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Gli stipendi italiani sono tra quelli che si sono abbassati di più in Europa rispetto all’inflazione. Se è vero infatti che in Europa ci sono stipendi medi più bassi dei nostri – e sì, ce ne sono di nettamente più alti –, siamo comunque al di sotto della media europea.
Come avevamo già analizzato, la retribuzione lorda media in Italia è di 31.856 euro l’anno, con variazioni che dipendono da vari fattori: dai titoli di studio al genere dei lavoratori, dall’area geografica alle dimensioni dell’azienda. Importante: con retribuzione media non si intende che tutti in Italia guadagnano mediamente questa cifra, ma che sommando tutti gli stipendi – dai più alti, che spettano a pochi, ai più bassi, percepiti da molti – e dividendo il totale per il numero di lavoratori, quello è il valore che si ottiene.
Mentre in Italia, secondo dati Eurostat e OCSE, lo stipendio medio lordo mensile nel 2023 è di circa 2.729 euro, la media europea è di 3.155 euro: i lavoratori italiani guadagnano quindi in media 429 euro in meno al mese rispetto alla media europea, con un divario annuale di oltre 5.000 euro su 12 mensilità. Da Paese a Paese ci sono quindi differenze, con Paesi in cui, come detto, si guadagnano cifre ancora inferiori: per capire però se gli stipendi sono sufficienti per una vita dignitosa rispetto ai costi, bisogna tenere presenti anche il costo della vita e l’inflazione. Mettendo in rapporto questi valori, potremo calcolare il potere d’acquisto e capire se, alti o bassi, gli stipendi sono adeguati rispetto al costo della vita nel nostro Paese.
Gli stipendi più bassi e più alti d’Europa: le RAL a confronto
Secondo i dati Eurostat riferiti agli stipendi medi nel 2023 nell’Unione Europea, il salario annuale pieno (full-time) medio è di 37.863 euro. Il salario lordo mensile medio per un lavoratore a tempo pieno varia da 1.125 euro in Bulgaria a 6.755 euro in Lussemburgo, con una media Ue di 3.155 euro al mese. Un confronto di questi primi dati evidenzia una differenza tra i Paesi dell’Europa occidentale e settentrionale e quelli dell'Europa orientale e meridionale.

Se includiamo anche la Svizzera (che non è stato membro dell’Unione), basandoci sui dati OCSE che analizzano i Paesi oltre i confini dell’Unione Europea, la troviamo in testa, con 8.104 euro al mese di salario lordo mensile, il più alto in Europa, seguito da quello della Norvegia (5.027 euro), dei Paesi Bassi (4.629) e del Regno Unito (4.220 euro, sempre non UE). Sopra i 5.000 euro, con 5.624, c’è ancora la Danimarca; sopra i 4.000 euro ci sono Irlanda, Belgio, Austria, Germania e Finlandia. E poi ci sono Paesi come Romania, Grecia, Ungheria e Polonia, in cui le RAL rimangono attorno ai 1.500 euro.
Non basta però guardare i salari lordi, visto che in ogni Paese c’è una differente tassazione sul lavoro – che in Italia è tra le più alte d’Europa –, e bisogna dunque vedere i salari netti.
Il paragone tra i salari netti dei Paesi europei
Sempre secondo i dati Eurostat (riferiti al 2024), in Italia un lavoratore single e senza figli che lavora full-time percepisce in media un salario annuale netto di 24.797 euro. Siamo appena sotto la media europea, con Paesi come Spagna, Grecia, Portogallo e altri che vedono cifre ancora più ridotte. Confrontandola però con la Svizzera, che va oltre gli 85.000 euro netti, o la Germania, quasi 40.000, la distanza è evidente.

