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19 Ottobre 2025
13:00

Perché i gatti avevano facce bizzarre nei manoscritti medievali?

Nei manoscritti medievali i gatti appaiono deformi o umanizzati per motivi simbolici. Considerati animali pagani e legati alla sensualità femminile, furono identificati come belve demoniache dalla Chiesa, che li associò al diavolo, agli ebrei e alle streghe.

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Perché i gatti avevano facce bizzarre nei manoscritti medievali?
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Cat king, Germany, circa 1450. Scheibler’sches Wappenbuch – BSB Cod.icon. 312c

Facce strane dai lineamenti umani, corpi allungati o schiacciati: perché nei manoscritti medievali i gatti non somigliano a quelli veri? Le particolari forme date a questi animali non c'entrano con l'abilità personale degli autori coinvolti nella loro realizzazione, ma è una scelta precisa data dalla simbologia storica del gatto durante il Medioevo europeo.

In merito esistono diverse teorie. La prima e più diffusa è che, come in altri casi nell'Occidente medievale, l'influenza della Chiesa cattolica sia stata importante. Prima che il cristianesimo si diffondesse in Europa, i gatti erano molto amati: come succedeva già presso gli egiziani – che li avevano elevati a divinità – anche presso gli antichi greci e romani erano animali apprezzati sia per il loro lavoro come cacciatori di topi e altri animali invasivi, sia per la loro associazione con il mondo femminile, con la libertà, la sessualità e l'indipendenza.

Dato il simbolismo pagano del gatto e il suo legame con aspetti femminili ritenuti indocili, è decisamente plausibile che la Chiesa medievale cercasse di eliminarlo durante il processo di evangelizzazione e sostituzione culturale in Europa. Le caratteristiche attribuite al felino – sensualità, indipendenza, ambiguità – si opponevano all’ideale di donna cristiana, docile e pura, modellata sull’immagine della Vergine e rafforzata dalla tradizione dell’amor cortese. Al contrario, tali tratti venivano associati ai vizi femminili più temuti: la lussuria, la debolezza morale, la tendenza alla tentazione. Non a caso Papa Innocenzo VIII definì i gatti “animali prediletti dal diavolo e compagni delle streghe”.

A favorire la demonizzazione del gatto contribuirono numerose superstizioni. Oltre a essere legato agli eretici e temuto per la sua capacità di muoversi nel buio – interpretata come un potere diabolico, simile al rapimento delle anime – il felino finì al centro di credenze che mescolavano paura religiosa e pregiudizi sociali. In un’epoca in cui l’antisemitismo era profondamente radicato, si diffuse la diceria che gli ebrei potessero mutarsi in gatti per introdursi nelle case dei cristiani e compiere atti sacrileghi, mentre si credeva che stregoni e streghe allevassero gatti, soprattutto neri, come loro famigli. Queste idee, alimentate da ignoranza e sospetto, consolidarono l’immagine malefica dell’animale, che divenne bersaglio di persecuzioni e di rituali crudeli, spesso giustificati come atti di purificazione.

L‘arte medievale era fondamentalmente religiosa, aveva lo scopo di illustrare gli aspetti più importanti dell'insegnamento cristiano e rifletterne gli ideali: tra questi c'era la credenza, legata al mito della creazione, poiché si pensava che Dio avesse dato vita agli animali affinché fossero a disposizione degli uomini. Se, tra i tanti, i cani erano simboli di lealtà e valore e l'ermellino di purezza, i gatti diventarono sostanzialmente delle belve demoniache incapaci di controllarsi, con facce abnormi e pose contorte che ne enfatizzavano la malvagità.

Un’altra teoria, tuttavia, sostiene che i gatti fossero in realtà ben accetti e convivessero pacificamente con monaci e religiosi nei conventi e nei monasteri. Ne sono prova le numerose raffigurazioni nei manoscritti e le impronte d’inchiostro lasciate dalle loro zampe sui libri. Ma perché allora, in molte miniature, appaiono così bizzarri? Probabilmente perché gli amanuensi cercavano di attribuire loro tratti umani, rendendoli più simili a piccole figure antropomorfe, in linea con la simbologia e l’immaginario medievale.

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