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19 Luglio 2025
6:00

Chi era Paolo Borsellino, il magistrato che si batté contro Cosa Nostra ucciso nella strage di Via D’Amelio

Paolo Borsellino, magistrato simbolo della lotta alla mafia, lavorò con Falcone al maxiprocesso e denunciò i legami tra Cosa Nostra e la politica. Fu ucciso nel 1992 nella strage di via d'Amelio. Ancora oggi restano ombre su mandanti e responsabilità dello Stato.

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Chi era Paolo Borsellino, il magistrato che si batté contro Cosa Nostra ucciso nella strage di Via D’Amelio
Borsellino copertina

Paolo Borsellino, nato a Palermo nel 1940 e ucciso nel 1992, è stato un magistrato simbolo della lotta alla criminalità organizzata, impegnato in prima linea nelle indagini su Cosa Nostra Entrato giovanissimo in magistratura, iniziò a occuparsi della criminalità organizzata negli anni '80 e fece parte del pool antimafia insieme, tra gli altri colleghi, a Giovanni Falcone con cui scrisse anche l’ordinanza di rinvio a giudizio del maxi-processo. Sebbene coinvolto in alcune polemiche, sia sulla stampa sia con altri magistrati, non esitò mai a esprimere le proprie idee e portò avanti indagini anche sui legami tra mafia e politica. Il 19 luglio 1992 fu assassinato da un’autobomba, meno di due mesi dopo l’uccisione di Falcone, nella cosiddetta strage di Via d'Amelio, della quale si sospetta che la mafia abbia agito su impulso di «mandanti esterni».

La gioventù di Paolo Borsellino

Paolo Borsellino nacque a Palermo, nel quartiere della Kalsa, il 19 gennaio 1940 da una famiglia benestante. Da adolescente, frequentando i campi di calcio del quartiere conobbe Giovanni Falcone, che in futuro sarà suo collega e amico.

Borsellino da bambino
Borsellino da bambino

Terminate le scuole, Borsellino si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo e militò per alcuni anni nel "Fronte universitario di azione nazionale" (Fuan), l’associazione studentesca di destra. Si laureò nel 1962 e l’anno successivo, nonostante le ristrettezze economiche nelle quali si era trovata la famiglia per la morte del padre, riuscì a superare il concorso in magistratura: a soli 23 anni, divenne il più giovane magistrato d’Italia.

Le prime esperienze da magistrato e il matrimonio

Dopo aver terminato il tirocinio, Borsellino iniziò la carriera alla sezione civile del tribunale di Enna, presso il quale restò dal 1965 al 1967. In seguito, fu nominato pretore di Mazara del Vallo (Trapani). Nel 1968  convolò a nozze con Agnese Pirano Leto, dalla quale avrà tre figli; l’anno successivo fu nominato pretore di Monreale (Palermo) e iniziò a collaborare con il capitano Emanuele Basile, comandante della locale stazione dei carabinieri. Nel 1975 fu trasferito al tribunale di Palermo all’ufficio istruzione (l’ufficio incaricato di “istruire” i processi, non più esistente dopo l’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1989).

Con la famiglia negli anni '70
Con la famiglia negli anni ’70

Borsellino contro la mafia: dalla morte di Basile al maxiprocesso contro Cosa Nostra

Borsellino iniziò a occuparsi di mafia nel 1980, lavorando alle indagini avviate dal commissario Boris Giuliano, ucciso nel 1979. Il 4 maggio 1980 Cosa nostra assassinò anche il capitano Basile, con il quale Borsellino aveva continuato a collaborare. Il magistrato fu incaricato delle indagini sull’omicidio e ottenne per la prima volta l’assegnazione della scorta. Nello stesso periodo si legò a Rocco Chinnici, capo dell’ufficio istruzione, che nel 1983 promosse la fondazione del pool antimafia, costituendo una squadra di giudici che si occupassero esclusivamente di Cosa Nostra: Borsellino, Falcone e Giuseppe Di Lello, ai quali si aggiungerà Leonardo Guarnotta. Chinnici fu ucciso poco dopo e la guida del pool passò ad Antonino Caponnetto.