Un altro fattore di cui dobbiamo tenere conto però per un confronto equo tra Paesi è quello dei salari reali, che vanno calcolati anche in base al costo della vita: se infatti paragoniamo lo stipendio netto annuo dell’Italia con quello della Bulgaria vedremo che il secondo è poco più di un terzo del primo, ma anche che in Bulgaria c’è un costo della vita inferiore rispetto all’Italia, e quindi lo stipendio darà un potere d’acquisto migliore.
Il costo della vita, i salari reali e il potere d’acquisto (PPS)
Il costo della vita è l’ammontare complessivo di denaro necessario per sostenere un certo tenore di vita in un determinato luogo e periodo di tempo, misura cioè quanto costa vivere in una certa area geografica. Include tipicamente le spese per alloggio (affitto o mutuo), alimentazione (cibo e bevande), trasporti, beni e servizi essenziali (abbigliamento, utenze, sanità, istruzione, tempo libero), tasse locali e nazionali.
L’indicatore che viene utilizzato da Eurostat per fare questa comparazione è il “PPS”, “purchasing power standard”, in italiano “standard di potere d’acquisto”. Si tratta di un’unità di misura artificiale, utilizzata per confrontare il potere d’acquisto di diversi Paesi, togliendo l’effetto delle differenze di prezzo. Nella pratica, i prezzi cambiano da Paese a Paese e in alcuni posti servono più euro, in altri meno. Il PPS serve a “pareggiare” le differenze, per capire quale Paese è davvero più ricco o dove il salario ha più valore.
Rispetto al salario nominale, che è la cifra che si legge in busta paga, il salario reale è il salario espresso in termini di potere d’acquisto, cioè quanti beni e servizi si possono realmente acquistare con il proprio stipendio, tenendo conto dell’inflazione (cioè l’aumento generale dei prezzi). Si ottengono dividendo il salario nominale per il livello generale dei prezzi.
Un esempio pratico, con cifre puramente strumentali: poniamo che nel 2022 il vostro stipendio fosse di 2000 euro al mese, con inflazione allo 0%, ecco che il salario nominale e quello reale coincidono. Se nel 2024 il vostro stipendio (salario nominale) è rimasto stabile a 2000 euro al mese, ma con un’inflazione di +10%, allora con quei soldi potrete comprare il 10% in meno di beni e servizi, perché il salario reale sarà diminuito.
L’inflazione e la diminuzione dei salari reali in Italia
In generale, i salari sono e stanno crescendo in quasi tutti i Paesi dell’OCSE, ma in termini reali molti di essi sono inferiori ai livelli dell’inizio del 2021, prima che ci fosse l’aumento dell’inflazione che è seguito alla pandemia: l’OCSE segnala che i salari reali in Italia all’inizio del 2025 erano del 7,5 % inferiori rispetto a inizio 2021. In questi anni, quindi, i salari nominali sono aumentati, tuttavia non abbastanza rispetto all’alzarsi dei prezzi e del costo della vita, con il passaggio di due crisi economiche e del Covid, rendendoci più poveri.
Ed ecco il primato – negativo – dell’Italia: il nostro Paese ha infatti registrato il calo più significativo dei salari reali tra tutte le principali economie dell’OCSE. Un record negativo in termini di riduzione del potere d'acquisto per i lavoratori italiani. Gli stipendi italiani hanno un potere d'acquisto più basso rispetto alla media dell'Unione Europea: 24.051 contro 27.530.

Secondo i dati Eurostat 2023, in Europa siamo al 15esimo posto su 32 Paesi, sempre sotto la media europea. Dal 2000 al 2023, i salari netti annui dei lavoratori single in Italia sono cresciuti molto meno. Dalle più recenti rilevazioni, utilizzando il PPS, il salario medio italiano, calcolato in 2.772 PPS, risulta inferiore di circa il 15% rispetto alla media degli Paesi europei, in particolare, inferiore del 45% rispetto a quello tedesco, del 18% rispetto a quello francese e del 2% rispetto a quello spagnolo.

Da gennaio 2021 a febbraio 2025 l’inflazione ha portato un aumento dei prezzi di quasi il 18%, mentre le retribuzioni sono cresciute solo dell’8,2%, cioè meno della metà. Dalla crisi del 2008 i salari reali, calcolati al netto dell’inflazione, si sono addirittura abbassati dell’8,7%. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale del Lavoro siamo tra i Paesi in cui gli stipendi hanno perso più valore da quell’anno, per una serie di motivi. Per colpa dell’economia che ha subito i danni della pandemia e delle guerre; a causa di una produttività del lavoro che non è cresciuta; perché rispetto ad altri Paesi abbiamo lavoratori meno istruiti e qualificati; in parte, ancora, a causa dei sindacati che rinegoziano i contratti, con tempistiche così lunghe che spesso i dipendenti lavorano con contratti scaduti, mentre gli stipendi salgono, ma restano comunque inadeguati alla crescita dei prezzi – pensate, all’inizio del primo trimestre del 2025 un dipendente su tre del settore privato era ancora coperto da un contratto collettivo scaduto.
Secondo le previsioni OCSE, la crescita dei salari reali dovrebbe rimanere modesta nei prossimi due anni. I salari nominali in Italia dovrebbero aumentare del 2,6% nel 2025 e del 2,2% nel 2026. Questi aumenti sono significativamente inferiori rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell’OCSE, ma dovrebbero garantire comunque ai lavoratori italiani piccoli guadagni in termini reali, dato che l’inflazione dovrebbe raggiungere il 2,2% nel 2025 e l’1,8% nel 2026. Per risalire verso la media europea, però, c'è ancora molta strada da fare.