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25 Agosto 2024
17:12

Il disastro di Bhopal, storia e conseguenze del peggior incidente industriale della storia

Il disastro avvenuto il 3 dicembre 1984 in uno stabilimento della Union Carbide a Bhopal, in India, è tuttora il peggior incidente industriale della storia: più di 3700 morti accertati, cifra probabilmente molto inferiore alla realtà, più decine di migliaia di feriti e conseguenze ambientali e sociali ancora attuali.

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Il disastro di Bhopal, storia e conseguenze del peggior incidente industriale della storia
Bophal impianti nel 1985
L’impianto di Bhopal, ad un anno dall’incidente. Credit: Bhopal Medical Appeal (Martin Stott), via Wikimedia Commons

L'incidente avvenuto nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 a Bhopal, cittadina dell'India centrale che già all'epoca contava quasi 1 milione di abitanti, è probabilmente il peggior disastro industriale della storia. La causa principale dell'incidente fu lo stato di semi-abbandono di un importante stabilimento chimico per la produzione di pesticidi, di proprietà della Union Carbide Corporation (UCC), che portò alla diffusione di una nube di gas irritante e tossica. La scarsa preparazione delle autorità locali e la poca collaborazione dell'azienda, che rifiutò per giorni di fornire informazioni ai presidi sanitari, causarono la morte accertata di almeno 3700 persone, anche se le stime di agenzie non governative suggeriscono numeri molto più alti. Ma come si svolsero esattamente i fatti quella notte, e quali sono le conseguenze che la popolazione ha affrontato e affronta ancora oggi?

Dove è avvenuto l'incidente: lo stabilimento Union Carbide

Per favorire lo sviluppo industriale della nazione, l'India offrì negli anni '70 condizioni vantaggiose agli investitori e alle compagnie estere per la costruzione di impianti nel suo territorio. La UCC ottenne i permessi per costruire uno stabilimento per la produzione del pesticida Sevin, di uso sempre crescente nel sud est asiatico, in un area densamente popolata della città di Bhopal. La città fu scelta per la sua posizione centrale nel Paese e per la rete di trasporti sviluppata; lo stesso governo indiano entrò come azionista al 22% nella società appositamente creata, la Union Carbide India Limited (UCIL).

Inizialmente pensato per la sola produzione del prodotto finale, lo stabilimento fu nel tempo modificato per comprendere il processo completo a partire dalle materie prime, alla ricerca di una riduzione dei costi, ma con rischi crescenti dovuti all'aumentata complessità dell'impianto.

Periodi di scarso raccolto impoverirono il settore agricolo nei primi anni '80, portando a una forte riduzione del consumo di pesticidi nel subcontinente indiano: per questo motivo la UCC pianificò un progressivo abbandono del sito e lo spostamento di parte della produzione in altri paesi in via di sviluppo. Proprio questo piano ridusse gli investimenti sull'impianto, con un grave impatto sulle misure di sicurezza inizialmente previste e applicate invece nell'impianto "gemello" di Institute, West Virginia (USA). Tutto questo avvenne sotto gli occhi delle autorità governative, che non intendevano calcare la mano con la UCC nella speranza di mantenere parte della produzione in India.

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Credit: Luca Frediani, via Wikimedia Commons

Il disastro di Bhopal: cos'è successo il 3 dicembre 1984

Alle 23:00 del 2 dicembre 1984, un operatore notò una prima, piccola perdita di gas metil-isocianato, abbreviato in MIC (formula chimica CH3-N=C=O), un gas irritante utilizzato come reagente nel processo di produzione del pesticida.

A causa di una valvola non funzionante, nel serbatoio 610 circa una tonnellata di acqua era entrata in contatto con 40 tonnellate di MIC, innescando una reazione esotermica che causò quindi un aumento della temperatura e della pressione: visto lo scarso stato di manutenzione degli impianti e i frequenti falsi allarmi, però, questo primo aumento venne sottovalutato dal supervisore del turno notturno, che decise di rinviare ulteriori controlli dopo la pausa di mezzanotte.

Nel momento in cui la pressione passò dai 2 psi di normale utilizzo a valori intorno ai 40/55 psi, le valvole di sicurezza si aprirono: il MIC, a pressioni e temperature elevate, si era nel frattempo parzialmente degradato ad acido cianidrico, un composto gassoso in grado di interrompere la respirazione cellulare portando rapidamente alla morte per arresto respiratorio.

L'impianto prevedeva diverse misure di sicurezza per contrastare un evento simile: il serbatoio disponeva di un impianto di raffreddamento per rallentare eventuali reazioni, i gas usciti dalle valvole di sicurezza potevano essere neutralizzati con l'uso soda caustica e indirizzati verso un bruciatore, ed era possibile attivare un "muro d'acqua" per solubilizzare le perdite.

L'impianto di raffreddamento era stato però svuotato per utilizzare altrove il refrigerante, il bruciatore fermo per manutenzione da mesi a causa della corrosione di alcune tubazioni, e la concentrazione della soda necessaria non era stata verificata da ottobre. Lo sfiato del gas si verificò inoltre da una tubatura a 33 metri di altezza, non raggiungibile dal muro d'acqua.