La mafia, a quel tempo, era in una fase di forte espansione: nel 1981 la fazione “corleonese”, guidata da Totò Riina e Bernardo Provenzano, aveva scatenato e vinto una guerra contro le cosche “palermitane”, provocando centinaia di vittime. Cosa Nostra era diventata più potente, ma si trovò in difficoltà perché alcuni membri della fazione sconfitta, tra i quali Tommaso Buscetta, decisero di collaborare con la giustizia: grazie alle rivelazioni dei pentiti, le forze dell’ordine effettuarono numerosi arresti e nel 1986 prese avvio il maxiprocesso, nel quale erano imputati più di 400 mafiosi. Borsellino scrisse l’ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio insieme a Falcone, trasferendosi per un periodo in una località protetta, l’Asinara.

Il trasferimento a Marsala e le “stagione dei veleni”

Il maxiprocesso, terminato con numerose condanne, segnò una svolta nella lotta alla mafia. I magistrati che lo avevano reso possibile divennero figure popolari, ma si attirarono anche critiche e ostilità. Nel 1986 Borsellino divenne procuratore di Marsala e nel gennaio successivo subì un attacco giornalistico da Leonardo Sciascia, secondo il quale i processi per mafia servivano ai magistrati per fare carriera (i due uomini si riconcilieranno dopo alcuni mesi).

Con Sciascia nel 1988, dopo la riconciliazione
Con Sciascia nel 1988, dopo la riconciliazione

Dopo la mancata nomina di Falcone a capo dell’Ufficio Istruzione, in favore di Antonino Caponnetto, Borsellino non esitò a criticare apertamente il Consiglio Superiore della Magistratura e alcuni colleghi, attirando su di sé nuove polemiche. Nonostante le tensioni, Falcone continuò a indagare su Cosa Nostra, approfondendo anche i legami tra mafia e politica.

L’"intervista nascosta" e la morte di Falcone

Nel marzo del 1992 Borsellino fu trasferito nuovamente al tribunale di Palermo come procuratore aggiunto. Il 21 maggio rilasciò un’intervista a due giornalisti della rete francese Canal+, parlando dei legami tra la criminalità siciliana e gli industriali del Nord Italia. Affermò che il mafioso Vittorio Mangano, già stalliere di Silvio Berlusconi ad Arcore, era una «testa di ponte» di Cosa Nostra nell’Italia settentrionale, ma dichiarò di non voler dire nulla sull’imprenditore perché non seguiva personalmente le indagini. L’intervista, nonostante numerose richieste di messa in onda, non è stata mai trasmessa dalla Rai in versione integrale.

L'intervista nascosta del 1992
Una ripresa dell’ "intervista nascosta" del 1992

Il 23 maggio la mafia attentò alla vita di Falcone che, ferito nell’esplosione di Capaci, morì in ospedale mentre Borsellino gli era accanto.

La morte di borsellino: la strage di via d’Aamelio

Dopo la morte di Falcone, Borsellino continuò il suo lavoro, proponendosi di indagare anche sulla strage di Capaci. Era però consapevole, anche grazie a informazioni ricevute dai collaboratori di giustizia, che la mafia intendeva eliminarlo. L’attentato ebbe luogo il 19 luglio 1992, solo 57 giorni dopo la morte di Falcone: un’autobomba esplose a Palermo in via Mariano d’Amelio, dove abitava la madre del giudice, uccidendo sul colpo Borsellino e cinque agenti della scorta.

La bomba di via d'Amelio
Lo scenario in via d’Amelio dopo l’esplosione dell’autobomba, 1992

Dopo la strage, i familiari del magistrato e alcuni giornalisti hanno avanzato il sospetto, mai accertato, che l’attentato fosse stato coperto, se non voluto, da apparati dello Stato, perché Borsellino era venuto a conoscenza della trattativa Stato-mafia (cioè il tentativo di accordo con Cosa Nostra portato avanti da settori dello Stato per far cessare le stragi in cambio di benefici ai mafiosi). Tra l’altro, in via D’Amelio non fu ritrovata l’agenda rossa, sulla quale il magistrato prendeva appunti importanti per le sue indagini, e non è mai stato appurato chi l’abbia prelevata.

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