

MDMA, Molly o Ecstasy: la “droga da party” per eccellenza. Una sostanza psicoattiva sintetica dagli spiccati effetti stimolanti ed entactogeni.
Vediamo nel dettaglio come questa sostanza agisce sul nostro corpo e sul cervello, analizzando i meccanismi biochimici che la rendono così potente.
Che cos’è l’MDMA
L’MDMA il cui nome completo è 3,4-metilenediossimetanfetamina, fu sintetizzata per la prima volta nel 1912 da un chimico tedesco chiamato Anton Köllisch, che stava lavorando allo sviluppo di una sostanza emostatica per conto della casa farmaceutica Merck.
Mentre sintetizzava questo farmaco incappò in un composto intermedio della sintesi, e cioè una sostanza di passaggio che si forma durante il processo. Questo composto intermedio era proprio l’MDMA.
Fu solamente negli anni ‘70, però, che questa sostanza iniziò a girare sottobanco per le strade di Boston e New York, e successivamente, in tutto il mondo. Il suo culmine arriva poi qualche decennio dopo, a cavallo tra gli anni ‘90 e 2000, quando diventa la “droga da party” che in tanti conoscono, una sostanza legata soprattutto ai contesti musicali e ai rave.

Come agisce l’MDMA sul cervello
L'MDMA si presenta per lo più in pasticche colorate su cui sono spesso impressi simboli, e più raramente si può trovare in forma di cristalli o sotto forma liquida. Di conseguenza nella maggior parte dei casi viene assunta tramite ingestione ma può capitare più raramente che venga fumata e addirittura iniettata.
MDMA è un acronimo che sta per “Metilene-Diossi-Met-Anfetamina”, e come si evince dal nome è quindi considerata un derivato delle anfetamine. Appartiene quindi alla famiglia degli stimolanti, la stessa categoria della cocaina, ma anche della caffeina: tutte sostanze che hanno effetti eccitanti, e sono in grado di aumentare l’attività del sistema nervoso centrale.
Infatti una volta raggiunto il cervello questa sostanza agisce sui neuroni principalmente in due modi.
Stimola la produzione di tre neurotrasmettitori: la dopamina, legata al piacere, la serotonina alla felicità e noradrenalina all’eccitazione.
Inoltre agisce anche sulla loro ricaptazione. Che vuol dire?
Normalmente quando proviamo emozioni forti, i nostri neuroni rilasciano i neurotrasmettitori, che si diffondono nello spazio che si trova tra un neurone e l’altro, lo spazio intersinaptico.
Queste emozioni però non durano per sempre, perché a un certo punto si aprono dei canali e i neurotrasmettitori vengono riassorbiti dal neurone, vengono ri-captati appunto.
Quindi, l’MDMA blocca questo processo di ricaptazione e di conseguenza gli spazi intersinaptici si riempiono a dismisura, causando sul consumatore gli effetti psicotropi.

Gli effetti dell’MDMA
I primi effetti dell’MDMA compaiono già dopo 30 minuti dopo l’assunzione e possono durare svariate ore. Nello specifico si avrà una forte intensificazione delle percezioni sensoriali, quindi si vedranno colori più nitidi, il senso del tatto verrà amplificato e i suoni sembreranno più reali, concreti, ed ecco perché viene spesso utilizzata durante i concerti o le feste, quindi in contesti dove la musica gioca un ruolo importante.
L'assunzione di MDMA causerà anche euforia e in alcuni casi lievi effetti allucinogeni. Inoltre verrà alterata la percezione del tempo e si proverà una forte sensazione di felicità e disinibizione. In più si avranno effetti empatogeni-entactogeni, e cioè un aumento di empatia e fiducia verso il prossimo con un forte desiderio di contatto fisico con le persone attorno.
Dopo tutti questi effetti piacevoli però, più tardi la sostanza ci presenterà il conto, quando gli effetti saranno ormai svaniti.
Infatti dopo tutta questo “bombardamento” di sensazioni piacevoli, il nostro cervello subirà degli squilibri e in particolare i giorni a seguire il cervello avrà una carenza di produzione dei neurotrasmettitori, inclusa la serotonina. Questo può causare forte tristezza, apatia e senso di vuoto. Condizione che si può protrarre anche per giorni.
Dal punto di vista fisico, invece, è tipico il cosiddetto “smascellamento”, ovvero un irrigidimento involontario della mascella che fa fare delle smorfie abbastanza riconoscibili. Oltre a tutto ciò si potrebbe avere forte nausea, vomito – e anche una strana sensazione di irrequietezza alle gambe, con un irrefrenabile bisogno di muoverle, spesso accompagnato da disagio o sensazioni spiacevoli. Se si esagera con le dosi inoltre si potrebbero avere paranoie e si potrebbe non provare piacere a stare a contatto con le persone. In più, dopo l’assunzione aumenteranno i battiti e la pressione sanguigna, si dilateranno le pupille e si potrebbe avere anche un innalzamento della temperatura corporea con conseguente sudorazione e disidratazione.
Quali sono i rischi più gravi che comporta l’MDMA?
Uno dei principali rischi della sostanza infatti è legato all’ipertermia, e cioè l’innalzamento eccessivo della temperatura corporea, che in casi estremi può addirittura portare al decesso.
Questa condizione dipende sicuramente dal dosaggio, quindi da quanta sostanza si assume, dalla temperatura ambientale e dall’idratazione dell’individuo, ma la verità è che potrebbe capitare a chiunque, anche a persone in perfetta salute e ben idratate. Questo perché una grossa componente di rischio è dovuta anche alla genetica, quindi è pressoché impossibile sapere prima con certezza che effetti potrebbe sortire su di noi la sostanza.
Inoltre l'uso prolungato nel tempo di MDMA può anche portare a problemi cardiaci o danni al fegato, e nello specifico causare l’epatite fulminante: un’insufficienza epatica che porta alla necrosi del fegato, quindi alla morte delle sue cellule. Questa è una condizione davvero grave che può portare alla morte.

L’uso terapeutico dell’MDMA
Al di là di tutti i rischi, che effettivamente ci sono e non vanno sottovalutati, l’MDMA è anche oggetto di studio da parte della comunità scientifica, che vede in questa sostanza un possibile farmaco da utilizzare in ambito psichiatrico. Sì perché a quanto pare potrebbe sortire dei benefici in pazienti affetti da disturbo post traumatico da stress.
L'uso dell'MDMA come farmaco è ancora in fase sperimentale, e, ricordiamolo, non ha nulla a che vedere con l’uso ricreativo. Viene sempre somministrata sotto supervisione medica durante gli studi di ricerca, in contesti clinici, sicuri, controllati, in cui si analizza accuratamente lo storico del paziente e l’eventuale dose da somministrare.