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Il CECOT di El Salvador è il durissimo carcere dove finiscono i gangster USA: com’è la vita nella prigione

Il CECOT (Centro de Confinamiento del Terrorismo) è un carcere di massima sicurezza costruito su decisione del Presidente salvadoregno Nayib Bukele per rinchiudere i criminali affiliati alle gang più violente dell’America Centrale. I prigionieri, tra cui ci sono spesso innocenti, sono costretti a vivere in condizioni disumane.

11 Settembre 2025
18:30
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Il CECOT di El Salvador è il durissimo carcere dove finiscono i gangster USA: com’è la vita nella prigione
Video a cura di Stefano Gandelli
Geologo e divulgatore scientifico
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Alcuni prigionieri detenuti nel carcere salvadoregno CECOT.

Nel cuore di El Salvador sorge una delle prigioni più pericolose e discusse del mondo: si tratta del CECOT (Centro de Confinamiento del Terrorismo), un carcere di massima sicurezza voluto dal presidente salvadoregno Nayib Bukele e progettato per rinchiudere al suo interno i criminali affiliati alle gang più violente dell’America Latina. Inaugurata nel 2023, la struttura penitenziaria è stata definita da alcune organizzazioni umanitarie come “il buco nero dei diritti umani”e non è raro che al CECOT finiscano anche degli innocenti, come nel caso di Kilmar Ábrego García, un giovane salvadoregno vittima di un processo giudiziario sommario che l'ha portato a essere detenuto ingiustamente.

Vediamo quindi com'è fatta la prigione di CECOT e i dubbi sollevati in merito alle violazioni dei diritti umani dei prigionieri.

Com'è fatto il carcere di CECOT di El Salvador e perché è stato costruito

Inaugurato nel 2023, il CECOT si trova a circa un’ora dalla capitale San Salvador. È stato progettato per ospitare fino a 40.000 detenuti, anche se il numero reale non è mai stato rivelato “per motivi di sicurezza”: secondo le stime, in questo momento dovrebbe essere pieno a metà. Per avere un confronto, la più grande prigione d’Italia (il carcere di Opera a Milano) ospita circa 1.300 detenuti.

La struttura, lungo tutto il suo perimetro, è circondata da un muro in calcestruzzo armato e ciascuno dei 4 blocchi carcerari è racchiuso a sua volta da alcune recinzioni di filo elettrificato. Ogni blocco è poi composto da 2 padiglioni, ognuno dei quali ospita 32 maxi-celle di circa 90 metri quadrati, in grado di ospitare tra i 65 e i 70 prigionieri l’una.

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Una ricostruzione 3D del carcere CECOT dall’esterno.

In totale, il carcere è sorvegliato da 600 soldati e 250 agenti della Polizia Civile, con un’area di isolamento delle comunicazioni telefoniche estesa per 2,5 km attorno alla struttura.

La costruzione di questo carcere, avviata alla fine del 2022, si inserisce all'interno della politica della “mano dura”e “tolleranza zero” adottata dal presidente salvadoregno Nayib Bukele nei confronti della criminalità e delle street gang. Eletto presidente nel 2019, l'obiettivo di Bukele fu sin da subito quello di abbassare il tasso di criminalità di El Salvador, che nel 2021 registrava un tasso di 17 omicidi ogni 100.000 persone (34 volte di più rispetto all'Italia) per via della violenza esercitata dalle gang come la Mara Salvatrucha (anche conosciuta come MS-13) e la 18th Street Gang (o Barrio 18).

Bukele conferì quindi un potere quasi assoluto a Polizia ed Esercito per arrestare e imprigionare chiunque fosse anche solo sospettato di essere affiliato a qualche gang, anche in assenza di prove reali. Il risultato è stato drastico: in pochi anni, El Salvador è passato da uno dei Paesi più violenti al mondo a quello con il più alto tasso di incarcerazione: circa il 2% della popolazione è stata imprigionata, mentre il numero di omicidi è diminuito di circa 50 volte tra il 2015 e il 2023.

La vita all'interno della prigione più pericolosa del mondo: le maxi-celle

Come è possibile intuire, le condizioni di vita all’interno del CECOT sono estreme: ogni cella di 90 metri quadrati ospitano tra i 65 e i 70 detenuti, privi di effetti personali e costretti a dormire su letti di metallo senza materassi. I prigionieri hanno a disposizione solo due bagni, due lavandini e due Bibbie, mentre le luci restano accese 24 ore su 24 e l’unico momento di “libertà” è la mezz’ora quotidiana dedicata all’attività fisica, che si svolge nel corridoio.

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I prigionieri del CECOT all’interno di una cella.

Per quanto riguarda il cibo, invece, ogni pasto è uguale al precedente ed è a base riso, fagioli, uova sode o pasta, da mangiare rigorosamente con le mani. Quello del pasto, però, è un momento importante perché è l’unico che permette ai detenuti di tenere traccia del tempo che scorre, vista l'impossibilità di distinguere tra giorno e notte a causa delle luci sempre accese.

In caso di ribellioni, i detenuti possono finire in isolamento totale ed essere rinchiusi in una cella buia e stretta, con un’unica piccola apertura sul soffitto, per giorni o addirittura settimane.

Le critiche per le violazioni dei diritti umani nel carcere

Le principali criticità hanno ovviamente a che fare con le condizioni disumane in cui vivono i detenuti: ognuno di loro ha uno spazio vitale di appena 0,6 metri quadrati e a nessun carcerato è permesso vedere i propri cari di persona, se non tramite videochiamata e sempre sotto la sorveglianza delle guardie.

Ma da considerare ci sono anche i problemi legati alla procedura di arresto. Polizia ed Esercito, infatti, hanno il potere di arrestare chiunque possa essere considerato un potenziale terrorista o criminale, anche in assenza di prove, ed è stato persino attivato un numero verde per consentire alla popolazione di denunciare presunti terroristi.

Tutto questo, ovviamente, può portare all’incarcerazione di persone innocenti, come nel caso di Kilmar Ábrego García, emigrato illegalmente negli Stati Uniti per sfuggire alla violenza nel proprio Paese e successivamente deportato durante l'amministrazione Trump senza ricevere un processo equo. La sua storia, diventata rapidamente un caso mediatico, è terminata con la sua scarcerazione, un esito non scontati per gli altri innocenti imprigionati al CECOT.

In ogni caso, l'accesso al carcere è proibito ai giornalisti e alle organizzazioni umanitarie: di conseguenza, tutte le informazioni a nostra disposizione sono quelle fornite dallo stesso governo salvadoregno, che ha spesso pubblicizzato il proprio operato (mostrando immagini dei detenuti incatenanti o ammassati nelle celle) per dimostrare l'utilizzo della repressione statale nei confronti delle gang e, soprattutto, celebrare i risultati della politica di “tolleranza zero” per la sicurezza nel Paese.

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