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Delle molte caratteristiche distintive degli straordinari dipinti di Michelangelo Merisi (1571 -1610), meglio noto come Caravaggio, a spiccare più di tutte è la sua magistrale capacità di dipingere il chiaroscuro, ossia quel risalto dato alle figure attraverso la definizione di luce e ombra. Questo gli permetteva di realizzare grandi opere dal gusto drammatico e teatrale che davano particolare rilievo al ruolo metaforico spirituale della luce, motivo per cui spesso questo fascio "elettivo" viene indirizzato su particolari significativi, come i piedi sporchi dei pellegrini nella Madonna di Loreto.
I soggetti dei più famosi dipinti a olio di Caravaggio – dalla "Giuditta e Oloferne" alla "Vocazione di San Matteo", passando per "Davide con la testa di Golia" e la "Madonna di Loreto" – emergono infatti come apparizioni dall’oscurità, illuminate da un fascio di luce che estrae dalle tenebre i loro volti e corpi. Come a teatro, i corpi si stagliano contro il buio, delineandosi chiaramente anche grazie al "peso" compositivo del nero che li circonda.

Ma come faceva il pittore lombardo a creare questo effetto, soprattutto considerato che lavorava con modelli dal vero? Secondo molti studiosi, ma anche artisti come David Hockney (che partecipò a un importante convegno sulle sue tecniche nel 2008), Caravaggio aveva realizzato nel proprio studio una camera ottica così da poter trasporre con l'aiuto della luce solare sulle proprie tele le proporzioni e i colori di un'immagine originale, da usare come base sui cui poi lavorare: la tecnica non è insolita, e prima e dopo di lui l'hanno usata grandi pittori come Leonardo (per i suoi studi anatomici) e Canaletto (per le sue vedute).
Nella pratica, incanalando la luce da un piccolo foro sui suoi modelli e poi indirizzandola attraverso delle lenti e degli specchi convessi (che compaiono anche in alcune tele come quella di "Marta e Maria Maddalena"), Caravaggio riusciva a proiettare l'immagine dei modelli stessi sulla tela.

Ma non solo: lo studio della ricercatrice italiana Roberta Lapucci indica che Caravaggio combinava questa tecnica a quelle della moderna fotografia. Nella seconda metà del ‘500, effettivamente, è testimoniato un grande interesse specifico per gli strumenti ottici e per i procedimenti di proiezione. Secondo questo studio, l'artista avrebbe impiegato alcuni prodotti chimici – per la precisione sale di mercurio, un materiale fotosensibile – per trasformare le tele in una specie di pellicola fotografica su cui “impressionare” per un tempo ridotto le immagini dei soggetti e quindi andare ad abbozzarle e dipingerle con le tecniche tradizionali. Secondo Hockney, poi, la grande precisione con cui Caravaggio riusciva a riprodurre più figure in un colpo solo sarebbe stata possibile grazie a un miglioramento tecnologico, nello specifico una lente biconvessa, magari fornitagli da un mecenate romano.