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Alcuni di noi riescono a ricordare solo qualche evento della loro infanzia, altri invece non ricordano nulla. Altri ancora ricordano cose mai successe. La memoria legata agli eventi della nostra infanzia è come una stanza buia dove, a volte, sembra di scorgere qualcosa che non è chiaro se sia realtà, frutto della nostra fantasia, o costruzione a posteriori basata sul racconto dei nostri genitori o parenti. Tendenzialmente, non ci ricordiamo dei nostri primi anni di vita perché l'immaturità delle strutture del nostro cervello legate alla memoria rende difficile trasformare gli eventi vissuti nei primi anni di vita in memorie esplicite a lungo termine e, senza la capacità di linguaggio, costruire una struttura logica e temporale che ci aiuti a organizzare i ricordi è molto difficile.
Lo sviluppo del cervello nei primi anni di vita
Il cervello, durante i primi anni di vita, ha uno sviluppo esplosivo, e i suoi collegamenti neurali sono molto dinamici. Se osservassimo le regioni cruciali della memoria nel cervello di un bambino piccolo noteremmo che l’ippocampo, una struttura a forma di cavalluccio marino che sta sotto la corteccia e che si occupa proprio della fase di consolidamento dei ricordi, non si presenta con lo stesso grado di sviluppo di un cervello adulto. L’ippocampo, come la gran parte dei neuroni del bambino, forma sì collegamenti ad una velocità impressionante, ma allo stesso tempo la solidità di quei legami è instabile, e soggetta ad un altrettanto dinamico processo di “potatura”, ovvero di rottura delle connessioni. Il risultato è una generale difficoltà di portare a termine tutto quel complicato processo che và dal vivere un evento a trasferirlo nella memoria a lungo termine.
Oltre all’ippocampo, anche la corteccia prefrontale vive un momento di grande plasticità. Quest’area, cruciale nei processi di ragionamento, pianificazione e presa di decisioni, è anche coinvolta nel recupero dei ricordi. Quindi, da una parte c’è una difficoltà a trasformare la memoria a breve termine in memoria a lungo termine, a causa dell'estrema plasticità dell’ippocampo, dall’altra è difficile una stabilità dei ricordi e un loro recupero lineare per via della stessa complessità che affligge la corteccia prefrontale.
Scavando più in profondità, scorpiamo che non tutte le sotto-aree delle aree che abbiamo nominato hanno lo stesso grado di sviluppo, e di conseguenza alcune capacità mnemoniche si sviluppano presto, soprattutto se parliamo di memoria implicita (che è la memoria che utilizziamo per camminare o per utilizzare le posate) o pre-esplicita (quella del saper riconoscere volti e oggetti). Per quest’ultima, ad esempio, sembra avere particolare importanza il subiculum, una sottostruttura dell’ippocampo già relativamente matura alla nascita.

Il ruolo fondamentale del linguaggio
L’arrivo della capacità di linguaggio è un grande spartiacque per la nostra capacità di formare e recuperare ricordi autobiografici, cioè quelli legati alla nostra esperienza personale. La verbalizzazione, infatti, richiede una struttura narrativa, uno svolgimento nel tempo, una definizione chiara dei soggetti e degli oggetti delle frasi. In altre parole, richiede una struttura logica che aiuta il nostro cervello a formare in memoria il racconto della nostra vita. Non a caso, i ricordi della vita prima del linguaggio sono ricordi disorganizzati, slegati dalla linea del tempo e, proprio per questo, di difficile recupero.
Il linguaggio è quindi, in un certo senso, il treno porta-ricordi che li organizza, li mette in fila, e li rende più accessibili. Per questo motivo molti dei nostri ricordi iniziano a formarsi intorno ai tre o quattro anni di età, quando la nostra parlantina diventa più abile e strutturata.
L’influenza della cultura sull’amnesia infantile
Se, come abbiamo visto, il linguaggio ricopre un ruolo centrale, potremmo pensare che anche la cultura in senso più ampio sia decisiva. Infatti, le ricerche transculturali hanno dimostrato che ci sono differenze significative tra le culture occidentali e orientali nella capacità di ricordare i primi anni di vita. In particolare, i bambini cresciuti in contesti occidentali, dove la narrazione personale è fortemente valorizzata, tendono a ricordare eventi della loro infanzia più precocemente rispetto ai bambini cresciuti in culture orientali, dove i ricordi sono spesso meno focalizzati sull'individuo e più generici.
In queste società, le pratiche di educazione e le interazioni con i genitori giocano un ruolo fondamentale: nelle famiglie occidentali, si incoraggia una narrazione più dettagliata e personale degli eventi, mentre in quelle orientali si tende a raccontare meno i ricordi individuali e più quelli collettivi o sociali. Di conseguenza, i bambini cresciuti in ambienti occidentali sviluppano una maggiore abilità nel ricordare i loro primi anni di vita in modo più dettagliato e con una maggiore enfasi sulle emozioni personali.
Questo tipo di differenze culturali suggerisce che il linguaggio e la narrazione non solo aiutano a organizzare i ricordi, ma contribuiscono anche a come questi vengono immagazzinati e successivamente recuperati.