
È ufficialmente iniziata quella che i giornali hanno già definito una “guerra commerciale” tra gli Stati Uniti e tre dei loro principali partner commerciali a livello globale, ossia Cina, Canada e Messico. A scatenarla è stata la serie di ordini esecutivi firmati nei giorni scorsi dal Presidente statunitense Donald Trump, che hanno imposto dazi del 25% sulle importazioni degli Stati Uniti su un vasto assortimento di merci canadesi e messicane e del 20% su quelle cinesi. L'annuncio ha già portato a un calo delle Borse sia internazionali sia europee, consapevoli di essere destinate probabilmente a diventare il prossimo bersaglio di questa “guerra commerciale”.
Cosa sono i dazi e come funzionano quelli imposti dagli USA
Riassumendo in poche righe, per dazi sulle importazioni intendiamo un sovrapprezzo che gli importatori di un determinato Paese devono pagare per far arrivare la merce e metterla in commercio. L'idea di fondo di questa visione protezionistica è che importare un prodotto diventi così poco conveniente da rendere più economico produrlo direttamente nel proprio Paese. Il problema è che, sempre che questo accada sul medio e lungo periodo, è certo che i prodotti in questione costeranno molto di più nel breve periodo, dato che il maggiore costo di importazione ricadrà sui consumatori finali, che dovranno sostenere un aumento generalizzato dei prezzi. Facendo un esempio pratico, tutte le aziende che negli Stati Uniti hanno bisogno di acciaio o alluminio per i loro prodotti devono oggi usare quello "made in Usa" o pagare molto di più quello di importazione estera. Il risultato è che anche una lattina di Coca Cola finirà per costare molto di più per i consumatori finali.

I dazi USA come strumento politico di ritorsione commerciale
Questa grave ripercussione sui consumatori è talmente prevedibile e innegabile che lo stesso Donald Trump lo ha ammesso durante il suo primo discorso sullo stato dell'Unione, che si è tenuto al Congresso degli Stati Uniti martedì 4 marzo. Durante il suo intervento ha anche giustificato le ragioni della sua “guerra commerciale”, confermando le considerazioni di molti osservatori. La minaccia dei dazi è uno strumento che Trump usa per ottenere dagli altri Paesi concessioni anche in campi diversi da quello economico. Per esempio, nel caso di Canada e Messico, la scusa ufficiale per i dazi del 25% sulle importazioni (stabilite il 4 febbraio scorso e "congelate" per un mese) è la responsabilità dei due Paesi nella crisi degli oppioidi negli Stati Uniti, che ogni anno causano centinaia di migliaia di morti per overdose. In particolare, secondo Trump, Ottawa e Città del Messico non fanno abbastanza per contrastare il traffico dei componenti per produrre il fentanyl, un potente antidolorifico.
Le reazioni di Canada e Cina ai dazi commerciali
Come ha affermato il Primo ministro canadese Justin Trudeau nell'annunciare contro dazi del 25% su 155 miliardi di dollari di merci statunitensi a partire dalla mezzanotte del 4 marzo, le misure commerciali statunitensi «non hanno niente a che fare con il fentanyl», che è solo un pretesto legale per danneggiare il Canada e la sua economia. Più cauta la reazione del governo cinese, che ha annunciato comunque dazi al 10% sulle importazioni di una serie ben selezionata di prodotti statunitensi, tra cui componentistica tecnologica e generi alimentari come soia, sorgo, carne di maiale e manzo, prodotti ittici, frutta, verdura e prodotti lattieri caseari. Una lista limitata, ma in grado di colpire i produttori del Midwest degli Stati Uniti, dove è molto ampio il sostegno al Partito repubblicano e a Donald Trump.

Gli obiettivi statunitensi
Questa politica muscolare e di “umiliazione” dei principali partner e alleati della regione avrà sicuramente un impatto molto grave sull'economia di Messico e Canada. Anche perché Trump ha aggiunto che non ci sono concessioni da parte dei loro governi che potranno farli ritirare. Come ha dichiarato il 4 marzo, la sua intenzione è mantenerli in vigore fino a quando la bilancia commerciale – ossia il rapporto tra importazioni ed esportazioni – statunitense con i due Paesi sarà tornata al pareggio. Cosa molto improbabile sia nel breve che nel medio periodo, dato che gli Stati Uniti importano molti più prodotti di quelli che esportano verso i due vicini.
La sfiducia delle Borse mondiali e la reazione della Borsa europea
La guerra commerciale che anche un quotidiano conservatore come il Wall Street Journal ha definito «una follia» ha già avuto gravi ripercussioni anche sulle principali Borse mondiali. Martedì 4 marzo, all'apertura dei mercati statunitensi l’indice S&P 500, che traccia l'andamento delle azioni delle 500 società più grandi degli Stati Uniti, ha perso lo 0,7%, dopo aver già perso l’1,8% lunedì. Non è andata meglio neanche per le Borse europee, dove è diffusa la consapevolezza che il prossimo bersaglio del tutti contro tutti di Trump sia proprio l'Unione europea. Il 4 marzo l’Euro Stoxx 50, che sintetizza l’andamento dei titoli di varie Borse europee, è calato del 2,5%.