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Avete mai notato che in città le cortecce degli alberi sono quasi completamente prive di licheni? E vi è invece capitato di notare quanta biodiversità ci sia sui muretti in campagna, lontano dai fumi nocivi di macchine e industrie? Ebbene sì, c'è un motivo dietro a tutto questo e già verso la fine dell'800 in Inghilterra i primi lichenologi e botanici ne avevano preso atto: alcuni organismi soffrono molto dell'inquinamento dell'aria, tanto da scomparire, mentre ad altri la cosa non fa né caldo né freddo.
Tutti parlano di inquinamento dell'aria ma effettivamente, come si monitora?
In questo articolo ci addentreremo brevemente nel biomonitoraggio e scopriremo come muschi e licheni possono esserci utili per valutare la qualità dell'aria e la presenza di inquinanti.
Il monitoraggio ambientale
Quando si vuole monitorare lo stato qualitativo dell'ambiente, dell'aria o delle acque bisogna condurre delle analisi di vario tipo per verificare la presenza di alterazioni ambientali e sostanze nocive. Emissioni di gas, inquinanti, metalli pesanti e scarti industriali sono solo alcune delle sostanze che possono essere rilasciate nell'ambiente e che possono generare effetti potenzialmente nocivi agli organismi, all'uomo e all'ambiente.
In questo contesto esistono due tipologie di monitoraggio: quello tradizionale o chimico-fisico e il biomonitoraggio, che affianca e integra le tecniche convenzionali.
Il monitoraggio tradizionale
In Italia vengono condotte analisi della qualità dell'aria in modo continuo, ma solamente in alcuni punti predefiniti che coincidono con i nuclei urbani: sono localizzate in tutte le grandi città delle centraline automatiche di monitoraggio che permettono di controllare in modo continuo alcuni inquinanti più rappresentativi. Questi sono principalmente ozono, benzene, particolato (PM), ossidi di azoto, ossidi di zolfo e monossido di carbonio e sono misurati dalle centraline Arpa dislocate sull'intero territorio nazionale e gestite a livello regionale.
Ciò che otteniamo sono dei valori di concentrazione di questi inquinanti nell’aria, che però non ci fanno capire del tutto la gravità della situazione per gli organismi che quest'aria la respirano, o con la quale vengono a contatto. Per capirlo meglio facciamo uso di altre tecniche complementari che utilizzano degli organismi viventi per monitorare la situazione. Vediamo di che si parla.

Il biomonitoraggio
Visto che le centraline automatiche si trovano nei contesti urbani e non sono distribuite in maniera omogenea, si possono utilizzare delle altre tecniche che permettano di ottenere più dati ambientali. Non solo, le centraline ci forniscono dati numerici di concentrazione degli inquinanti, ma realmente, bisogna verificare al di sopra di quale valore gli organismi subiscono degli effetti.
Ecco perché è importante il biomonitoraggio: per integrare il monitoraggio tradizionale.
Il termine biomonitoraggio indica un insieme di tecniche che utilizzano alcuni organismi modello per ottenere informazioni sull'ambiente in cui essi vivono. Possiamo capire quali effetti hanno alcuni inquinanti sugli organismi e, di conseguenza, capire quanto l'ambiente sia inquinato anche per noi. In questo contesto entrano in gioco muschi e licheni che, nonostante non siano gli unici organismi utilizzabili per il biomonitoraggio, sono tra quelli più frequenti.
Biomonitorare vuol dire utilizzare organismi molto sensibili o molto resistenti a particolari condizioni di stress per analizzare come essi si comportano e, di conseguenza, trarre informazioni sullo stato dell'ambiente. Gli effetti su questi organismi chiamati biomonitor, comprendono alterazioni nella loro forma e nella loro struttura, di tipo genetico e fisiologico. Insomma, qualcosa accade alla flora e alla fauna quando l'ambiente è inquinato, lo si può vedere e quantificare.
Qualsiasi organismo, già per il fatto di vivere, è un biomonitor, ma deve essere "interrogato" nella giusta maniera: fondamentale è quindi, ancor prima di condurre degli studi, conoscere in maniera approfondita l'organismo per sapere come funziona e come si comporta. Possiamo però sintetizzare dicendo che un biomonitor deve essere facile da trovare, presente quasi ovunque, sempre disponibile e stazionario (immobile o con un range di movimento piuttosto limitato) e ovviamente capace di reagire alle variazioni ambientali.

