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26 Ottobre 2025
6:00

L’AI può sostituirsi allo psicologo?

In generale, l'AI non va vista come un sostituto agli psicologi, ma in condizioni estreme o aree senza accesso alla sanità mentale, i chatbot “terapeutici” possono dare un supporto temporaneo, anche se sono meno efficaci della terapia classica. I chatbot “generici”, come ChatGPT, invece, presentano grossi rischi: hanno rafforzato comportamenti pericolosi, espresso pregiudizi e alimentato psicosi.

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L’AI può sostituirsi allo psicologo?
psicologo intelligenza artificiale

I chatbot di intelligenza artificiale possono davvero sostituire uno psicologo? Risposta breve: no, non è una buona idea sostituire il proprio psicologo con l’AI. Manca di empatia reale, non coglie segnali non verbali e non possiede la sensibilità necessaria per porre le domande giuste. Tuttavia, può fungere da “primo soccorso psicologico” quando non si ha accesso immediato a un professionista.

Nell’ultimo anno, diversi studi – come lo studio dell'Università di Stanford e del King's College – hanno affrontato questo problema da prospettive differenti. In contesti estremi, come zone di guerra o aree senza accesso alla sanità mentale, i chatbot progettati specificamente per la terapia possono offrire un supporto temporaneo. Tuttavia, i modelli linguistici generici (come ChatGPT, MetaAI, Gemini…) presentano rischi: in alcuni casi hanno rafforzato comportamenti pericolosi, mostrato atteggiamenti stigmatizzanti verso chi soffre di disturbi mentali e assecondato convinzioni deliranti degli utenti, alimentando psicosi.

Quello dei chatbot usati come supporto psicologico è un tema estremamente attuale. Con quasi un miliardo di utenti attivi, i chatbot basati su intelligenza artificiale sono ormai parte della nostra quotidianità. Sempre più persone, soprattutto giovani, li usano per parlare dei propri problemi emotivi e ricevere un sostegno psicologico. D’altronde, questi strumenti sembrano ideali: parlano come noi, sono sempre disponibili, non ci giudicano e ci danno risposte che appaiono oggettive.

Vediamo dunque più nel dettaglio i dati sul nostro utilizzo dei chatbot, le loro potenzialità e i rischi associati.

Quanto utilizziamo Chatgpt come un “amico psicologo”: i dati

Secondo il report di Sensor Tower, nell’ultimo anno le richieste fatte ai chatbot riguardo a temi di lifestyle (tra cui salute, alimentazione o consigli sulle relazioni sociali) sono aumentate di 12,6 punti percentuali rispetto al 2024, passando dal 22% a 34,6% delle richieste totali. Inoltre, 9 su 10 degli argomenti più ricercati rientrano nella categoria “lifestyle & entertainment”, con aumenti evidenti per benessere (+1,9% rispetto al 2024), politica (+1,7%) e relazioni (+0,6%). L’AI è diventata una sorta di “amico digitale” cui chiedere consigli su qualsiasi cosa, dalle diete ai problemi di coppia.

Questa tendenza è accentuata dalla carenza globale di professionisti della salute mentale, che lascia milioni di persone senza un adeguato supporto. In risposta, sono nate migliaia di app terapeutiche basate su AI, accessibili e spesso gratuite.

L’AI come supporto psicologico immediato

Quando l’accesso a uno psicologo è difficile o impossibile, i chatbot terapeutici possono offrire un valido aiuto. Uno studio condotto nel 2025 dall’Università di Kiev ha valutato l’efficacia di Friend, un chatbot progettato per fornire supporto psicologico in contesti di crisi. La ricerca ha coinvolto 104 donne ucraine che vivono in zone di guerra e soffrono di disturbi d’ansia. I risultati hanno confrontato due approcci: la terapia tradizionale (tre sessioni a settimana) e l’uso quotidiano del chatbot. Entrambi gli interventi hanno portato a un calo significativo dell’ansia: tra il 45-50% nel gruppo seguito da psicologi e tra il 30-35% in quello assistito dal chatbot.

Sebbene meno efficace rispetto alla psicoterapia classica, il chatbot si è rivelato uno strumento utile, rapido e accessibile, soprattutto in contesti d’emergenza o in cui le risorse umane scarseggiano. La terapia tradizionale resta superiore per profondità emotiva, capacità di adattamento e qualità della relazione, ma gli strumenti basati su AI possono comunque offrire un primo intervento immediato, capace di alleggerire il disagio e aiutare le persone a non sentirsi sole.

Naturalmente, questi benefici si riferiscono a strumenti progettati specificamente per finalità terapeutiche, non ai modelli generici come ChatGPT e Gemini, nati per scopi diversi. Quelli conviene usarli solo per mettere in ordine i propri pensieri, o non usarli affatto per fini terapeutici. Vediamo perchè.

I rischi: stigma, risposte inappropriate e psicosi

Un recente studio dell’università di Stanford ha evidenziato come i classici modelli di linguaggio, anche i più avanzati, possano fornire risposte inadeguate o dannose quando usati come psicologi. Secondo lo studio, i chatbot hanno mostrato atteggiamenti stigmatizzanti verso chi soffre di disturbi mentali e, in alcuni casi, hanno assecondato convinzioni deliranti degli utenti, probabilmente a causa della loro inclinazione a confermare qualsiasi affermazione ricevuta.

Un ulteriore campanello d’allarme arriva da uno studio preliminare del King’s College, pubblicato in pre-print nel luglio 2025, che indaga il legame tra l’uso di chatbot e l’insorgenza di episodi psicotici in persone vulnerabili. Lo studio deve ancora passare tutte le fasi di revisione, ma, secondo i dati raccolti, 17 individui hanno manifestato sintomi psicotici dopo interazioni con modelli come ChatGPT e Microsoft Copilot. Sebbene l’idea di una “psicosi indotta” dall’AI sia ancora un’ipotesi in fase di studio, il gruppo del King’s College suggerisce un possibile meccanismo alla base: un circolo vizioso di rinforzo reciproco, in cui il chatbot, rispondendo in modo coerente alle affermazioni dell’utente, finisce per consolidare convinzioni paranoiche o deliranti. Simulazioni condotte con livelli diversi di paranoia hanno mostrato come l’interazione tra utente e AI possa intensificare progressivamente la distorsione della realtà.

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