0 risultati
video suggerito
video suggerito
14 Giugno 2025
8:00

I cannoni “anti-grandine” sono una vecchia idea senza fondamento scientifico che rifiuta di sparire

I cannoni "anti-grandine", una invenzione diffusa verso la fine del 1800, sono ancora utilizzati in ambito agricolo in alcune parti d'Italia e nel mondo nonostante la mancanza di prove sulla loro efficacia e i disagi e pericoli strutturali derivati dal loro uso.

Ti piace questo contenuto?
I cannoni “anti-grandine” sono una vecchia idea senza fondamento scientifico che rifiuta di sparire
Cannone antigrandine
Credit: Augustin Mallet, CC BY 3.0, Wikimedia Commons

Ancora oggi, in Italia e nel mondo, alcuni agricoltori si affidano ai cosiddetti cannoni "anti-grandine", strumenti che con piccole cariche esplosive generano onde d'urto e fumo verso il cielo e che, secondo una teoria diffusa a fine ‘800, dovrebbero influenzare le precipitazioni impedendo la formazione della grandine e preservando i raccolti. Anche se alcune teorie sul loro funzionamento potrebbero sembrare sensate, la realtà dei fatti è che non ci sono prove sostanziose e solide della loro efficacia. Tradizioni e usanze però sono dure a morire, specialmente in ambiti come l'agricoltura, dove l'innovazione convive spesso con conoscenze tramandate nei secoli. L'agricoltore devo infatti difendere il frutto del proprio lavoro dal cambiamento climatico e da eventi meteorologici incontrollabili, come le dannose grandinate estive: l'impotenza di fronte alla natura può spingere ad aggrapparsi a teorie smentite già da secoli.

Quando sono nati i cannoni "anti-grandine": la storia

La storia dei cannoni antigrandine parte da molto lontano: sin dal XIV secolo ci sono evidenze dell'uso di cannoneggiamenti nella speranza che il suono influenzasse la formazione di nubi e, già nel 1750, l'imperatrice d'Austria vietò l'uso di cannoni nelle campagne, per evitare incidenti mortali e per il timore che l'influenza sulle precipitazioni sfavorisse altre aree circostanti.

Nel 1896 M. Albert Stiger, borgomastro di Windisch-Feistritz in Austria, cominciò a sperimentare l'uso di cannoni nei suoi possedimenti. La teoria sul loro funzionamento, diffusa anche in ambienti accademici italiani, era virata sull'ipotesi che le particelle di polvere e fumo avrebbero assorbito l'umidità dell'aria, formando dei nuclei, intorno a cui le gocce d'acqua si sarebbero aggregate per poi ricadere al suolo come pioggia, sottraendo quindi energia e materia prima alle nubi. Un principio nemmeno troppo strampalato, simile a quello del moderno cloud seeding, ma applicato a sistemi temporaleschi violenti e con una erogazione da terra.

I cannoni di Stiger, a forma di megafono e puntati direttamente verso il cielo, producevano una visibile nube in grado di raggiungere anche 300 metri d'altezza. Nel 1896, prima annata di studio con 6 cannoni, l'area non registrò grandinate, risultato replicato nel 1897 quando i cannoni nel borgo arrivarono a 30 disposti secondo precise griglie, mentre regioni circostanti furono invece colpite dalla grandine.

Il successo delle sperimentazioni si diffuse nell'Europa centro-meridionale, specie nelle aree vinicole di Italia, Francia, Germania e Austria: a portare i cannoni in Italia fu il dottor E. Ottaviri nel 1898, e nel 1900 se ne registravano già 10.000 attivi.

cannoni antigrandine congresso
Una illustrazione di un congresso internazionale sui cannoni antigrandine, nel 1901. Credit: Plumandon, dominio pubblico, Wikimedia Commons

I successivi anni furono però poveri di soddisfazioni: il deputato italiano Ottavi (inizialmente scettico, ma poi convinto dai primi esperimenti) in una una relazione del 1903, ammise che i danni da grandinata nelle aree coperte dai cannoni negli anni furono comunque ingenti, nonostante il loro uso preventivo e continuato. Già nel 1906 i cannoni furono quasi del tutto abbandonati, anche a causa di incidenti mortali, come nel 1903 dove solo in Lombardia si registrarono 5 morti e 30 eventi gravi. Intense stagioni temporalesche in tutta Europa evidenziarono ancor più l'inutilità di questi strumenti.