Perché vengono usati muschi e licheni
Muschi e licheni sono organismi a cui spesso non viene data l'attenzione che meritano: passano inosservati e sono poco conosciuti, ma hanno un ruolo di spicco negli ecosistemi e negli studi sulla qualità dell'aria.
I muschi appartengono alle briofite e alcuni sembrano dei soffici tappeti verdi (sono quelli che usiamo per creare il presepe), mentre i licheni sono un'eccezionale simbiosi tra un fungo e un'alga che vivono assieme formando un superorganismo. Li vediamo sui tronchi degli alberi e sulle rocce, formando delle macchie colorate di forma pressoché circolare o ramificata a formare piccoli "cespugli" o incrostazioni. Le forme e i colori di questi organismi sono i più vari: licheni crostosi, fogliosi, fruticosi, simili a trombette e a cespugli pendenti, gialli, rossi, verdi, marroni, neri e chi più ne ha più ne metta.

Muschi e licheni sono utilizzati come biomonitor proprio perché possiedono quelle caratteristiche che abbiamo elencato, tali da renderli ottimi per questo genere di studi. Alcune specie sono molto sensibili a determinate sostanze (biossido di zolfo SO2, composti azotati, PM e composti emessi dalla combustione) tanto da scomparire o morire, ecco perché non le troveremo in aree industriali. Altre specie, invece, sono molto resistenti a sostanze come metalli pesanti e inquinanti persistenti e sono in grado non solo di sopravvivere, ma addirittura di (bio)accumulare alcune sostanze all'interno del proprio corpo. In altre parole, funzionano come un "registro", capace di tenere traccia degli inquinanti presenti nell'aria nel corso del tempo.
Tecniche di biomonitoraggio
Le tecniche di biomonitoraggio sono molto varie e si basano principalmente sulle caratteristiche dell'organismo che stiamo utilizzando. Si possono analizzare sia organismi già presenti in loco (autoctoni) o in alternativa introdurli e trapiantarli nel caso non si trovino naturalmente nella zona di studio. È inoltre importante minimizzare i fattori di disturbo, scegliere con cura i punti di campionamento e ottimizzare i costi. Analizzeremo brevemente due tecniche: le moss sphere e l'uso di licheni autoctoni.

Le moss sphere
Forse il caso più interessante è quello dei muschi negli studi di bioaccumulo: essi sono infatti in grado di accumulare all'interno del proprio corpo e senza grossi effetti collaterali sostanze come alluminio, rame, cobalto, zinco, nichel. È stato avviato nel 2012 un progetto denominato Moss Clone finanziato dalla Commissione Europea che impiega questi organismi per monitorare la qualità dell'aria. Si tratta di "palline di muschio" coltivato e trattato in laboratorio rendendo la struttura ancora più "assorbente". Queste palline di forma e misura standard chiamate moss sphere vengono appese nei luoghi di interesse, esposte per un certo periodo di tempo e poi rimosse per poterne analizzare il contenuto. La forma sferica è in grado di ottimizzare l'assorbimento delle sostanze e la rete permette all'aria di entrare ma al muschio di non uscire. Solitamente le sfere vengono posizionate ad altezze variabili (e in luoghi tali da evitare il vandalismo), mentre i tempi di esposizione standard sono di 6 settimane. Una volta rimosse, le sfere vengono aperte per liberare il muschio, che poi viene analizzato con tecniche chimico-fisiche per verificare e quantificare gli elementi che sono stati intrappolati nel tempo.

Uso di licheni autoctoni
Nel caso dei licheni molti di essi sono sensibili ad inquinanti e la loro biodiversità è funzione del loro stato di salute. Se la biodiversità è alta allora le condizioni dell'aria saranno buone, al contrario se l'aria è inquinata la biodiversità lichenica sarà bassa o assente.
Su questa base è stato descritto un protocollo standard per il campionamento dei licheni, secondo le linee guida del Lichen Diversity Value (EN 16413:2014; Asta et al., 2002). Sostanzialmente vengono scelti degli alberi "standard" per forma, dimensione e specie, a cui vengono applicati dei reticoli sulla corteccia nei suoi quattro punti cardinali. Se contiamo le specie di licheni e i singoli individui che ricadono nei "quadrati" del reticolo otteniamo dei valori numerici che possiamo interpretare tramite una scala teorica. Potremo quindi dire quanto la qualità dell'aria sia "distante" rispetto ai valori "normali" che l'aria non inquinata dovrebbe avere.

Bibliografia
Loppi, S., Munzi, S., Paoli, L., "La bioindicazione mediante licheni: potenzialità, limiti e sviluppi", Biologia Ambientale, 26 (2): 3-15, 2012.
Pinho, P., et al. "Mapping lichen diversity as a first step for air quality assessment." Journal of Atmospheric Chemistry 49.1 (2004): 377-389.
Creating and testing a method for controlling the air quality based on a new biotechnological tool. Use of a devitalized moss clone as passive contaminant sensor – CORDIS, European Commission
Asta, Juliette, et al. "Mapping lichen diversity as an indicator of environmental quality." Monitoring with lichens—monitoring lichens. Springer, Dordrecht, 2002. 273-279.