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14 Novembre 2025
16:23

Senza libero consenso è violenza sessuale: cos’è la convenzione di Istanbul

Il recente emendamento al ddl sulla violenza sessuale ha allineato la legge italiana alle prescrizioni del trattato di Istanbul per quanto riguarda il consenso.

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Senza libero consenso è violenza sessuale: cos’è la convenzione di Istanbul
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La Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha approvato un emendamento al disegno di legge sulla violenza sessuale per includere il principio del consenso obbligatorio, segnando un cambiamento significativo rispetto alla legge precedente, incentrata sulla coercizione fisica o sulle minacce. L’emendamento è stato presentato dalle parlamentari Michela Di Biase (Pd) e Carolina Varchi (Fratelli d’Italia) con il sostegno delle leader di partito Elly Schlein e Giorgia Meloni, e stabilisce che chiunque compia o induca atti sessuali senza il consenso dell’altra persona sarà punito con una reclusione da sei a dodici anni.

Il consenso è definito come una "manifestazione libera, consapevole e inequivocabile della volontà della persona di partecipare all’atto sessuale", valida per l’intera durata dell’atto e revocabile in qualsiasi momento. L’emendamento sarà presentato alla Camera prima di passare al Senato: la sua definizione è in linea con la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha riconosciuto come violenza sessuale anche gli atti compiuti in assenza di resistenza fisica, ma soprattutto con la Convenzione di Istanbul, ratificata dall'Italia nel 2013, il primo strumento legalmente vincolante in Europa in materia di violenza contro le donne.

La Convenzione di Istanbul: istituzione e obiettivi

Nel 2005, gli Stati membri del Consiglio d’Europa (organizzazione internazionale fondata nel 1949 con l’obiettivo di promuovere diritti umani, democrazia e stato di diritto) hanno lanciato una campagna su larga scala sul tema della violenza domestica. La campagna ha rivelato l’ampiezza del problema nel continente e ha sottolineato la necessità di standard legali comuni per garantire lo stesso livello di protezione alle vittime ovunque in Europa.

Come principale istituzione europea per i diritti umani, il Consiglio d’Europa ha promosso l’elaborazione della Convenzione su prevenzione e lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. Il trattato è stato adottato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011; dopo la decima ratifica da parte di Andorra il 22 aprile 2014, è entrato in vigore il 1° agosto 2014. L’Italia ha ratificato la Convenzione nel 2013.

La Convenzione è anche il primo trattato internazionale a contenere una definizione di genere come “categoria socialmente costruita”, che definisce “donne” e “uomini” in base a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente assegnati. Il documento ha stabilito con fermezza il legame tra il raggiungimento della parità di genere e l’eliminazione della violenza contro le donne, riconoscendo la natura strutturale della violenza e il fatto che essa sia una manifestazione delle relazioni di potere storicamente diseguali tra donne e uomini.

Il documento di Istanbul è stato il primo strumento legalmente vincolante in Europa in materia di violenza contro le donne e, per portata, è il trattato internazionale più esteso per affrontare questa grave violazione dei diritti umani, mirando a una tolleranza zero per rendere l’Europa e il mondo un luogo più sicuro.

Cosa prevede la Convenzione di Istanbul: le “4 P”

La Convenzione mira a proteggere le donne da tutte le forme di violenza con un quadro giuridico e politico completo per la protezione e l’assistenza alle vittime. Gli obiettivi del documento comprendono le cosiddette “4 P”:

  • Prevenzione: Gli Stati membri hanno obblighi specifici per prevenire la violenza, come la formazione di professionisti a contatto con le vittime o la promozione di campagne di sensibilizzazione. Il trattato invita anche i membri della società, in particolare gli uomini, a contribuire a porre fine alla violenza contro le donne.
  • Protezione: Sono previste misure per proteggere e sostenere le vittime, facilitando l’accesso a servizi come linee di assistenza gratuite, rifugi, centri antiviolenza o centri di riferimento per la violenza sessuale. I provvedimenti includono anche disposizioni relative ai perpetratori.
  • Persecuzione penale: La Convenzione definisce e criminalizza diverse forme di violenza contro le donne e la violenza domestica: violenza fisica e psicologica, stalking, violenza sessuale, matrimonio e aborto forzati e mutilazione genitale femminile.
  • Politiche integrate: Gli Stati membri devono sviluppare e attuare politiche coordinate, coinvolgendo agenzie governative, ONG e autorità a livello nazionale, regionale e locale, per garantire risultati efficaci.

Riguardo al tema del consenso, centrale nel caso italiano, l'articolo più importante sul tema è il numero 36, che riguarda gli atti sessuali non consensuali: la Convenzione richiede che gli Stati criminalizzino ogni atto in cui il consenso non sia “dato volontariamente come espressione della libera volontà della persona”; in questo contesto, l'assenza di resistenza non può essere interpretata automaticamente come consenso.

L’approccio globale distingue il trattato di Istanbul da tutte le altre misure in precedenza, che tiene conto di varie questioni, come la prospettiva di genere, affrontando la violenza nel contesto più ampio del raggiungimento della parità di genere, richiedendo agli Stati di implementare politiche di uguaglianza e di rafforzare l’empowerment femminile. Il documento ha posto l’attenzione anche sulle donne migranti, richiedenti asilo o senza documenti, particolarmente vulnerabili alla violenza. La Convenzione, infatti, proibisce ogni discriminazione basata sullo status di migrante o rifugiata: un intero capitolo è dedicato a queste donne, per affrontare le specificità della loro situazione.

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