
Negli ultimi anni sono state riscoperte molte artiste dimenticate, un lavoro che nasce dalla volontà di riequilibrare la narrazione dell'arte che è stata (e spesso è ancora) storicamente sbilanciata a favore degli uomini. Tra queste, sempre più famosa e apprezzata è la grande pittrice Artemisia Gentileschi, una delle poche artiste che, pur vivendo in una società chiusa e prevenuta sulle capacità delle donne, riuscì a imporsi come figura di spicco, nonostante le avversità.
La vita in breve di Artemisia Gentileschi
Nata a Roma nel 1593, Artemisia cresce già avvolta dalle arti: dimostrato un precoce talento, il suo primo maestro fu il padre, Orazio, molto vicino a Caravaggio, che le insegnò i rudimenti del mestiere mantenendo, tuttavia, un rapporto abbastanza conflittuale.
Un episodio tristemente noto della vita di Artemisia Gentileschi è quello della violenza sessuale subita all’età di 17 anni per mano di Agostino Tassi, collaboratore del padre. Probabilmente per evitare la condanna, Tassi promise ad Artemisia di sposarla, pur avendo già una moglie. Venne poi denunciato da Orazio e questo portò al processo i cui atti ci hanno permesso di capire la vicenda (inclusa la tortura a cui fu sottoposta la pittrice "per avere certezza della verità") ma anche molti dettagli della vita di Artemisia. Tassi su condannato ed esiliato, anche se qualche anno più tardi riuscì a tornare a Roma. Secondo alcune letture questa terribile aggressione, che Artemisia raccontò nel dettaglio nel proprio diario, e da cui potrebbe non essersi più ripresa psicologicamente, si sarebbe riversata nella sua opera: per alcuni critici, soprattutto di area femminista, per questo la sua pittura divenne brutale; per altri, invece, si allineava al gusto truce tipico dell’arte del Seicento.
Sposatasi con il pittore fiorentino Pierantonio Stiattesi, nove anni più vecchio di lei, Artemisia si trasferì a Firenze: qui acquistò una buona fama e la protezione dei granduchi Cosimo II de’ Medici e Cristina di Lorena, venendo ammessa (come prima donna) nel 1616 all’Accademia del Disegno di Firenze. In seguito tornò a Roma e si recò anche a Venezia, quindi a Londra, al seguito del padre (pittore di corte della regina Enrichetta Maria) e infine a Napoli, dove morì tra il 1654 e il 1656.
Le opere di Artemisia Gentileschi
Ignorata per secoli da molti storici dell'arte, Artemisia venne rivalutata a partire da un importante articolo del 1916 di Roberto Longhi, "Gentileschi padre e figlia", dopo il quale la sua portata stilistica ed espressiva fu riconsiderata, soprattutto per lo stile drammatico ed espressivo. Lavorando secondo lo stile caravaggesco del tempo, affiancato secondo alcuni allo stile bolognese, Artemisia propose infatti un’arte molto originale, caratterizzata da grande realismo e spesso anche sensualità che applicava ai propri ritratti, ma anche a quadri religiosi o di soggetto biblico. Le sue opere sono conservate in tutta Italia – agli Uffizi e a Palazzo Pitti di Firenze, al Palazzo Blu di Pisa, alla Galleria Spada di Roma e alla Cattedrale di Pozzuoli, fuori Napoli – e all'estero, dal Metropolitan di New York alla National Gallery di Londra.
Tra le più importanti troviamo:
- Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613), conservata al Museo nazionale di Capodimonte (Napoli)

- Autoritratto come suonatrice di liuto (circa 1615-1617), Curtis Galleries a Minneapolis,

- Conversione della Maddalena (1615-1616), Galleria Palatina di Palazzo Pitti (Firenze).
