
Il processo alle streghe di Triora vide trenta donne accusate di aver provocato una carestia mediante riti magici, in combutta con il Maligno, tra il 1587 e il 1589. Le sventurate di quello che ancora oggi è noto come “borgo delle streghe” furono ingiustamente imprigionate e sottoposte a torture atroci, a causa delle quali una presunta strega morì e un’altra si tolse la vita. Le autorità politiche della Repubblica di Genova, della quale faceva parte la “Salem d'Italia”, decisero di porre fine al processo senza eseguire le condanne a morte richieste dai giudici. Oggi sappiamo che, molto probabilmente, la carestia era stata provocata dalla speculazione dei proprietari terrieri, tra i quali figuravano alcuni dei più accesi accusatori delle streghe.
Il processo alle streghe di Triora
Triora oggi è un piccolo borgo del ponente ligure, in provincia di Imperia. Nei secoli dell’età moderna apparteneva alla Repubblica di Genova e godeva di una discreta importanza commerciale, trovandosi sulla strada per la Francia.

Il caso della stregoneria scoppiò nell’autunno del 1587, dato che da circa due anni il paese soffriva per una carestia. Tra gli abitanti iniziò a circolare l’idea che la penuria di viveri potesse essere causata dai sortilegi effettuati dalle streghe. Di conseguenza il Parlamento locale chiese alle autorità religiose di intervenire, questo perché la Repubblica di Genova era sottoposta, come il resto della Penisola italiana, alla giurisdizione dell’Inquisizione romana. Si trattava di un'istituzione dipendente dal Papa (non presente in altri Paesi, dove operavano altre strutture inquisitorie), che perseguiva i crimini contro la religione, tuttavia, in caso presunta stregoneria, intervenivano anche le autorità civili. Le condanne, anche quando erano comminate dai tribunali ecclesiastici, erano eseguite sempre dalle autorità civili.
A Triora, per indagare sulla carestia, arrivarono due inquisitori, il vicario dell’inquisitore dei Genova e il vicario dell’inquisitore di Albenga, Girolamo del Pozzo. I due sacerdoti, raccogliendo le denunce degli abitanti, fecero arrestare venti donne e le sottoposero a pesanti torture. Tredici di loro confessarono di aver compiuto riti stregoneschi: oggi sappiamo che, essendo estorte sotto tortura, le confessioni erano prive di valore, perché gli imputati confessavano qualsiasi colpa pur di mettere fine ai tormenti, ma all’epoca erano considerate valide. A Triora, peraltro, le torture furono particolarmente crudeli, al punto che una delle donne arrestate, la sessantenne Isotta Stella, morì durante gli interrogatori e un’altra si gettò dalla finestra pur di mettere fine ai tormenti. Grazie alle confessioni estorte con la tortura, i due inquisitori fecero arrestare anche altre presunte streghe.
Che fine hanno fatto “le streghe” e le scoperte dopo il processo
La violenza delle torture e il numero elevato delle presunte streghe fece sì che le autorità politiche di Triora, in particolare il Consiglio degli anziani, chiedessero agli inquisitori di procedere con maggiore cautela. Il governo della Repubblica di Genova, dal canto suo, mandò a Triora un suo emissario, Giulio Scribani, per occuparsi della questione della stregoneria. Scribani prese il posto dei due inquisitori e agì con brutalità ancora peggiore, occupandosi persino di eseguire personalmente le torture contro le presunte streghe. Fece inoltre trasferire le accusate al carcere di Genova ed estese la “caccia” ad alcune località vicine a Triora, come Sanremo e Castel Vittorio.
Al termine degli interrogatori, Scribani chiese la condanna al rogo per quattro donne, ma il governo di Genova rifiutò di eseguirle se non fossero state prodotte altre prove. Il processo si concluse ugualmente con la richiesta di condanna a morte per quattro presunte streghe, ma il modus operandi di Scribani aveva creato polemiche e insospettito le autorità civili, che rifiutarono di eseguire la condanna. Nell’aprile del 1589 il governo della Repubblica di Genova chiese e ottenne che l’Inquisizione mettesse fine al procedimento giudiziario. La sorte delle donne rinchiuse in carcere non è nota ma, molto probabilmente, furono rimesse in libertà.
Ebbe così termine uno dei più celebri processi per stregoneria avvenuti nella Penisola italiana, i cui risvolti sono ancora più drammatici di quanto apparve all’epoca. La carestia era infatti dovuta, secondo molti storici, a manovre speculative dei latifondisti, che volevano far salire i prezzi dei prodotti agricoli. E proprio i latifondisti erano tra i principali accusatori delle presunte streghe: per far valere i loro interessi economici, non ebbero scrupoli nello sfruttare la superstizione e il fanatismo religioso e nel far subire atroci torture a persone innocenti.
La caccia alle streghe in Europa
Tra la fine del XV secolo e la metà del XVIII secolo nell'Europa cristiana si diffuse la paura della stregoneria: si temeva che persone legate al Diavolo compissero riti magici per danneggiare le comunità o singoli individui. La paura era del tutto infondata ma, ciò nonostante, decine di migliaia di persone furono accusate di praticare la stregoneria e sottoposte a processo. Molti processi si conclusero con la condanna a morte delle imputate che erano spesso di sesso femminile, anche se in molti casi furono dichiarati colpevoli anche uomini.

La caccia alle streghe ebbe luogo sia nei Paesi cattolici, sia in quelli protestanti in particolare gli ultimi decenni del Quattrocento e gli anni tra il 1580 e il 1660. L’Italia non fece eccezione e fu teatro di numerosi processi contro presunte streghe: quello di Triora fu uno dei casi più celebri.