
Era l’estate del 1984, il 24 luglio, quando tre teste dalle forme allungate emersero da un canale di Livorno, con nasi longilinei e occhi piccoli che subito catturarono l’attenzione degli esperti d’arte: tutti erano pronti ad attribuirle ad Amedeo Modigliani, scomparso sessant’anni prima. La scoperta sembrava confermare una leggenda locale che raccontava di come l’artista avrebbe gettato nei canali quattro sculture insoddisfacenti. Le teste furono accolte come miracolo, con Giulio Carlo Argan in prima fila a garantirne l’autenticità, ma dopo quaranta giorni, tre studenti confessarono di aver creato una delle opere come scherzo, e le altre due risultarono performance dell’artista portuale Angelo Froglia, che voleva mostrare quanto fosse fragile la percezione collettiva. La “burla di Livorno” scosse il mondo dell’arte e la sua credibilità.
Nel 1984 si celebravano a Livorno i cento anni dalla nascita dell’artista, celebre per i suoi ritratti caratterizzati da volti allungati e occhi cerulei senza pupilla. Al Museo Progressivo di Arte Moderna di Livorno erano in mostra per l'occasione quattro delle 26 teste di Modì, come si firmava l'artista: in quell'occasione, la direttrice del museo e curatrice della mostra Vera Durbé (che lavorò in collaborazione al fratello Dario, sovrintendente alla Galleria d’Arte Moderna di Roma), diede spazio a una vecchia leggenda, secondo cui Modigliani avrebbe gettato nei canali di Livorno, sua città natale, quattro sculture che trovava insoddisfacenti.
Data la curiosità del pubblico, e per dare più luce alla mostra, si cominciarono a dragare le acque del Fosso Reale, il canale navigabile davanti al Mercato centrale, alla ricerca delle opere d'arte. Dopo sette giorni di perlustrazione a vuoto, tre teste di pietra vennero trovate da una scavatrice: si gridò al miracolo, e le opere vennero subito accreditate a Modigliani. Per quaranta giorni il mondo dell’arte si lasciò entusiasmare, guidato dal più importante critico d'arte italiano, Giulio Carlo Argan, che non dubitava dell'autenticità dei ritrovamenti.
Tra agosto e l’inizio di settembre 1984 circa, tuttavia, tre studenti locali – Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e Michele Ghelarducci – avevano rilasciato un’intervista a Panorama in cui confessavano di essere i veri autori della seconda testa pescata a Livorno. Niente più di un gioco, dissero i tre, che avevano realizzato l'opera con un trapano elettrico Black & Decker. A corredo dello scoop, che la Mondadori gli aveva pagato 10 milioni di lire, il settimanale pubblicò persino delle foto dei tre studenti nel momento in cui realizzavano l’opera in un giardino. I tre vennero quindi invitati in televisione a ripetere il loro esperimento davanti a dieci milioni di telespettatori. Ecco che "la burla di Livorno” diventò lo scherzo del secolo.
Il mondo dell'arte si aggrappò al fatto che i tre studenti stessero rivendicando solo una delle tre teste. Tuttavia, le altre due furono rivendicate dal portuale e artista Angelo Froglia, che voleva in questo modo fare "evidenziare come attraverso un processo di persuasione collettiva, attraverso la Rai, i giornali, le chiacchiere tra persone, si potevano condizionare le convinzioni della gente". E così accadde davvero: questo colpo di scena scosse profondamente il mondo dell’arte, mettendo in discussione non solo le certezze degli esperti, ma anche la credibilità stessa del sistema artistico.