
Grazia Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) è stata la prima, e finora unica, donna italiana insignita del Premio Nobel per la Letteratura (1926, consegnato nel 1927). Autodidatta, nata in una Sardegna ancora profondamente legata a usi arcaici e a una rigida divisione dei ruoli di genere, riuscì con la sola forza della scrittura a conquistare un successo internazionale diventando una delle figure più sorprendenti della narrativa italiana del ‘900.
Grazia Deledda e la sua formazione fuori dagli schemi
Cresciuta in una famiglia benestante ma segnata da tragedie familiari, Deledda frequentò la scuola solo fino alla quarta elementare, proseguendo poi gli studi da autodidatta, aiutata da un insegnante privato e da una curiosità instancabile. Amava leggere ogni testo che riusciva a procurarsi e trovava nella scrittura un rifugio e un mezzo per dare forma al proprio mondo interiore.
Fin da giovanissima iniziò a scrivere racconti, firmandosi con vari pseudonimi – come Ilia de Saint’Ismail o Fea – per aggirare i pregiudizi del tempo contro le donne che si dedicavano alla letteratura. La sua prima pubblicazione significativa arrivò a 17 anni con la novella Sangue sardo (1888) sulla rivista romana Ultima Moda. Poco dopo collaborò con la Rivista delle tradizioni popolari italiane di Angelo De Gubernatis, che ne incoraggiò il talento e la avviò verso un percorso letterario più consapevole.

La carriera letteraria della scrittrice italiana e i capolavori
Il romanzo della consacrazione fu "La via del male" (1896), che attirò l’attenzione dei critici e la impose come nuova voce del panorama letterario italiano. Da quel momento, la sua produzione divenne costante e prolifica.
Tra le sue opere più note si ricordano:
- Elias Portolu (1903): la vicenda di un ex galeotto che, tornato in Sardegna, si innamora della promessa sposa del fratello, vivendo un conflitto tra colpa e redenzione.
- Cenere (1904): racconta la vita di una madre costretta ad abbandonare il figlio, segnato da solitudine e dolore; dal romanzo fu tratto un film con Eleonora Duse.
- Canne al vento (1913): considerato il suo capolavoro e l'opera più famosa, narra le vicende delle sorelle Pintor, nobili decadute in un villaggio sardo, simbolo di una Sardegna arcaica sospesa tra mito e realtà.
- La madre (1920): dramma intenso sulla relazione proibita tra un giovane sacerdote e una donna, che mette a confronto passione e religione.
- Cosima (1937, postumo): autobiografia romanzata che ripercorre l’infanzia e la giovinezza dell’autrice, rivelando le origini della sua vocazione letteraria.
Nelle sue pagine ricorrono spesso i temi della colpa, del castigo e dell’espiazione, filtrati attraverso un’interpretazione morale e religiosa della vita. La Sardegna, con i suoi paesaggi e le sue tradizioni, rimase sempre l’orizzonte narrativo privilegiato, trasformato in scenario universale delle passioni umane.

Il Nobel per la letteratura: il riconoscimento internazionale della Deledda
Il 10 dicembre 1927, a Stoccolma, Deledda ricevette il Nobel per la Letteratura "per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano". Quell’assegnazione fu storica: Deledda divenne non solo la prima donna italiana, ma la seconda donna al mondo a ricevere il premio. Eppure, continuò a condurre una vita appartata, dedicata alla famiglia e alla scrittura.

Grazia Deledda morì a Roma nel 1936, poco dopo aver terminato Cosima. Le sue spoglie riposano oggi nella chiesa della Solitudine a Nuoro, ai piedi del Monte Ortobene. La sua figura rimane un simbolo di emancipazione femminile ottenuta non con proclami, ma con l’autorità della scrittura. In un’epoca che relegava le donne al silenzio, riuscì a dare voce a una Sardegna sospesa tra mito e modernità e a trasformare le vicende locali in letteratura universale.