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18 Luglio 2022
16:51

La spiegazione delle prime immagini del James Webb Space Telescope

Il telescopio spaziale James Webb ha cominciato a fare scienza, e il suo esordio batte già svariati record. Che cosa mostrano le sue prime immagini, e perché sono importanti?

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La spiegazione delle prime immagini del James Webb Space Telescope
james webb prime immagini

Le abbiamo aspettate per mesi, e finalmente sono arrivate! Tra la sera dell’11 luglio e il pomeriggio del 12 luglio la NASA ha rilasciato cinque immagini destinate a fare la storia: le primissime immagini scientifiche del James Webb Space Telescope, il telescopio spaziale più grande e performante mai inviato nello spazio, lanciato il 25 dicembre 2021. Andiamo quindi a vedere le prime immagini ottenute grazie al telescopio James Webb, spiegandole una a una.

L’ammasso di galassie SMACS 0723

Il First Deep Field del telescopio spaziale James Webb.
Il First Deep Field del telescopio spaziale James Webb (credit: NASA, ESA, CSA, and STScI).

Il “debutto” di Webb è stato presentato in anteprima dal presidente USA Joe Biden e dall'amministratore della NASA Bill Nelson. Si tratta di un deep field, cioè di una immagine a lunga esposizione con lo scopo di catturare oggetti quanto più deboli e distanti possibile.

Quanto è lunga l'esposizione di questa immagine? Be', stiamo parlando di un collage di numerose immagini singole, il cui tempo di esposizione complessivo è di ben 12,5 ore! Questa lunga esposizione ha fatto emergere galassie distantissime, risalenti all'infanzia dell'universo. La luce della “macchiolina” più distante ha impiegato la bellezza di 13,1 miliardi di anni per arrivare a noi: è partita quando l'universo aveva soltanto 700 milioni di anni.

Il Webb's First Deep Field (così gli astronomi hanno deciso di chiamarla) è l'immagine più profonda mai realizzata in banda infrarossa!

Una curiosità su questa immagine: l'area di cielo occupata da questo tripudio di oggetti celesti è estesa quanto un granello di sabbia posto a un braccio di distanza dal nostro occhio. Un'area minuscola, abbastanza però per contenere migliaia di galassie, ciascuna con centinaia di miliardi di stelle e pianeti! Chissà quanta vita potrebbe, almeno in linea di principio, essere presente qui dentro…

Lo spettro dell’atmosfera di WASP-96 b

Lo spettro più dettagliato mai ottenuto dell'atmosfera di un pianeta extrasolare.
Lo spettro dell’atmosfera del gigante gassoso WASP–96 b. È l’analisi più dettagliata mai compiuta dell’atmosfera di un pianeta extrasolare (credit: NASA, ESA, CSA, and STScI).

La seconda immagine mostrata dalla NASA non è una foto, ma uno spettro. Che cos’è uno spettro? Spiegato in termini “pop”, è pressappoco quello che si ottiene quanto un prisma è attraversato da luce bianca: la disperde nelle varie lunghezze d’onda. Questo è lo spettro dell’atmosfera di un pianeta extrasolare chiamato WASP-96 b. Si trova a 1150 anni luce da noi ed è un gigante gassoso di dimensioni paragonabili a Giove.

Dal nostro punto di osservazione, il pianeta transita davanti al disco della sua stella madre. Ciò che ha fatto Webb è stato catturare, durante un transito, la porzione di luce della stella che ha attraversato l’atmosfera del pianeta. Nell’immagine potete vedere infatti come varia la quantità di luce osservata in funzione della lunghezza d’onda. Gli spettri danno informazioni sulla composizione chimica del corpo celeste che li produce.
Ogni atomo o molecola ha infatti la sua precisa “firma chimica” riconoscibile in uno spettro. Nell’immagine vediamo appunto le “firme chimiche” della molecola d’acqua: significa che c’è acqua nell’atmosfera di questo gigante gassoso!
Questo è lo spettro più dettagliato mai raccolto dell’atmosfera di un pianeta extrasolare.

La Nebulosa Anello del Sud

La Nebulosa Anello del Sud vista nel vicino infrarosso (sinistra) e nel medio infrarosso (destra).
A sinistra, la Nebulosa Anello del Sud vista nel vicino infrarosso; a destra, lo stesso oggetto ripreso nel medio infrarosso (credit: NASA, ESA, CSA, and STScI).

