
La neuroestetica è la branca delle neuroscienze, nata nel 1994 con un articolo sulla rivista Brain del neurobiologo Semir Zeki e dell'artista Mathew Lamb, che studia i meccanismi cerebrali alla base dell'estetica, la disciplina che indaga cosa renda qualcosa "bello" e come rispondiamo di fronte alla bellezza. Perché, per esempio, proviamo un’emozione intensa davanti a un’opera d’arte o capita di sentirci profondamente connessi a essa?
Grazie ai progressi di questa disciplina oggi sappiamo che le intense sensazioni generate dall’arte non sono fenomeni astratti, ma il risultato di un complesso mosaico di aree cerebrali che si attivano quando osserviamo le opere d'arte. Da questa prospettiva, personaggi illustri della storia dell'arte come Vincent Van Gogh possono essere considerati non solo incredibili artisti, ma anche straordinari neuroscienziati sui generis.
Come si studia la neuroestetica e cosa accade nel cervello davanti a un'opera d’arte
Chiudete gli occhi e cercate di ricordare la prima volta che avete visto dal vivo la vostra opera preferita (ma vale anche un fenomeno naturale!). Riuscite a richiamare alla mente lo stupore e le emozioni di quel momento? Forse vi è tornata in mente quella sensazione di avere il cuore in gola, o magari il brivido che vi ha percorso la pelle.
Un esperimento di neuroestetica funziona proprio così. Un partecipante viene posto davanti a un’opera d’arte, indossando speciali sensori mobili che misurano parametri fisiologici come la frequenza cardiaca, la conduzione elettrica della pelle e le variazioni nella respirazione. Questi parametri sono chiamati biomarcatori, ovvero dati oggettivi e misurabili che permettono di rilevare in modo indiretto ciò che accade nel nostro cervello, come l’emergere di un’emozione o la cattura della nostra attenzione.
Ma c’è di più. Grazie a tecniche di neuroimaging, come l’elettroencefalografia, oggi è possibile osservare direttamente l’attività cerebrale, mostrando quali aree del cervello si attivano durante un’esperienza estetica. L’integrazione di questi dati ci offre un quadro dettagliato di come il nostro cervello risponde a ciò che consideriamo bello o significativo.
Quali aree cerebrali si attivano davanti a un'opera d'arte
Quando ci capita di sentirci completamente immersi nello scenario di un quadro, è come se il nostro cervello si proiettasse in un vero e proprio mondo parallelo. In effetti, quando guardiamo un'opera, il cervello attiva le stesse aree che usa per interpretare le informazioni sensoriali della realtà che ci circonda. Per esempio, se un volto dipinto ci sembra reale e attraente è perché nel momento in cui lo osserviamo si attiva la corteccia fusiforme, la stessa area cerebrale che ci permette di riconoscere i volti reali.

Ma il nostro cervello non si limita a elaborare le immagini in modo analitico e distaccato: l'arte ha un potere molto più pervasivo. Il senso di immersione e profonda risonanza emozionale che avvertiamo talvolta ammirando un’opera d’arte o un suo protagonista potrebbe essere spiegato dall'attività dei neuroni specchio, una classe di neuroni che si attivano sia quando compiamo un'azione sia quando osserviamo qualcun altro eseguirla. Secondo alcuni studiosi, è proprio grazie a questi neuroni che riusciamo a immedesimarci nei protagonisti di un'opera, simulando internamente i loro movimenti e sentendo sulla nostra pelle le emozioni e le sensazioni corporee rappresentate. Questo straordinario processo ci consente di vivere l'arte in modo empatico, percependola come un’estensione diretta della nostra esperienza personale.
È anche per questo che l'arte è capace di evocare emozioni così profonde. Secondo gli studi di neuroestetica, infatti, l'arte è in grado di attivare numerose aree cerebrali coinvolte nelle emozioni, come l'amigdala. Quando un'opera ci cattura, entra in gioco anche il sistema della ricompensa, che rilascia neurotrasmettitori come dopamina, serotonina e ossitocina. Queste sostanze sono responsabili delle sensazioni di piacere e gratificazione che proviamo di fronte a un’opera d'arte, contribuendo a rendere l’esperienza estetica coinvolgente e appagante. È proprio grazie al rilascio di queste sostanze che siamo in grado di scegliere le nostre opere preferite!


VTA: area tegmentale ventrale; AMY: amigdala; HIPP: ippocampo; NAc: nucleus accumbens; PFC: corteccia prefrontale. Credit: GeorgeVKach, CC BY–SA 4.0
Vincent Van Gogh, neuroscienziato sui generis
Semir Zeki, neuroscienziato e padre della neuroestetica, afferma che «l'artista è, in un certo senso, un neuroscienziato che esplora le potenzialità e le capacità del cervello, sebbene con strumenti diversi».
Osservate per esempio quest’opera, Campo di grano con volo di corvi di Vincent Van Gogh.

Guardando l'immagine, sembra che le spighe di grano si stiano muovendo e si percepisce in generale un senso di movimento. Non si tratta di un'illusione ottica, ma di un fenomeno che avviene nel nostro cervello. Alcuni studi hanno infatti rivelato che, grazie alla forza delle sue pennellate dinamiche e spontanee, Van Gogh è in grado di attivare una regione cerebrale chiamata area MT, responsabile della percezione del movimento degli oggetti. In un certo senso, Van Gogh con la sua arte ha saputo stimolare nel nostro cervello una risposta simile a quella che si verifica di fronte al movimento reale, evocando quella che possiamo chiamare una "danza mentale" che rende la sua pittura non solo visivamente coinvolgente, ma anche un'intrigante esperienza di neuroestetica!