Mentre oggigiorno l'umanità sta studiando il modo di arrivare su Marte, cento anni fa non conosceva ancora enormi porzioni del Pianeta. Pensate che il polo sud geografico fu raggiunto per la prima volta solo nel 1911 dall'esploratore norvegese Roald Amundsen e il polo nord geografico (in mezzo all'oceano Artico) fu sorvolato ancora più tardi, nel 1926. La sua conquista fu ottenuta solamente grazie a un dirigibile italiano progettato e pilotato dall'ingegnere e militare Umberto Nobile accompagnato, tra gli altri, proprio dal celebre Amundsen.
Nel video presente in questo articolo vi raccontiamo la loro incredibile impresa e la terribile tragedia che accadde due anni più tardi, nel 1928, durante la seconda spedizione di scoperta del polo nord.
Qui di seguito, invece, ve ne riassumiamo i tratti salienti.
La sintesi dell'impresa
Tra fine ‘800 e inizio ‘900, varie spedizioni tentarono di raggiungere il Polo e alcune ci andarono molto vicine, come quelle via terra di Cook e Peary. Nei primi anni '20 Roald Amundsen provò a sorvolarlo con un idrovolante, ma senza successo. Comprese così che doveva cambiare approccio e la soluzione gli fu offerta da un italiano: il campano Umberto Nobile.
Il più grande successo del militare e ingegnere italiano era stata la realizzazione dell’N1, un dirigibile semirigido incredibile per la sua epoca: riempito da 18.000 metri cubi di idrogeno e azionato da tre motori, poteva toccare una velocità di più di 100 km/h. L’involucro dell’N1 era lungo 106 metri e alto quasi 19, come un palazzo di sei piani.
Amundsen e Nobile entrarono in contatto e decisero di provare l’impresa. Nobile riadattò per la traversata polare l’N1 che fu acquistato dall’Aero Club norvegese e ribattezzato Norge. Uno dei principali finanziatori dell’opera fu poi lo statunitense Lincoln Ellsworth che partecipò alla spedizione come terzo uomo di punta.
Il dirigibile partì dall’aeroporto di Roma Ciampino il 10 aprile 1926 con un equipaggio composto soprattutto di italiani e norvegesi. La loro convivenza non fu semplice. Nobile, Amundsen ed Ellsworth, infatti, non erano molto d'accordo rispetto a chi dovesse comandare: Ellsworth ci aveva messo i soldi, Nobile aveva progettato e pilotava il Norge e Amundsen era una leggenda dell’esplorazione estrema.
Nonostante disguidi e dissapori, il viaggio filò abbastanza liscio e il 12 maggio 1926, dopo aver percorso migliaia di chilometri, la spedizione raggiunse il Polo. L’umanità aveva appena fatto un altro piccolo passo in avanti nella conoscenza del Pianeta. Durante i festeggiamenti, i tre capitani fecero cadere dai finestrini della cabina le bandiere dei loro Stati. Nobile attese i lanci di Amundsen ed Ellsworth e poi gettò una bandiera grossa il doppio di quella dei compagni, che… Non la presero proprio benissimo.
Dopo qualche giorno in cui si perse il contatto radio col dirigibile e si temette il peggio, il Norge ricomparve in rotta verso l’Alaska e atterrò al villaggio di Teller il 14 maggio. Pensate che gli abitanti Inupiaq del posto, non avendo mai visto nulla di simile, inizialmente pensarono che si trattasse di una mostruosa e immensa foca o balena volante.
La stampa del periodo celebrò l’impresa impossibile di Amundsen e Nobile e quest’ultimo fu accolto in Italia con tutti gli onori del caso e promosso al grado di generale. Ma la storia non finisce qui.
Due anni dopo, infatti, il generale decise di riprovarci, stavolta come comandante di un nuovo dirigibile, l’Italia. Obiettivo: far scendere degli scienziati sul polo nord per studiarne la superficie e l’atmosfera. Le cose, però, non andarono come previsto. Anzitutto fu impossibile calare gli scienziati a terra per il maltempo. Inoltre, durante il ritorno, una tremenda tempesta e le manovre svolte per superarla provocarono la rapida discesa dell’Italia verso terra. La cabina di pilotaggio si scontrò violentemente col ghiaccio e sbalzò nove persone fuori dal dirigibile, tra cui Nobile, gravemente ferito. Altre sei persone, invece, furono trasportate chissà dove dall’Italia che, divenuto più leggero, riprese quota e svanì nel nulla.
I nove superstiti si trovarono così a dover sopravvivere in uno degli ambienti più ostili al mondo con solo un po’ di equipaggiamento caduto dall’Italia durante l’impatto. Si rifugiarono in una piccola tenda rossa e da subito provarono a chiamare i soccorsi via radio.
Ciò che avvenne dopo è una vera e propria epopea tragica. Sintetizzando, infatti, gli SOS vennero captati solo dopo parecchi giorni dall’impatto e le spedizioni internazionali di soccorso fallirono una dopo l’altra. D’altra parte, nessuno era mai arrivato fino a quel momento al polo a parte il Norge e l’Italia. Lo stesso Amundsen, venuto a sapere dell’incidente, mise da parte l’orgoglio e salì a bordo di un aereo per provare a salvare Nobile, suo ex compagno e rivale. Il mezzo, tuttavia, scomparve nel mare di Barents il 18 giugno 1928 consacrando l’esploratore norvegese alla leggenda.
Alla fine, ben 48 giorni dopo l’impatto, una nave rompighiaccio sovietica riuscì a raggiungere la tenda rossa e a trarre in salvo i superstiti. Ma Nobile, salvato in precedenza singolarmente da un aereo, dovette aspettare quasi vent’anni e la fine della seconda guerra mondiale per vedersi riabilitato e reintegrato nell’aeronautica: il prezzo che dovette pagare al polo nord.