
Nell’immaginario collettivo le vetture elettriche sono una tecnologia estremamente recente, ma storicamente il motore elettrico è arrivato molto prima di quello termico. La timeline corretta è infatti questa: invenzione del motore elettrico, scoperta del primo giacimento produttivo di petrolio, invenzione del motore a scoppio.
1832, Robert Anderson inventa la “Carrozza Elettrica”
Gli anni centrali del 19esimo secolo sono cruciali per l’invenzione di un mezzo di trasporto che facesse a meno della trazione animale e che sfruttasse l’energia elettrica, una tecnologia talmente rivoluzionaria che aveva letteralmente “acceso” l’ingegno di moltissimi individui, impazienti di scoprirne usi e applicazioni in diversi ambiti, fra cui il trasporto delle persone.
La prima testimonianza (risalente al periodo compreso fra il 1832 e il 1839) relativa a un rudimentale, e molto limitato, mezzo di locomozione su strada (non possiamo ancora chiamarlo “automobile” secondo l'accezione moderna del termine) riguarda la “Carrozza Elettrica” dell’inventore scozzese Robert Anderson (ispiratosi al modellino su scala progettato dal fisico e sacerdote benedettino ungherese Anyos István Jedlik nel 1828).

L’invenzione aveva limiti importanti, il primo dei quali il fatto che le batterie, che sfruttavano il petrolio per generare energia elettrica (erano praticamente le antenate “usa e getta" delle moderne cellule a combustibile, ovvero le fuel cell utilizzate nelle auto elettriche a idrogeno), non potevano essere ricaricate.
L'impossibilità di ricaricare le batterie limitava enormemente l’autonomia del mezzo e quindi la sua utilità pratica nella vita di tutti i giorni; al contempo, però, era un primo passo su un percorso nuovo, ricco di potenziali scoperte, che non tarderanno ad arrivare.
1835, Thomas Davenport realizza il primo motore elettrico
Quasi contemporaneamente ad Anderson, lo statunitense Thomas Davenport, di professione fabbro, crea il primo motore elettrico a corrente continua, utilizzando due elettromagneti fissi e un commutatore per generare il movimento rotatorio. L’invenzione di Davenport, sostanzialmente, trasforma l’energia elettrica in energia meccanica, permettendo di utilizzare l’elettricità in molteplici applicazioni. Nel caso specifico, il fabbro statunitense pensava a delle locomotive elettriche, al posto di quelle a vapore.

Davenport riuscirà a brevettare questo motore solo nel 1837, dopo innumerevoli lotte con l’USPTO (United States Patent and Trademark Office, Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti), che certificherà il lavoro dell’inventore americano con la generica definizione "Miglioramenti nei macchinari di propulsione mediante magnetismo ed elettromagnetismo".
1840 – 1891 arrivano le batterie ricaricabili e le prime auto elettriche
Il punto di svolta si ha nel 1840, quando il fisico francese Gaston Planté, dopo diversi tentativi, scopre che gli elettrodi di piombo e biossido di piombo, se immersi in acido solforico, innescano una reazione elettrochimica reversibile, dando vita a una pila ricaricabile in grado di fornire una tensione di 2 volt stabile nel tempo. Si tratta a tutti gli effetti della prima versione della batteria al piombo presente in ogni veicolo moderno.
Da lì, la strada per la messa a punto di veicoli elettrici è spianata, e nel giro di pochi anni iniziano a circolare i primi modelli: nel 1881 Gustave Trouvé attraversa le vie di Parigi con un triciclo elettrico.
Nel 1885 il francese Jeantaud produce e vende vetture elettriche con un'autonomia di 30 km e una velocità di 20 km/h; nel 1891 il conte Giuseppe Carli di Castelnuovo Garfagnana e l’ingegner Francesco Boggio, realizzano la prima elettrica italiana.
Non mancano poi gare automobilistiche, che portano ai primi record: uno dei più importanti è quello stabilito dalla vettura elettrica La Jamais Contente (La mai contenta), la prima automobile in assoluto a superare la velocità di 100 km/h durante una competizione tenutasi nel 1899.

1853, due italiani realizzano il primo motore a scoppio
La seconda metà del 1800 vede la coesistenza dei due motori, esattamente come succede oggi: il motore elettrico, alimentato da batterie ricaricabili, e il motore a scoppio, alimentato a benzina, grazie alla scoperta dei primi giacimenti petroliferi e alla nascita di società di raffinazione, come la Standard Oil, fondata nel 1870.
Attenzione! Contrariamente a quanto si crede (e a quanto abbiamo scritto parlando della storia dell'automobile) a progettare il primo motore a combustione interna non furono Nikolaus Otto e Karl Benz, ma gli italiani Padre Eugenio Barsanti e l'ingegnere Felice Matteucci.
Infatti, mentre il brevetto tedesco della "Patent Motorwagen" (numero 37435) fu registrato nel 1886 presso l'Ufficio Brevetti dell'Impero Germanico, l'invenzione italiana fu depositata, tramite la precisa descrizione del motore su un documento autografo, presso gli uffici dell'Accademia dei Georgofili di Firenze nel 1853!
La vicenda dei due inventori italiani è rimasta sconosciuta per moltissimo tempo, a causa della mancanza di un documento ufficiale italiano (il Granducato di Toscana non disponeva di un Ufficio Brevetti).

Sebbene il divario tecnologico fra l’invenzione di Benz e i già circolanti veicoli elettrici fosse notevole (guardando solo alla velocità di crociera, il Velociped tedesco raggiungeva al massimo i 16 km/h) e la benzina venisse inizialmente venduta solo nelle farmacie (come rimedio contro i pidocchi! Sarà solo nel 1913 che a Pittsburgh nascerà la prima stazione di rifornimento per automobili), nel giro di pochi anni il motore termico lasciò indietro l’alternativa elettrica.
A segnare la messa all'angolo del motore elettrico per oltre un secolo, salvo applicazioni particolari, non furono né complotti contro inventori dell'epoca (come Nikola Tesla, ma non solo lui), né le società petrolchimiche, ma un aspetto molto più pratico: in un certo senso, nel 1891 il motore elettrico era arrivato al suo massimo sviluppo, mentre quello a scoppio poteva migliorare considerevolmente.
La benzina, complice gli investimenti nel settore petrolifero, era diventata estremamente economica, molto più delle batterie disponibili sul mercato, e questo catalizzò l'interesse di diverse società verso lo sviluppo di motori a scoppio più performanti, in grado di coprire distanze sempre maggiori con un solo litro di carburante.
Lo stesso non poteva dirsi per l'autonomia di un'auto elettrica, ancora legata all'uso delle batterie al piombo che, per quanto ricaricabili, disponevano di una densità energetica piuttosto modesta.
Bisognerà aspettare l'arrivo delle batterie agli ioni di litio (utilizzate in molteplici applicazioni, che spaziano dai dispositivi medici ai nostri smartphone) perché le cose cambino, capovolgendosi nuovamente.