La nube tossica e la confusa risposta delle autorità

Gli effetti del gas sulla popolazione furono avvertiti già verso le 23:30 del 2 dicembre, ma molti intorno alla fabbrica non fuggirono subito, perché non allertati dal sistema di allarme pubblico e abituati già a piccole perdite. Quando le sirene finalmente suonarono, per pochi minuti delle 01:00 del 3 dicembre, la direzione del vento non fu comunicata, al contrario di quanto fatto con i dipendenti dello stabilimento.

La nube si diffuse sull'intera città, raggiungendo anche quartieri benestanti oltre i grandi laghi che in parte assorbirono i gas, ma si concentrò per il vento in direzione sud-est verso alcuni dei quartieri più poveri. Gli abitanti di queste aree vivevano in alloggi meno protetti dall'aria esterna, e per la stragrande maggioranza non disponevano di mezzi di trasporto: fuggendo a piedi subirono più a lungo gli effetti nocivi del gas.

Molte vite furono salvate dalle azioni eroiche dei singoli, come quelle del capostazione H.S. Bhurvey, tra le vittime di quella notte: nonostante l'aria fosse irrespirabile, rimase in stazione a poche centinaia di metri dalla fabbrica per indicare ai treni in arrivo di non fermarsi e avvisare le stazioni vicine, affinché fosse fermato il traffico diretto a Bhopal.

Migliaia di vittime caddero già per le strade, ma anche chi riuscì a raggiungere gli ospedali o le cliniche allestite nei vicini paesi nelle ore successive non ricevette subito le cure appropriate: dalla UCC non furono rilasciate informazioni precise, nel tentativo di coprire le proprie responsabilità dell'evidente disastro, lasciando al personale medico la responsabilità di avanzare ipotesi e tentare terapie nel caos generale. L'ipotesi di esposizione a cianuri fu dibattuta a lungo tra gli esperti, portando a fatali ritardi nella somministrazione diffusa di antidoti.

I danni del MIC: le vittime accertate e le conseguenze del disastro

Secondo le cifre ufficiali, i decessi totali furono oltre 3700. Il grande numero di cadaveri per le strade, unito a quello degli animali anch'essi uccisi dal gas e al rischio di epidemie, spinse l'esercito intervenuto in nottata a creare fosse comuni che si sommarono alle sepolture non registrate operate dai cittadini, per cui la conta delle vittime probabilmente fu pesantemente sottostimata. L'entità della tragedia fu chiara a giornalisti e fotografi accorsi, nei giorni successivi, nella città.

Fonti non governative e funzionari UNICEF in visita alla cittadina in seguito al disastro ipotizzarono una cifra più vicina a 7000 o 10.000 morti. L'enorme confusione del momento causò problemi anche in seguito, quando il governo ridistribuì le cifre stanziate dalla UCC per l'emergenza, lasciando molte familiari delle vittime senza risarcimenti.

L'inferno, purtroppo, continuò a lungo per i sopravvissuti: molti subirono disabilità permanenti, dalle difficoltà respiratorie e affaticamento precoce a problemi alla vista, una condanna alla povertà per i tanti stipendiati alla giornata che non poterono più riprendere i loro lavori. Si registrarono inoltre negli anni forti aumenti di aborti spontanei e malformazioni neonatali, così come un alto numero di problemi ginecologici e incidenza di tumori 27 volte maggiore rispetto alla popolazione limitrofa.

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Proteste e rivendicazioni continuano da decenni, per portare l’attenzione sulle conseguenze ancora attuali per l’ambiente e per i sopravvissuti alla tragedia [Fonte: Stefan Krasowski, via Wikimedia Commons]

Anni di battaglie legali, in territorio indiano così come nelle corti USA, portarono infine ad un risarcimento di 500 milioni di dollari versato dalla UCC al governo indiano, che si occupò di distribuirlo alla cittadinanza, non senza difficoltà.

Per quanto riguarda la ricerca dei colpevoli, però, nessun alto dirigente della UCC scontò la sua pena: l'amministratore Warren Anderson, inizialmente arrestato al suo atterraggio in India nel 1984, fu rapidamente rimesso in libertà dalle autorità locali su pressioni estere e poté sottrarsi al processo successivo, chiuso con la sua condanna nel 1992. La richiesta di estradizione del 2003 fu negata dagli USA, per cui Anderson rimase libero fino alla sua morte nel 2014.

Dopo 40 anni, Bhopal è oggi una città più moderna, con 1.800.000 abitanti e una industria del turismo in crescita: le ombre della UCC rimangono però sull'area mai bonificata dello stabilimento. Nelle acque sotterranee cittadine, ancora negli anni 2000, si registravano concentrazioni di mercurio 6 volte più alte dei limiti suggeriti dall'EPA e composti organo-cloridrici a concentrazioni 50 volte maggiori: l'ultima eredità del peggiore disastro industriale della storia.

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