Nel lontano marzo 1989 due ricercatori, Martin Fleischmann e Stanley Pons, dichiararono di aver scoperto la fusione fredda tramite l’impiego di una cella a fusione. Questa notizia, falsa, violava varie regole della scienza e ad oggi possiamo affermare che la fusione fredda non esiste. Ripercorriamo la storia di questi due scienziati e di come questa finta "scoperta" si sia presto trasformata in una diatriba nella comunità scientifica.
L’ipotesi di Fleischmann
Negli anni ’70 Fleischmann, un elettrochimico ceco, stava studiando l’assorbimento da parte del Palladio di enormi quantità di idrogeno e deuterio. Il palladio metallico, infatti, è capace di assorbire idrogeno gassoso fino a 900 volte il proprio peso e dunque agisce come una "spugna". Di conseguenza, Fleischmann ipotizzò la possibilità di comprimere molecole di idrogeno all’interno del palladio, per vincere la repulsione elettrostatica fra gli atomi di idrogeno, e avviare quindi il processo di fusione nucleare a bassa temperatura. La reazione di fusione nucleare, per sua definizione, genera neutroni e atomi di elio-4 a partire dall’unione di isotopi dell'idrogeno.
Questo processo a bassa temperatura, se fosse stato verificato, sarebbe stato rivoluzionario: non avrebbe avuto bisogno di enormi quantità di calore (come nel caso della fusione nucleare calda) o di catalizzatori esterni, come i muoni (per la fusione nucleare fredda catalizzata da muoni).
La cella elettrolitica a fusione fredda
Nel 1983 Fleischmann e Pons, suo allievo, crearono una cella elettrolitica composta da due elettrodi, uno di palladio e uno di platino, inseriti all’interno di un elettrolita liquido (acqua pesante, D2O) e alimentati da una batteria. Al passaggio di corrente, l’acqua pesante si scinde in ossigeno e deuterio, il quale viene poi assorbito e compresso nel palladio.
I due ricercatori misurarono un rilascio di energia termica importante, 100 volte più elevata rispetto alle altre reazioni chimiche. Conclusero precipitosamente che si dovesse trattare di fusione fredda, senza verificare altre evidenze sperimentali, come la produzione di elio, neutroni o raggi gamma.
L’ingresso di Steven Jones nella storia
A questo punto, si aggiunge alla storia anche il fisico statunitense Steven Jones, che stava eseguendo esperimenti simili ed era stato incaricato di valutare la richiesta di nuovi fondi da parte dei due ricercatori. Jones e il suo team, invece di valutare solo l’energia termica rilasciata dalla reazione fra palladio e deuterio, stava cercando l’emissione di neutroni ed elio-4. L’emissione di neutroni da lui misurata era talmente piccola che non poteva verificare in alcun modo l’ipotesi della fusione fredda.
Jones suggerì quindi una collaborazione per risolvere l’arcano, collaborazione che fu però negata dai Fleischmann e Pons. Nacque una vera e propria diatriba: il primo gruppo che avesse pubblicato dei risultati convincenti, verificati e riproducibili avrebbe ricevuto soldi, un possibile brevetto e la paternità dell’idea. Di conseguenza, Pons e Fleischmann cominciano a cercare altre evidenze sperimentali, ma nemmeno loro trovarono neutroni in quantità sufficiente.
Pubblicazione dei risultati
Jones propose a Pons e Fleischmann di pubblicare due articoli nello stesso giorno su Nature per distendere la tensione che si era creata e questi ultimi approvarono l’idea. Fleischmann e Pons, però, fecero una conferenza stampa in cui dichiararono di aver scoperto la fusione fredda senza dar troppi dettagli e pubblicarono in anticipo i loro risultati nel Journal of Electroanalytical Chemistry, senza avere tutti i dati sperimentali necessari. La comunità scientifica, ovvero tutti i ricercatori dello stesso ambito, non poteva riprodurre gli esperimenti a causa di molti dettagli mancanti.
L’ultima fase della storia
Fleischmann e Pons rifiutano tutte le prove sperimentali a loro sfavore, ma infine accettano di collaborare e di far analizzare le proprie barre di palladio, per la ricerca di elio-4 generato dalla reazione. Nelle loro barre, e in quelle di tutti gli altri gruppi, non fu trovato elio-4. Un anno dopo, nel marzo 1990, la comunità scientifica mandò un secondo ricercatore, Micheal H. Salamon, che non trovò nessun risultato a favore della fusione fredda. Insomma, allora come oggi, tutte le evidenze sperimentali vanno contro l’ipotesi della fusione fredda.