Questa è una nebulosa planetaria, cioè una stella con una massa comparabile a quella del Sole nelle ultime fasi della sua esistenza. Stelle di questo tipo, una volta diventate giganti rossi, perdono gli strati più esterni andando a “denudare” la parte più interna e calda della stella, che con la sua violenta radiazione illumina il gas disperso.

Questa nebulosa si trova a oltre 2000 anni luce da noi nella costellazione australe delle Vele e si chiama Nebulosa Anello del Sud. L’immagine di sinistra mostra la nebulosa nel vicino infrarosso, quella a destra nel medio infrarosso. Si notano distintamente le complesse sottostrutture della nube illuminata, dandoci informazioni preziosissime su cosa accade a una stella simile al Sole quando muore. Anzi, le stelle: perché nell’immagine di destra scopriamo che in realtà le stelle che hanno prodotto la nebulosa sono due. La seconda è stata osservata per la prima volta proprio grazie a James Webb!

Il Quintetto di Stephan

Il Quintetto di Stephan.
Il Quintetto di Stephan visto da James Webb nel vicino e medio infrarosso (credit: NASA, ESA, CSA, and STScI).

Le galassie che osserviamo costituiscono un gruppo, perché sono legate gravitazionalmente tra loro (tranne quella più in basso, che in realtà è slegata dalle altre: sta solo facendo photobombing!). L’immagine del Quintetto di Stephan è stata ottenuta combinando due immagini: una nel vicino infrarosso e una nel medio infrarosso. Il risultato mostra un gran numero di strutture sub-galattiche, le onde d’urto prodotte dall’interazione tra le galassie e addirittura i getti prodotti dai buchi neri supermassicci al centro delle galassie, tutti dettagli mai visti prima d’ora nel Quintetto.

Questa immagine rappresenta una miniera di preziosissime informazioni sulla crescita dei buchi neri, sulle regioni di formazioni stellare e sull’emissione delle polveri galattiche.

La Nebulosa della Carena

Un dettaglio della regione di formazione stellare NGC 3324 nella Nebulosa della Carena.
Un dettaglio della regione di formazione stellare NGC 3324 nella Nebulosa della Carena (credit: NASA, ESA, CSA, and STScI).

Ma la NASA ha tenuto il pezzo forte alla fine. Tutte le immagini di James Webb viste finora sono meravigliose e di grande importanza scientifica, ma questa – almeno per chi scrive – ha davvero qualcosa di speciale. Sembra proprio di osservare un paesaggio montano ricchissimo di dettagli! L’immagine ritrae un dettaglio della Nebulosa della Carena, una delle più grandi visibili nel nostro cielo. Si trova a 7600 anni luce da noi e ha una larghezza di ben 260 anni luce. La Nebulosa della Carena è una vera e propria fucina di stelle, intenta a produrre astri molto massicci e brillanti.

In particolare, stiamo guardando una regione di formazione stellare chiamata NGC 3324 all’interno della nebulosa. Le forme sinuose di queste “montagne” (alte fino a 7 anni luce!) sono modellate dalla luce ultravioletta e dai venti stellari provenienti da caldissime stelle situate al di sopra dell’immagine. Immagini come questa, soprattutto così dettagliate, sono utilissime per comprendere meglio il fenomeno della formazione stellare e il suo impatto sulle nubi gassose.

Una considerazione finale

Queste immagini non sono solo meravigliosamente belle: rappresentano anche l'inizio di una nuova era dell'astronomia. Il livello di precisione e di dettaglio raggiunto da James Webb non ha paragoni con quello che può fare qualunque altro telescopio attualmente operativo negli infrarossi (e non solo). Con Webb c'è stato un vero e proprio salto generazionale che ci permette di osservare il cosmo come non avevamo mai potuto fare finora. E non c'è dubbio che le straordinarie capacità di James Webb sono destinate a rivoluzionare drasticamente la nostra comprensione del cosmo nei due decenni a venire.

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Filippo Bonaventura
Content editor coordinator
Laureato in Astrofisica all’Università di Trieste e ha conseguito un Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste. È stato coordinatore della rivista di astronomia «Le Stelle», fondata da Margherita Hack. Insieme a Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio gestisce il progetto di divulgazione astronomica «Chi ha paura del buio?». Vive e lavora a Milano.
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