Può la scienza tutelare i diritti umani? Sì, e il MUSA, Museo Universitario delle Scienze Antropologiche, mediche e forensi per i diritti umani, è nato proprio per questo motivo. Dovete sapere che il MUSA, nasce per raccogliere l’eredità dell’Istituto di Medicina legale e del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano (anche conosciuto come LABANOF), ed è l’unico museo in Europa di questo genere: qui si può osservare gratuitamente come la medicina legale e altre discipline scientifiche (antropologia, botanica, criminologia forense,entomologia) collaborino non solo per restituire un’identità a vittime di eventi violenti, ma anche per intercettare i segni di violenza sui più indifesi, tutelando i loro diritti.
Tra i fondatori di questo progetto (UNIMI, Fondazione Sacchi Samaja, Fondazione collegio delle Università Milanesi) c’è anche l’ONG Terre des Hommes, che da 60 anni protegge i bambini di tutto il mondo da ogni forma di violenza o abuso.
Com’è fatto il MUSA e come ci aiuta a leggere i segni di violenza sul corpo
Al MUSA si può osservare come la combinazione di antropologia, medicina, scienze forensi e tante altre discipline scientifiche ci aiutino a leggere i segni sul corpo, facendo emergere maltrattamenti, violenze o altre cause di morte, e stabilendo la verità oggettiva su quanto è realmente accaduto. Sotto la lente della scienza, ad esempio, i lividi su un corpo o i segni lasciati sulle ossa rivelano che tipo di violenze ha subito la vittima (medicina legale), residui di sostanze e fibre naturali o sintetiche invece aiutano a ricostruire le dinamiche dell’omicidio (scienze forensi e botanica). Ed è così che pian piano si ricostruisce la verità sull’accaduto.
Nella sezione di apertura ci sono numerose prove ossee che dimostrano vari tipi di maltrattamenti e gli oggetti usati. Parliamo di ossa in particolare perché per risolvere un crimine non sempre il medico legale si trova davanti un corpo: a volte infatti rimane solo lo scheletro, e solo osservando questo unico prezioso reperto si può risalire al sesso, all’età, alle abitudini e alle origini della vittima, ma anche alle malattie o alle violenze e alle discriminazioni subite.
Lo studio però si amplifica nella seconda parte del museo, quella storica, con più di 10 mila reperti ossei (provenienti dalla cripta della Ca’ Granda di Milano) di persone vissute a Milano dall’epoca Romana all’Ottocento. Studiando i resti umani di chi ci ha preceduto non solo si scoprono malattie e i loro decorsi, ma è anche possibile ricostruire chi eravamo in tempi antichi, per capire meglio la traiettoria di fenomeni sociali come la violenza e la discriminazione.
Dopo la sezione storica, c’è quella forense e criminalistica, con la ricostruzione di alcune scene del crimine con prove concrete che attestano come la cooperazione fra diverse discipline sia d’aiuto al medico legale per capire quanto è successo.
Ma è l’ultima sezione, quella umanitaria, quella che colpisce più a fondo gli spettatori: l’intera stanza racconta testimonianze di violenza e maltrattamenti, e di come ne rimanga una traccia indelebile sul corpo e sulla psiche. Ma questa sezione va “oltre i muri”: la parte finale del museo, infatti, si cela dietro un pesante tendone nero di velluto.
La sezione dietro il tendone è interamente dedicata alla Strage di Melilli, nota ai più come il naufragio nel Canale di Sicilia avvenuto il 18 aprile del 2015, il più grande naufragio mai avvenuto nel Mediterraneo. Non tutti sanno che è proprio il LABANOF che da anni si sta occupando di dare un nome alle vittime ancora non riconosciute, nella speranza di potergli restituire l’identità e alle famiglie un corpo su cui poter elaborare il lutto.
In questa sala tutto è buio, a fare luce c’è solo uno schermo che proietta un filmato (quasi interamente muto) sul tragico evento. Dietro un’altra tenda, c’è un’altra ricostruzione molto toccante, che custodisce parte dell’eredità lasciata dalle vittime.
Allenare l’occhio dei giovani a riconoscere i segni di violenza: le scuole vanno al MUSA
Terre des Hommes però non si è fermata qui, e per far scoprire ai più giovani come lo studio del corpo possa essere utile alla tutela dei diritti umani ha pensato a un progetto educativo per gli studenti di scuole secondarie di primo e secondo grado.
Il percorso, finanziato da AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) inizia in classe, con laboratori didattici interattivi per preparare i ragazzi alla visita guidata al museo. In questi laboratori si impara come la scienza sia essenziale per comprendere i fenomeni sociali e culturali, ma soprattutto per tutelare i diritti umani. Terre des Hommes ha pensato anche a una escape room in cui gli studenti, dotati di tablet, riceveranno indizi, quesiti e rebus per comprendere in prima persona in che modo la scienza aiuta a tutelare i diritti umani.
Per le classi che lo desiderano il progetto prevede anche la possibilità di visitare il LABANOF da cui è nato il museo per comprendere dal vivo la struttura delle ossa umane, imparare a ricostruire un modello di scheletro e a leggere i segni di maltrattamento, violenze e malattia su questa fragile ma altrettanto resistente parte del corpo.
Il progetto prevede anche una performance immersiva per insegnare ai ragazzi come i segni del corpo e delle ossa siano fondamentali per individuare e prevenire le violazioni dei diritti umani.