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7 Dicembre 2025
18:30

L’esperimento di Milgram, quanto siamo disposti a obbedire all’autorità anche contro la nostra morale?

Saremmo davvero pronti a nuocere agli altri su ordine di un’autorità? L’esperimento di psicologia sociale di Stanley Milgram degli anni '60 sosteneva di sì, ma riesami moderni, come quello di Gina Perry, rivelano dati parziali, partecipanti dubbiosi e varianti con disobbedienza diffusa.

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L’esperimento di Milgram, quanto siamo disposti a obbedire all’autorità anche contro la nostra morale?
milgram

Saremmo davvero disposti ad andare contro la nostra morale, se fosse un'autorità a ordinarcelo? È quello che ha cercato di capire Stanley Milgram tramite un esperimento. La sua risposta nettamente affermativa a questa domanda però, ha suscitato non poche perplessità in altri studiosi che nel tempo hanno scoperto falle metodologiche e pubblicazioni dei risultati parziali. Insomma, secondo le ultime analisi non siamo tutti obbedienti fino a questo punto.

L’esperimento di Stanley Milgram, condotto nei primi anni '60 alla Yale University, è uno dei più noti e discussi studi di psicologia sociale. Il suo obiettivo era indagare fino a che punto le persone fossero disposte a obbedire a un’autorità, anche quando comportava nuocere qualcuno. Nel tempo, però i risultati presentati da Milgram sono stati oggetto di forti critiche metodologiche, in particolare quelle mosse dalla psicologa Gina Perry, che ha riesaminato materiali originali, interviste e registrazioni, mostrando una realtà molto più complessa di quella pubblicata nei report ufficiali.

Obiettivi e risultati dello studio di Milgram

Lo psicologo Stanley Milgram iniziò il suo studio poco dopo il processo ad Adolf Eichmann, uno dei principali organizzatori della deportazione degli ebrei durante il nazismo. Molti, ascoltando le parole che il gerarca aveva pronunciato in sua difesa (“ho solo eseguito degli ordini”), si chiesero se davvero le persone potessero commettere azioni terribili semplicemente per obbedire a un’autorità legittimata. Milgram decise dunque di creare una situazione sperimentale controllata che mettesse in luce le dinamiche dell’obbedienza: fino a che punto un individuo sarebbe disposto ad andare contro la propria coscienza per eseguire le istruzioni di un’autorità?

Per scoprirlo, lo psicologo pubblicò su un giornale locale un annuncio per reclutare volontari tra i 20 e i 50 anni di età, pagati 4,50 dollari l’ora, che partecipassero a un esperimento sull'apprendimento. I soggetti che accettarono, furono accolti da uno sperimentatore che spiegò loro le dinamiche dello studio: si sarebbe dovuto indagare gli effetti della punizione sulla capacità di apprendere. Tramite una finta estrazione, a un partecipante veniva assegnato il ruolo di “insegnante”, mentre un complice dello sperimentatore interpretava il ruolo dell’"allievo". L’insegnante doveva porre una serie di domande mnemoniche e in caso di errore somministrare, tramite un generatore di corrente, scosse elettriche di intensità crescente da 15 a 450 volt. Gli sperimentatori assicurano che le scariche potessero essere dolorose, ma non pericolose. Naturalmente le scosse erano finte, ma il partecipante non ne era a conoscenza. Ogni volta che l’allievo sbagliava e riceveva una scossa, emetteva gemiti, lamentele, proteste e, oltre una certa soglia di voltaggio, richiedeva di essere liberato poiché il dolore era diventato insostenibile. Se l’insegnante tentennava nell’utilizzare il generatore, lo sperimentatore (una figura autoritaria con camice da laboratorio), insisteva con frasi standardizzate come: “Per favore continui”, “L’esperimento richiede che lei continui”, “Non ha scelta, deve continuare”.

Ebbene, anche se l’ultima di queste scosse era potenzialmente letale, circa il 65% dei partecipanti arrivò a premere il pulsante dell’ultima scarica, solo perché lo sperimentatore lo ordinava. Milgram pubblicò in seguito i risultati, mostrando come una percentuale sorprendentemente alta di persone, fossero disposte a obbedire alle autorità anche contro la propria morale.

L’interpretazione di Gina Perry e le critiche all'esperimento originale

A partire dagli anni 2000, la psicologa australiana Gina Perry ha condotto un approfondito riesame dei materiali originali conservati negli archivi della Yale University. Il suo lavoro, pubblicato nel libro “Behind the Shock Machine”, ha messo in discussione la narrazione originale, mostrando perplessità sulla conduzione dell’esperimento e sulla sua interpretazione ufficiale.

  • Perry sostiene che Milgram abbia riportato solo i dati che enfatizzavano l’obbedienza massima, omettendo varianti in cui i partecipanti obbedivano molto meno. In alcune aree, come Bridgeport, solo tre persone arrivarono alla scossa massima.
  • Molti soggetti mettevano in dubbio il “realismo sperimentale”: solo metà credeva che l’esperimento fosse reale, e di questa metà due terzi disobbedì. Chi disobbediva di più tendeva, paradossalmente, a credere che l’allievo stesse davvero ricevendo la scossa.
  • Perry nota incongruenze nelle procedure: Milgram dichiarava che lo sperimentatore si fermava dopo quattro sollecitazioni verbali, ma in realtà alcune persone furono sollecitate fino a quattordici volte.
  • Sull’etica, Perry evidenzia che molti partecipanti lasciarono Yale convinti di aver inflitto scosse reali, nonostante Milgram avesse previsto procedure di “de-hoaxing”. Alcuni arrivarono persino a controllare annunci di morte per due settimane, probabilmente perché Milgram non voleva contaminare i futuri gruppi di reclutamento.
  • Infine, Milgram condusse 23 varianti dell’esperimento, spesso con risultati opposti a quelli raccontati: in più della metà dei casi, la maggioranza dei volontari disobbedì, alcuni si offrirono di scambiare i ruoli, altri diedero scosse più basse o enfatizzarono le risposte corrette per evitare punizioni.

Obbedienza e resistenza: cosa ci insegna davvero l’esperimento di Milgram

Insomma, gli esseri umani non obbediscono ciecamente: la maggior parte negozia, resiste, dubita. E' vero, alcuni contesti sociali caratterizzati da rapporti asimmetrici, come relazioni professionali gerarchiche, dinamiche di gruppo o situazioni di dipendenza emotiva, possono favorire livelli più elevati di conformità a discapito delle norme morali personali. Il quadro che emerge però, è più sfumato: l’obbedienza all’autorità esiste, ma è meno uniforme e meno automatizzata di quanto lo sperimentatore ha messo in evidenza nello studio. Il contributo più significativo dell’esperimento, riguarda però la metodologia e l’etica della ricerca psicologica, poiché ha portato allo sviluppo di standard più rigorosi per la tutela dei partecipanti, alla necessità di maggiore trasparenza nella presentazione dei dati e all’importanza di interpretare criticamente e con cautela le evidenze, senza considerarle aprioristicamente come verità assolute.

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