
Negli ultimi anni la parola “maranza” è entrata nel linguaggio quotidiano: la troviamo sui social, nei giornali e perfino nella moda. Con questo termine si indicano gruppi di ragazzi molto giovani, spesso rumorosi e riconoscibili per uno stile vistoso e un atteggiamento da strada.
Per maranza si intende, nel gergo italiano, un individuo appartenente a gruppi e comitive di giovani rumorosi. Ma, dietro l’etichetta ci sono adolescenti e preadolescenti – tra i 9 e i 17 anni – cresciuti soprattutto nelle periferie e in un’Italia sempre più multiculturale. Per molti di loro la strada non è solo un luogo fisico, ma uno spazio di socialità e di appartenenza, a volte l’unico in cui sentirsi visti. In alcuni casi questo bisogno di riconoscimento può sfociare in comportamenti problematici.
Il fenomeno divide: c’è chi li liquida come teppisti e chi, invece, vi legge il segnale di un disagio giovanile più profondo, fatto di fragilità, precarietà e richiesta di attenzione.
Perché il cocktail si chiama così? In inglese significa “coda di gallo”
La nascita del termine "maranza"
Il termine "maranza" nasce a Milano negli anni Ottanta, si tratta di un regionalismo tipico del linguaggio giovanile delle periferie meneghine. Già Jovanotti nel suo brano Il capo della banda del 1988 diceva: “Mi chiamo Jovanotti e sono in questo ambiente; di matti di maranza e di malati di mente […]”. La parola aveva, dunque, già preso piede e indicava una categoria ben precisa di persone: i ragazzi di strada tamarri, con un look appariscente e un atteggiamento da duro.
L’etimologia di questo neologismo è incerta: per alcuni deriva dal sostantivo "marocchino" unito all'aggettivo "zanza" (cioè "furbo" in dialetto milanese); per altri dal termine "maranza", che a sud indica la melanzana, usata però in senso dispregiativo. Il sostantivo è sopravvissuto nel lessico giovanile degli anni Novanta e Duemila, ma se prima era legato al mondo della musica dance e ai locali notturni, oggi il “maranzino” ha assunto sfumature di significato nuove a livello nazionale grazie ai social e alla moda.
Cosa vuol dire "maranza" oggi?
I maranza sono – secondo l'opinione pubblica maggioritaria – giovani dai 9 ai 17 anni, che vivono per strada, destreggiandosi tra furti e piccole rapine, baby gang, cresciuti in periferia, figli della società multiculturale italiana.
Però "maranza" si riferisce più precisamente ad uno stile: tute in acetato, occhiali vistosi, maglie del Manchester o del Milan, ai piedi Air Jordan e in testa cappellini, al collo catenine d’oro e ovviamente l’immancabile “borsello”, la borsa a tracolla, preferibilmente con il marchio in bella vista, non importa se reale o tarocco. È un’estetica che mescola moda sportiva, cultura urban e un certo orgoglio per le proprie origini popolari. L’attenzione verso il proprio look non è una novità in quanto una subcultura per differenziarsi definisce se stessa anche attraverso dei precisi codici estetici e di abbigliamento. Basti pensare in passato agli hippie, ai punk, agli emo e ai goth. Al modo di vestire si accompagna la predilezione per alcuni generi musicali: la playlist è composta da trap, rap e drill, un sottogenere trap nato a Chicago nel 2010.
Il fenomeno sociale si basa, quindi, su un senso di appartenenza al gruppo costruito sul conformismo alle norme e ai codici che lo regolano, una reazione nata dalla volontà di distinguersi dalla massa a discapito della propria espressione individuale. Dal punto di vista comportamentale, infatti, il maranza si muove spesso in gruppo, parla con un tono diretto e a volte aggressivo, utilizzando un lessico colorito e volgare (seppure non sia la norma), ostentando sicurezza con velata arroganza.
Con l’avvento dei social, i maranza si sono fatti conoscere passando dalle periferie fisiche alle piazze digitali. Su TikTok il “maranza-core” è diventato un genere di video virali, ricchi di coreografie in tuta, auto di lusso, frasi in slang e un’ironia che gioca tra provocazione e auto-parodia, che indica una consapevolezza del fenomeno sociale al quale sanno di appartenere e degli stereotipi in cui si riconoscono.
Da un lato è un modo affascinante per esprimere appartenenza e identità in modo autentico, mentre dall’altro tale visibilità ha generato in coloro che non sono addentro al fenomeno reazioni avverse: i maranza sono stati accusati di promuovere comportamenti antisociali.
Cosa c'è dietro lo stereotipo?
Dietro lo stereotipo del ragazzo rumoroso che bazzica per stazioni e metropolitane si nascondono spesso condizioni di disagio economico e familiare e bisogno di riconoscimento da parte della autorità e delle istituzioni. Se queste problematiche suonano familiari, probabilmente è perché sono l’eco di una generazione sempre più fragile, segnata da solitudine, ansia e insicurezza verso il futuro. Il fenomeno è foraggiato anche da un progressivo impoverimento degli spazi fisici e simbolici in cui potersi esprimere.
In Italia, le persone tra i 18 e i 35 anni rappresentano meno di un quinto della popolazione, eppure sono tra le più colpite da precarietà abitativa, instabilità lavorativa e carenza di servizi accessibili. Il bisogno di supporto psicologico è evidente, ma l’offerta pubblica pare ancora insufficiente: secondo le statistiche, il bonus psicologo nel vicino 2022 ha potuto coprire appena il 10% delle richieste totali ricevute. L’effetto combinato di isolamento, incertezza economica e mancanza di luoghi di incontro sta incidendo profondamente sulla qualità della vita e sulla capacità delle nuove generazioni di immaginare un futuro stabile.
Alla luce di tutto questo, l’atteggiamento dei maranza può essere letto come una risposta rumorosa al mondo che li circonda: una forma di ribellione, ma anche di autodifesa, di desiderio di visibilità e di riscatto sociale. Quando la società giudica senza capire, i giovani reagiscono costruendo un linguaggio, uno stile e dei codici propri, per sentirsi parte di qualcosa. La subcultura dei maranza diventa così uno specchio che riflette meno la distanza tra centro e periferia e molto di più il divario tra adulti e giovani, tra chi si sente rappresentato e chi, invece, si percepisce ai margini. Ridurre il fenomeno a una moda passeggera o a una questione di ordine pubblico è una scorciatoia comoda, ma miope.