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Perduta tra le fredde acque dell’Atlantico meridionale, l’isola di Bouvet (in norvegese Bouvetøya) è considerata uno dei luoghi più remoti e inaccessibili dell’intero Pianeta. Poco più di uno scoglio di origine vulcanica, è completamente ricoperta da ghiacciai, e si trova a quasi metà strada tra la costa dell’estremo sud dell'Africa e il vasto deserto antartico.
Posizione e morfologia
L’isola di Bouvet si trova poco oltre il 54° parallelo sud, appena sopra il Circolo Polare Antartico. Possiamo quindi ben immaginare il tipo di clima che vi troveremmo: un clima subpolare e oceanico molto freddo ed estremamente umido, caratterizzato da intese precipitazioni, quasi giornaliere, a carattere soprattutto nevoso per la maggior parte dell’anno.
La superficie è pari a 49 chilometri quadrati, dimensioni piuttosto ridotte, che, per fare un paragone, superano di poco la ben più nota e vicina Ischia (con 46,3 chilometri quadrati di estensione) e comprende diversi isolotti e scogli minori che circondano le scure pareti frastagliate.
L’isola è di origine vulcanica, o, per l’esattezza, è la cima di un vero e proprio vulcano. L’intensa attività tettonica della regione è certamente dovuta alla presenza della vicina dorsale oceanica indiana sud-occidentale.
Dato il clima rigido e ostile, le specie vegetali sono molto simili a quelle che potremmo trovare nella non troppo lontana Antartide, e sono costituite soprattutto da licheni e piccole forme vegetali che crescono nelle limitate porzioni di terra libere dai ghiacci perenni: l’intera superficie dell’isola è infatti coperta per il 93% da ghiacciai.
Di contro, l’isola è un importante habitat per numerose specie di uccelli marini, a cui si aggiungono quelle dei mammiferi, come l’otaria orsina antartica, l’elefante marino e i cetacei che popolano le fredde acque antartiche.
La scoperta
Il primo avvistamento dell’isola si deve all’esploratore francese Jean-Baptiste Charles Bouvet de Lozier, che ne segnalò l’esistenza nel gennaio del 1739 mentre era alla guida di una spedizione nei mari australi. A bordo della sua imbarcazione, Bouvet avvistò terra tra fitti banchi di nebbia e un mare nero e spaventosamente agitato, e non fu in grado ad attraccare né di capire se si trattasse effettivamente di un’isola o di un lembo di Antartide. Per decenni, la sua segnalazione rimase avvolta nel mistero, tanto che si pensò più volte a un errore o all’avvistamento di un iceberg, e questo fece nascere attorno all'isola le più disparate leggende. Dopo oltre un secolo e altri enigmatici avvistamenti, l’isola fu occupata per un breve periodo da un equipaggio norvegese, che la rivendicò per il proprio Paese nel 1927, battezzandola, appunto, Bouvetøya.
Non lontano dall’isola di Bouvet, circa a metà strada tra questa e le Isole del Principe Edoardo, più a nord-est, nel 1979 un satellite statunitense rilevò un brevissimo ma intenso lampo di luce. Il fenomeno, tipico di un’esplosione nucleare atmosferica, fu classificato come "incidente Vela" (dal nome dei satelliti Vela che gli Stati Uniti hanno utilizzato nei decenni passati per il monitoraggio delle esplosioni nucleari) e, sebbene i dati fossero riconducibili proprio all’esecuzione di un test nucleare, nessun Paese ne ha mai rivendicato la responsabilità. Ancora oggi non è ben chiaro se si sia trattato di un raro fenomeno atmosferico o di un test, ma è indubbio che l'avvenimento abbia alimentato ulteriormente la misteriosa fama dell'isola.