Il primo ritorno: gli anni '50

I cannoni ebbero un secondo periodo d'oro negli anni '50, a partire dagli Stati Uniti ma anche in Italia e Francia, dove si diffusero soprattutto razzi da far esplodere in quota. Curiosamente, la teoria dietro al loro funzionamento fece passi indietro, tornando al concetto medievale del suono, o meglio dell'onda d'urto, come mezzo per distruggere i chicchi di grandine.

L'idea, già scartata dagli studi dello scienziato austriaco Pernter nel 1900, venne ulteriormente screditata da successivi esperimenti americani, portati avanti nell'entusiasmo generale negli anni '60. Questi dimostrarono che i cannoni non riuscivano a distruggere chicchi di grandine oltre 1 metro di distanza e che anche usando 1 kg di TNT (trinitrotoluene, un esplosivo) si potevano danneggiare chicchi solo entro 15 metri dall'esplosione. Del resto, la grandine cade (soprattutto) durante intensi temporali con frequenti fulmini e tuoni, boati anche più forti di una cannonata e generati in quota.

Quali che fossero le teorie alla base, cannoni e razzi furono venduti in Italia fino ai primi anni '70, prima che una legge impedisse la vendita di questi ultimi.

cannoni antigrandine moderni
Un moderno sistema lanciarazzi antigrandine, installato in Georgia (USA). Credit: Lynx–extra, CC BY–SA 4.0, via Wikimedia Commons

L'ennesimo ritorno: i cannoni nel terzo millennio

Sembra assurdo, ma i cannoni anti grandine sono ritornati in auge anche nel terzo millennio, come segnalato dalla World Metereological Organization nel 2001. Uno studio "a favore" dei cannoni, nel 2023, ha evidenziato una variazione di umidità nell'aria al di sopra di un cannone anti-grandine anche fino a 40 minuti dopo una sequenza di esplosioni. Anche ammesso che la variazione non fosse del tutto casuale (anche le misurazioni precedenti le "cannonate" mostravano variazioni), le misurazioni sono state fatte a una quota massima 160 metri: le nubi temporalesche hanno quote di almeno 1500-1800 metri e si sviluppano fino a 10 km di quota, una scala molto diversa da quella dello studio.

Ciò nonostante, i cannoni vengono ancora venduti, e anche a caro prezzo: un articolo del Tribune indiano festeggia la produzione di cannoni progettati dall'Indian Institute of Technology Bombay, al costo di soli "15-20 lakh" rupie ossia 17-22mila euro (per il sistema numerico indiano, un lakh indica centomila unità). Il Giornale di Vicenza riportava invece, nel 2018, l'installazione di nuovi impianti in Italia ad un prezzo di circa 37.000 euro.

Le istituzioni al momento tollerano ancora l'utilizzo di questo strumenti, nonostante la mancanza di prove scientifiche: vengono poste condizioni nella frequenza di sparo e nella distanza da abitazioni o altri edifici, per evitare i danni alle infrastrutture. Una delibera del comune di Guarene (CN) limita a 200 metri da abitazioni e 50 metri da strade pubbliche l'installazione di nuovi impianti, non utilizzabili per più di 6 "cannoneggiamenti" all'ora. Sono necessari anche specifici nullaosta da richiedere agli aeroclub locali e limitazioni nel posizionamento rispetto a aeroporti ed eliporti.

Sfondo autopromo
Cosa stai cercando?
api url views