;Resize,width=638;)
Negli ultimi tempi si sta parlando molto dell'istituzione di un esercito comune europeo e di riarmo europeo in merito alla possibilità che l'Unione Europea venga coinvolta in un conflitto armato su larga scala a causa degli ultimi sviluppi riguardo al conflitto Russo-Ucraino e dall'incrinarsi dei rapporti di tradizionale partnership strategica con gli Stati Uniti di Donald Trump. Secondo vari analisti, infatti, una vittoria russa in Ucraina porterebbe Mosca ad altre aggressioni militari ai danni dei Paesi europei confinanti, in particolare i tre Stati Baltici (Lituania, Lettonia, Estonia). Ma a prescindere dalle varie opinioni che si possono avere riguardo la realizzazione di questo esercito, l'impiego unificato delle forze armate europee in un ipotetico conflitto sembrerebbe al momento assai complicato: vediamo i principali motivi.
Le tempistiche lente
Per contrastare uno scenario di questo tipo, l'elemento essenziale è la velocità di reazione che, naturalmente, cozza fragorosamente contro i principi del consenso e dell'unanimità che regnano sovrani a Bruxelles. Poiché al di fuori della NATO, la difesa militare dell'Unione Europea dipende esclusivamente dalla volontà dei singoli stati e l'articolo 42 del TUE non ha le stesse caratteristiche vincolanti dell'articolo 5 del trattato della NATO, è chiaro che le forze militari dell'Unione avrebbero difficoltà a mobilitarsi in tempo utile.
Il diritto di veto che frena i processi decisionali
Se osserviamo la situazione attraverso la lente dei trattati che regolano il funzionamento dell'Unione Europea, un accenno alla tematica della difesa comune in realtà già esisterebbe: secondo l'articolo 42 del Trattato Istitutivo dell'Unione Europea (TUE), infatti, tutti i paesi membri delle UE mettono a disposizione il proprio supporto, anche in campo militare, per garantire la sicurezza esterna dell'Unione, e per farlo si impegnano ad appellarsi a tutti i mezzi a propria disposizione, ma solo previa delibera all'unanimità del Consiglio Europeo. Tuttavia, la realtà osservata negli anni, con alcuni Paesi europei (prima fra tutti l'Ungheria) che hanno costantemente utilizzato il loro potere di veto per bloccare iniziative europee percepite come contrarie ai propri interessi nazionali, ci porta alla conclusione che la prassi dell'unanimità sia ormai insostenibile, e ciò basterebbe a invalidare qualsiasi scenario ipotetico.
Ovviamente esiste la possibilità (per il momento del tutto teorica) che i processi decisionali europei vengano sottoposti a una completa revisione in modo tale che la sopra citata prassi dell'unanimità sia superata in favore di un nuovo formato a maggioranza semplice oppure qualificata; tuttavia tale scenario spalancherebbe le porte inevitabilmente a una “Europa a più velocità” che rischierebbe di sfilacciarsi. Lo stesso discorso vale per l'introduzione di ipotetiche “clausole di espulsione” volte a colpire i paesi più reticenti: è assai probabile, infatti, che la minaccia di “azioni coercitive” nei confronti di questi paesi da parte di Bruxelles abbia come esito finale quello di favorire l'uscita di questi paesi dalla UE anziché ridurli a più miti consigli.
Inoltre, anche se si riuscisse a organizzare un ipotetico “corpo di spedizione paneuropeo” a difesa dei membri attaccati, resterebbe il problema fondamentale della catena di comando e dell'autorità ultima dalla quale i “soldati europei” dovrebbero obbedire. In un'UE ben funzionante, le soluzioni a queste problematiche sarebbero state decise in tempo di pace, non in regime emergenziale a seguito di una crisi internazionale dai contorni non ben definiti ed imprevedibili.
Gli arsenali inadatti
Un altro aspetto particolarmente problematico è la composizione delle forze armate dei singoli Stati. L'infinito processo di ristrutturazione seguito alla fine della Guerra Fredda ha fatto sì che oggi i paesi europei siano dotati di strumenti militari assolutamente inadatti ad affrontare una guerra convenzionale di lungo periodo contro un avversario delle dimensioni della Russia. Gli eserciti “pesanti” del periodo della Guerra Fredda hanno infatti lasciato spazio a formazioni più leggere, adatte alle missioni “fuori area” a sostegno degli interventi militari capitanati dagli USA, addestrate essenzialmente ad operazioni di peacekeeping o di controguerriglia.
Inoltre, le forze armate di gran parte dei Paesi europei soffrono di gravi carenze in vari settori (la protezione cibernetica, i sistemi di comunicazione sicura, le difese antimissile, ecc.) in cui gli Stati Uniti invece dominano, creando una dipendenza strategica per l'Unione. Senza queste tecnologie, infatti, l'efficacia delle forze armate europee sarebbe pesantemente limitata in caso di conflitto su larga scala. In questo senso, la situazione di crisi che è venuta a crearsi negli ultimi mesi evidenzia perfettamente la necessità dell'Unione Europea di non dipendere da altri Stati su questioni così delicate, e rimette in moto il bisogno di sviluppare le proprie tecnologie avanzate.
La questione atomica francese e le forze armate del Regno Unito
Oltre alle carenze in fatto di strumentazione militare, c'è un altro problema: attualmente l'UE è priva di un credibile sistema di deterrenza strategica dato che la Francia è l'unico paese membro dell'Unione a detenere un arsenale nucleare autonomo, ma non è ancora chiaro quanto Parigi sia incline a mettere a disposizione la sua “Force de Frappe” (letteralmente: “Forza d'Urto”) per la sicurezza comune degli altri stati membri.

Un'ultima nota riguarda il Regno Unito. Seppure esso sia infatti fuori dalle politiche estere e di sicurezza comune dopo la sua uscita dall'Unione Europea esso mantiene forti relazioni di difesa con i partner europei della NATO, in particolare la Francia, e lo stesso primo ministro Starmer ha rimarcato più volte la volontà del suo paese di continuare a sostenere Kiev nel prosieguo del conflitto. Tuttavia non bisogna dimenticare che, militarmente parlando, anche le forze armate britanniche odierne soffrono delle stesse identiche problematiche evidenziate in precedenza, e diversi esperti hanno sottolineato il fatto che al momento Londra non possa permettersi il coinvolgimento diretto in una guerra convenzionale su vasta scala.