
Il Cambridge Dictionary ha recentemente eletto “parasocial” parola dell’anno 2025, un riconoscimento che riflette un fenomeno sempre più centrale della vita digitale: quelle connessioni unilaterali che le persone formano con celebrità, influencer online, personaggi di fantasia e perfino chatbot AI. Ma cosa significa esattamente parasocial e perché è diventata così popolare oggi?
Non si tratta di semplice una ammirazione, devozione o perfino ossessione verso una celebrità, per la quale gli inglesi hanno coniato il termine star-struck, né tantomeno il curioso caso in cui ci si innamora di un personaggio immaginario di un libro o di una serie tv, dove anche in questo caso esiste un termine ben preciso: la fictosexuality o fictophilia.
Il termine “parasocial” deriva da parasocial interaction, interazione parasociale, un concetto coniato per la prima volta nel 1956 dai sociologi Donald Horton e Richard Wohl che serve a descrivere quell’illusione di intimità che un pubblico prova nei confronti di una persona mediatica. Anche senza un vero scambio reciproco, chi guarda TV, ascolta podcast o segue sui social un influencer può arrivare a sentire un legame simile all’amicizia di chi si trova dall’altra parte dello schermo, specie quando ci si riconosce nelle vicende vissute, nei modi di pensare oppure nei valori che condividono pubblicamente.
Queste interazioni inizialmente sono brevi, ma con il tempo possono evolvere in delle relazioni “parasociali” più profonde, protraendosi nel tempo e coinvolgendo le persone sino a sviluppare un vero attaccamento emotivo. Si crea così un meccanismo di identificazione nell’altro al di là dello schermo e la relazione arriva persino ad essere un bisogno psicologico per il fan. Con l’avvento dei social media e dell’intelligenza artificiale, l’esperienza è diventata ancora più intensa e dinamica perché non soltanto siamo esposti continuamente a celebrità online che spesso interagiscono con i propri fan tramite le interviste, ma alcuni utenti instaurano legami simili anche con chatbot o personalità digitali che si servono della continua interazione con i loro fruitori per evolvere il proprio algoritmo.
Alcuni psicologi mettono in guardia su questo fenomeno sottolineando che anche se le relazioni parasociali possono fornire inizialmente conforto, quando sono portate all’estremo rischiano di essere disfunzionali. Quando diventano ossessive possono addirittura interferire con la vita reale, spingendo chi le vive ad affievolire le relazioni autentiche.
Pare che la crescita di questo fenomeno sia diffuso soprattutto tra gli adolescenti che spesso trovano nelle celebrità una fonte di connessione e rassicurazione. In contesti digitali, l’interazione parasociale si è evoluta enormemente rispetto agli anni Sessanta e grazie a piattaforme come Twitch o YouTube è più facile sentirsi parte della vita di un content creator. Inoltre, alcuni studiosi segnalano che nonostante il benessere percepito da queste relazioni parasociali, sono i legami reali quali amici, famiglia e la propria comunità a contribuire maggiormente al benessere psicologico degli utenti, piuttosto che il legame unilaterale con uno streamer o un VIP.
Il motivo per cui parasocial fa tanto rumore oggi è legato a un tema più ampio: la crisi di isolamento sociale di cui molto spesso si sente parlare oggi, e spesso la falsa percezione di connessione può essere ambigua siccome viene alimentata da algoritmi, storytelling mediatico e chatbot digitali sempre più “umanizzati”. Si potrebbe cogliere l’occasione di scoprire la parola dell’anno per riflettere su cosa significa davvero “relazione” nell’era digitale.
Oltre a parasocial, le altre parole che raccontano l’epoca in cui stiamo vivendo sono vibe coding — che indica l’uso dell’intelligenza artificiale per generare codice a partire da istruzioni in linguaggio naturale — eletta dal Collins Dictionary, e 6-7, un termine che il Dictionary.com ha selezionato pur definendolo “ambiguo e insensato”. Fa parte dello slang virale tra gli adolescenti, che lo usano come interiezione dal significato “così-così”, “forse”.