsi e condividere il suo passato. Non solo questo l’aiutò a superare il suo senso di solitudine, ma le fece anche scoprire una nuova passione: la corsa. Grazie all’allenatrice che incontrò in comunità, Ivana iniziò a correre, non come una competizione, ma come una forma di meditazione e di ascolto di sé stessa. La corsa divenne una delle sue più grandi conquiste, un simbolo di resilienza. Ivana corse la sua prima maratona a Verona, completandola con successo, e da quel momento non ha più smesso.
Il periodo trascorso in comunità non solo la guarì fisicamente, ma le permise anche di recuperare il sogno di diventare medico. In un ambiente dove l’ascolto e la cura reciproca erano fondamentali, Ivana riscoprì la bellezza della medicina, non solo come scienza, ma come arte dell’ascolto e della relazione. Dopo aver superato le difficoltà, riuscì a entrare a Medicina, dimostrando a sé stessa che il cambiamento era possibile.
Oggi Ivana è al secondo anno di Medicina, vive a Firenze e continua a inseguire il suo sogno. La sua storia è un esempio di come sia possibile uscire dalla dipendenza, nonostante la sofferenza e le difficoltà, grazie alla forza interiore, all’aiuto degli altri e alla determinazione nel perseguire i propri sogni. Ivana, che un tempo si sentiva invisibile e incapace di affrontare la vita, ora vive con un obiettivo chiaro: aiutare gli altri come lei è stata aiutata.
Se potesse parlare alla Ivana delle medie, quella che si sentiva rifiutata e fragile, le direbbe:
"Non aver paura di chiedere aiuto. Non c'è nulla di sbagliato nell'essere te stessa."
La sua storia dimostra che, quando ci si apre agli altri e si affrontano le proprie difficoltà, è possibile trovare una nuova strada e trasformare il dolore in una forza inarrestabile.