
La bolla delle dot-com, verificatasi tra il 1995 e il 2000, rappresenta uno dei fenomeni più emblematici della storia dei mercati finanziari moderni e della rivoluzione di Internet. Aggiungere “.com” al nome di un’azienda a quei tempi poteva trasformarla in una stella nascente della Borsa, anche se non aveva un modello di business solido o profitti concreti. Fu così che il Nasdaq, indice finanziario a prevalenza tecnologica, passò da 743 punti nel 1995 a oltre 5.000 punti nel 2000, riflettendo l’entusiasmo degli investitori per le start-up di Internet, molte delle quali erano sostenute da venture capitalist ansiosi di partecipare alle IPO, le offerte pubbliche iniziali che permettono a un’azienda di quotarsi in Borsa. Aziende come Priceline.com dimostrarono che era possibile trasformare inefficienze reali in opportunità online, creando modelli “win-win” per consumatori e fornitori. Peccato che il successo apparente nascondeva perdite enormi e piani di crescita insostenibili: la bolla si basava più sull’euforia degli investitori che su dati economici concreti, un fenomeno che l'economista americano Alan Greenspan definì «esuberanza irrazionale».
Quando la Federal Reserve alzò i tassi di interesse nel 2000, il mercato iniziò a correggersi, portando il Nasdaq a perdere quasi l’80% del suo valore entro il 2002. Nonostante le enormi perdite, le dot-com hanno gettato le basi per l’infrastruttura digitale moderna, dalla fibra ottica alla familiarità degli utenti con Internet. Oltre a ciò, lo scoppio della bolla delle dot-com ha lasciato lezioni durature sul rapporto tra innovazione tecnologica e mercati finanziari anche se, a detta di alcuni esperti, quanto accaduto a inizio millennio si starebbe verificando di nuovo, e in proporzioni maggiori, con la bolla dell'AI.
Le cause che gonfiarono la bolla delle dot-com
Tra il 1995 e il 2000, le cosiddette società “dot-com” condividevano alcune caratteristiche chiave: promettevano di trasformare radicalmente il commercio, puntavano alla massima crescita rapida (la cosiddetta Get Big Fast) e spesso operavano in perdita per acquisire quote di mercato. Priceline.com è l’esempio più illuminante: fondata da Jay Walker per vendere biglietti aerei invenduti tramite un sistema di offerta online, riuscì a ottenere in pochi mesi oltre 100.000 vendite, nonostante ogni biglietto venisse venduto in perdita. Gli investitori ignorarono le perdite e il modello costoso, concentrandosi solo sulla promessa di cambiare il futuro del business. Analogamente, altre aziende iconiche come Pets.com, Kozmo.com o eToys seguivano lo stesso schema: campagne pubblicitarie aggressive, grandi spese in marketing e valutazioni azionarie alle stelle, indipendentemente dalla redditività reale. Le IPO diventavano il vero punto di arrivo per venture capitalist e imprenditori: un’uscita pubblica garantiva guadagni immediati senza che l’azienda dovesse necessariamente avere successo nel lungo periodo.
Man mano che le quotazioni delle aziende legate al mondo di Internet, sia nuove sia già affermate, continuavano a crescere, molti investitori iniziarono a credere che l'economia statunitense stesse vivendo una trasformazione profonda. Davanti a una simile prospettiva, elementi solitamente fondamentali per valutare un'impresa – situazione patrimoniale, ricavi, utili, quota di mercato, flusso di cassa, etc. – venivano considerati poco utili per prevedere le prestazioni future delle società del settore, soprattutto delle start-up. Di conseguenza, i capitali continuarono ad affluire anche verso imprese molto indebitate e prive di reali possibilità di ottenere profitti. Questa eccessiva fiducia degli investitori portò i titoli delle aziende dot-com a raggiungere livelli di prezzo delle singole azioni enormemente superiori a quelli giustificabili secondo i criteri tradizionali di valutazione.

Lo scoppio della prima bolla tecnologica della storia
A un certo punto l'indice Nasdaq raggiunse il picco nel marzo 2000 a 5.048 punti. La “tempesta perfetta” era praticamente pronta e la bolla era ormai pronta a esplodere. Lo “spillo” che causò lo scoppio della bolla fu rappresentato dall'aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve che, unita alla debolezza intrinseca di molte aziende, innescò una svendita massiccia delle azioni. Entro ottobre 2002, l'indice era sceso a 1.139 punti, cancellando difatti quasi tutti i guadagni accumulati fino a quel momento. Centinaia di dot-com falliron. Gli investitori individuali, che avevano continuato a versare denaro nei fondi azionari persero trilioni di dollari. Solo nella Silicon Valley si stimano 200.000 posti di lavoro persi tra il 2001 e il 2004, lasciando generazioni di giovani imprenditori letteralmente a piedi.