
Il linguaggio interiore abita costantemente la mente di ognuno di noi. È un dialogo invisibile con noi stessi che compare fin dai primi anni di vita, capace di apparire come un monologo che risuona con la nostra stessa voce, un dibattito tra più posizioni differenti, o talvolta persino un coro o l'interiorizzazione della voce di qualcun altro. Non sappiamo come si origini davvero perché potrebbe essere legato al "problema difficile della coscienza", ma le neuroscienze mostrano che, anche nel silenzio, il cervello parla e ascolta come se lo stesse facendo realmente. Quando questo delicato equilibrio si rompe, quella voce può smettere di sembrarci nostra e, secondo alcune teorie, generare allucinazioni verbali uditive.
Cos’è il linguaggio interno e come si sviluppa il discorso interiore
Quando parliamo di linguaggio interiore intendiamo quella vocina nella testa che è un "parlare senza parlare veramente": il nostro pensiero linguistico. Come si origini veramente non lo sappiamo, ma iniziamo a capire molte cose sul suo sviluppo e sulle dinamiche neurali che lo accompagnano.
Per esempio, sappiamo che molto probabilmente il linguaggio, ben prima di nascere nella nostra testa quando siamo bambini, viene usato come strumento sociale. Vuol dire che, come pensava il famoso psicologo Lev Vygotsky, prima lo usiamo per comunicare con gli altri e solo successivamente lo facciamo nostro, lo interiorizziamo. La fase cruciale di passaggio tra il linguaggio esterno, usato socialmente, e quello interno, sarebbe rappresentata dal "linguaggio privato", quel momento dello sviluppo nel quale i bambini di 2-3 anni parlano a sé stessi ad alta voce mentre sono impegnati in qualche attività solitaria. Dunque, da linguaggio sociale, a linguaggio privato, per arrivare a linguaggio interiore.

Come funziona il linguaggio interiore: la spiegazione neurobiologica
Sul piano neurale, il linguaggio interiore accende gran parte delle aree che sono attive quando parliamo veramente: corteccia frontale inferiore sinistra (compresa la famosa area di Broca); aree premotorie e supplementari per la pianificazione articolatoria; regioni temporali superiori per la rappresentazione fonologica. Non trovate interessante che, pur non muovendo la bocca, la lingua o le corde vocali, siano comunque attive le aree motorie e premotorie del linguaggio? Allo stesso modo, è attiva l'area di Wernicke, quella associata alla comprensione, come se stessimo ascoltando e capendo ciò che noi stessi stiamo dicendo nell'intimo della nostra mente.
Ma le curiosità cerebrali non finiscono qui. Quando il linguaggio interiore ha la forma di un dialogo, quindi presuppone più "voci interiori", si osserva un'attivazione significativamente maggiore in una rete estesa e bilaterale (rispetto al linguaggio interiore fatto a monologo), rete che coinvolge i giri temporali superiori destro e sinistro, aree tipicamente associate a contesti sociali. "Contengo moltitudini", scriveva Walt Whitman, e sembra proprio che non avesse torto.
Quando il meccanismo di inceppa: non riconoscere il proprio linguaggio interiore
Il motivo per il quale il linguaggio interiore non ci spaventa e lo sentiamo come generato da noi, non è così banale come ci verrebbe da pensare («certo che non mi spaventa, è mio!»). Quando generiamo linguaggio interiore, il sistema motorio genera una seconda traccia, una "copia carbone" che invia alle aree uditive, che quindi si trovano pronte a ricevere la voce interiore senza che questa prenda noi stessi di sorpresa: sono state informate per tempo dal sistema motorio che, così facendo, tranquillizza il sistema, facendo etichettare il segnale come auto-generato.
Alle volte, questo meccanismo non funziona a dovere. Quando questo equilibrio si altera, in alcuni casi la voce interna può essere percepita come non auto-generata e contribuire a fenomeni quali le allucinazioni verbali uditive: in pratica il sistema si "sorprende" della presenza di una voce interiore. Tuttavia le evidenze su meccanismi neurali specifici sono ancora miste e non spiegano tutti i casi.