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All'Aia si è concluso il vertice dei Paesi NATO: per i 32 Stati dell'Alleanza Atlantica è stato confermato il nuovo obiettivo di spesa militare, che entro il 2025 dovrà salire al 5% del PIL, più del doppio rispetto al target del 2% in vigore negli ultimi 10 anni. Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez si è fortemente opposto alla decisione e la Spagna sembra aver ottenuto un'esenzione per portare la spesa militare al 3,5%, attirandosi però le critiche degli altri Paesi dell'Alleanza.
L'Italia, invece, ha accettato la proposta americana: ma, nella pratica, cosa significa questo aumento della spesa militare per il nostro Paese? Nel corso degli ultimi decenni, complice anche una situazione geopolitica di maggiore stabilità rispetto a oggi, il nostro Paese ha pian piano ridotto gli investimenti militari, che in molti casi erano rimasti al di sotto del 2% del PIL, la soglia minima stipulata dalla NATO. Nel 2024 sono stati destinati al comparto militare circa 33,4 miliardi di euro, con il solo triennio 2021-2024 che ha visto un aumento del 23%.
Ora, però, il governo italiano è vincolato dal nuovo accordo sul riarmo: portare la spesa al 5% significherebbe destinare alla difesa circa 100 miliardi di euro all'anno. Ma il bilancio nazionale è già condizionato da un grande debito pubblico, con il rapporto deficit/PIL che non può superare il 3%, secondo quanto previsto dalle norme dell'Unione Europea. Tutto questo si traduce in possibili tagli alla spesa pubblica, soprattutto a settori come la sanità o il welfare e le politiche sociali.
Che cosa significa per l'Italia: la spesa militare degli ultimi anni
La spesa militare italiana è stata piuttosto altalenante nel corso degli ultimi decenni: l'Europa, del resto, ha spesso fatto affidamento sull'«ombrello nucleare americano» e sul principio di mutua difesa alla base dell'Alleanza Atlantica, sancito dall'articolo 5. Con Donald Trump alla Casa Bianca, però, le cose sono cambiate: il Presidente degli Stati Uniti ha più volte ribadito che, in caso di conflitto, l'intervento USA a favore dell'Europa non andava dato per scontato. Proprio in occasione dell'ultimo vertice NATO, Trump ha detto che l'interpretazione dell'articolo 5 può variare, restando quindi vago sulla protezione militare storicamente garantita dagli Stati Uniti ai suoi alleati.
In generale, comunque, l'Italia non ha mai raggiunto il target del 2% della spesa dal 2006: i fondi destinati alla difesa sono crollati in concomitanza con le crisi economiche globali e con la pandemia da Covid-19, per poi tornare a crescere a partire dal 2021. Secondo i dati dell’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri), nel 2024 al comparto militare italiano sono stati destinati circa 33,4 miliardi di euro, pari all'1,6% del PIL, mentre nel triennio 2021-2024 la spesa militare è passata da 28 miliardi a quasi 34, un aumento del 23%. Arrivare al 5% del PIL, quindi, potrebbe far arrivare la cifra finale a più di 100 miliardi di euro.

Come sarà suddivisa la spesa militare
L'aumento della spesa militare al 5% del PIL è già stato pianificato in maniera dettagliata: il 3,5% dei fondi sarà destinato alla spesa militare classica, quindi all'acquisto di equipaggiamenti e munizioni e all'ampliamento delle truppe; il restante 1,5%, invece, andrà investito in cybersicurezza e tecnologie per tutelare l'apparato militare (e l'intera società) dagli attacchi informatici. In queste spese, poi, dovranno anche rientrare gli stipendi e le pensioni del personale militare, così come le operazioni di peacekeeping internazionale e la ricerca nel settore della difesa.
In ogni caso, la corsa agli armamenti decisa dalla NATO ha diviso l'opinione pubblica italiana: da un lato c'è chi sostiene che sia necessario rafforzare la difesa italiana (e anche quella europea) vista la crescente instabilità geopolitica e la nuova posizione degli Stati Uniti, non più così propensi ad aiutare l'alleato europeo. Di questa posizione è anche la maggioranza di Governo, con la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha utilizzato l'espressione latina «si vis pacem, para bellum», ovvero «se vuoi la pace, prepara la guerra».
Dall'altro lato, invece, c'è chi ritiene eccessivo portare la spesa militare al 5% del PIL, sopratutto se si considera che l'Italia deve già far fronte a un debito pubblico massiccio, che ad aprile 2025 ha raggiunto la cifra record di 3.063,5 miliardi di euro: il rischio, quindi, è che per pareggiare il bilancio nazionale, l'esecutivo sia costretto a effettuare dei tagli a settori cruciali come la sanità o l'educazione.