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Il femminismo, il movimento che rivendica i diritti civili, economici e politici delle donne, ha attraversato più di un secolo di storia, trasformandosi radicalmente nelle sue forme, rivendicazioni e linguaggi. Dalle lotte delle suffragette dell’800 per ottenere parità di diritti civili nella società, alla molteplicità delle voci del femminismo contemporaneo, questo movimento ha contribuito in modo decisivo alla ridefinizione dei rapporti di potere, dei ruoli di genere e dei diritti civili e sociali.
Come vedremo, con il tempo il movimento ha visto accrescere la propria complessità, tanto da poter parlare di “femminismi” al plurale e di correnti talvolta divergenti. In questa pluralità, si fa strada la consapevolezza che essere “donna” significa anche avere un'esperienza storica e sociale diversa da contesto a contesto.
Le radici del movimento femminista: le suffragette e la prima ondata
Il movimento per i diritti delle donne prende piede in Europa e negli Stati Uniti nel XIX secolo e questa prima grande rivendicazione politica è nota come “suffragismo”. Le suffragette britanniche, guidate da figure come Emmeline Pankhurst e il Women’s Social and Political Union (WSPU), rivendicano infatti il diritto di voto per le donne, adottando anche tattiche radicali: proteste pubbliche, scioperi della fame, atti dimostrativi come lanci di pietre o interruzioni di eventi pubblici. In parallelo, negli Stati Uniti, donne come Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony promuovono la partecipazione politica femminile attraverso petizioni, congressi e attivismo nelle organizzazioni civili.
Questa fase, definita dalla teoria femminista come prima ondata, si concentra su diritti civili e politici fondamentali, come il voto e l’accesso all’istruzione. Tuttavia, è importante notare — come rilevato da Angela Davis — che il movimento era segnato da forti limiti razziali e di classe: le esperienze delle donne nere, indigene e proletarie furono spesso marginalizzate o ignorate in quel momento storico.
Un esempio emblematico è quello di Sojourner Truth, ex schiava afroamericana e figura centrale del femminismo abolizionista, che nel suo celebre discorso "Ain’t I a Woman?" (1851) denuncia il razzismo e il sessismo delle suffragette bianche.
Queste riflessioni aprono la strada alle critiche successive portate avanti da studiose come Oyèrónkẹ́ Oyěwùmí e Chandra Talpade Mohanty, che denunciano l’eurocentrismo del femminismo occidentale e ci aiutano a capire che l’idea di cosa significhi essere “donna” o “uomo” non è uguale in tutto il mondo, né è sempre stata la stessa nel tempo. Ogni società ha le sue regole, usanze e modi di vedere i ruoli delle persone, e quello che a noi sembra naturale o ovvio, altrove può avere un significato completamente diverso (addirittura nelle culture yoruba precoloniali il genere non era nemmeno un criterio primario di organizzazione sociale).
Dal femminismo radicale al pensiero intersezionale: le trasformazioni del ‘900
La seconda ondata femminista, che esplode negli anni '60 e '70 del Novecento, sposta l’attenzione dal piano “legale” a quello “culturale” e “personale”. Il celebre slogan “il personale è politico” — coniato nell’ambito del femminismo radicale statunitense — segna una svolta: le esperienze intime e quotidiane (come la divisione del lavoro domestico, la sessualità, la maternità, la violenza domestica) diventano oggetto di analisi e rivendicazione politica.

La scrittrice femminista più famosa di sempre, Simone de Beauvoir, cambia radicalmente il corso della storia femminista con Il secondo sesso (1949), opera monumentale che mette in discussione le costruzioni culturali della femminilità riflettendo su storia, religione, filosofia e socialità in modi mai affrontati prima.
Pierre Bourdieu, in La dominazione maschile (1998), spiega invece come le disuguaglianze tra uomini e donne non siano solo economiche o giuridiche, ma anche simboliche e culturali: sono interiorizzate e riprodotte attraverso le pratiche quotidiane e l’educazione.
Oltre alla scrittura che cambia tutti i paradigmi pian piano, se negli anni Sessanta il femminismo è stato radicale (critica al patriarcato, revisione dei ruoli di genere, autodeterminazione sociale e sessuale) e quindi orientato ad affrontare le radici profonde dell'oppressione delle donne proponendo una trasformazione radicale della società e dei suoi valori, negli anni Ottanta è emerso con forza il femminismo intersezionale. La prima donna ad averne parlato è stata la giurista afroamericana Kimberlé Crenshaw per descrivere come diversi sistemi di oppressione — razzismo, sessismo, classismo — si sovrappongano e si intersechino. Una donna nera povera, per esempio, può vivere discriminazioni diverse rispetto a una donna bianca benestante, proprio perché la sua esperienza è intersecata da più forme di esclusione.

Il femminismo oggi: sfide, conflitti e nuovi orizzonti
Nel XXI secolo il femminismo vive una nuova stagione, talvolta definita quarta ondata, caratterizzata dall’uso dei social media, dall’attivismo digitale e da un forte orientamento intersezionale. Movimenti come Ni Una Menos (nato in Argentina contro i femminicidi), #MeToo (contro le molestie sessuali) e Non Una di Meno (in Italia) rappresentano un femminismo transnazionale, che affronta la violenza di genere, la precarietà economica, il razzismo strutturale e le norme cis-eteropatriarcali (cioè l’insieme di regole sociali che danno per scontato che le persone debbano essere eterosessuali e identificarsi nel genere assegnato alla nascita, subordinando tutte le altre identità).
Il femminismo contemporaneo si interroga su temi complessi come l’identità di genere, i diritti delle persone trans, la gestazione per altri, il lavoro sessuale e la giustizia ambientale, attraverso la corrente dell’ecofemminismo.

A fronte dell’assimilazione neoliberale di alcune istanze femministe — per esempio, l’idea di “empowerment femminile” inteso come successo individuale e carriera imprenditoriale — emergono nuove forme di attivismo collettivo che rivendicano un femminismo non elitario (che non dimentica le donne precarie, migranti, disabili o escluse dal mercato), capace di mettere in discussione le disuguaglianze strutturali, come il capitalismo, il razzismo e il patriarcato.
I libri che hanno influenzato il movimento femminista
Tra i testi che hanno posto le basi teoriche del pensiero femminista, ricordiamo:
- Il secondo sesso di Simone de Beauvoir (1949), che analizza la condizione femminile come costruita storicamente attraverso la figura della donna come “Altro” rispetto all’uomo;
- La dominazione maschile di Pierre Bourdieu (1998), che mostra come le disuguaglianze tra uomini e donne si trasmettano anche in modo invisibile, attraverso simboli, abitudini e aspettative sociali.
- Women, Race & Class di Angela Davis (1981), che mette in luce le intersezioni tra oppressione di genere, razza e classe, anticipando la riflessione intersezionale;
- Outrageous Acts and Everyday Rebellions di Gloria Steinem (1983), una raccolta di articoli, aneddoti e analisi che ha reso il femminismo accessibile, ironico e radicato nella quotidianità.
- Feminist Theory: From Margin to Center di Bell Hooks (1984), che critica il femminismo dominante per non includere le esperienze delle donne nere, povere e queer, proponendo invece un femminismo che parta dai margini;
- Gender Trouble di Judith Butler (1990), che ha rivoluzionato la teoria del genere introducendo il concetto di performatività, mostrando che il genere non è qualcosa di “naturale” ma qualcosa che si costruisce ogni giorno attraverso comportamenti ripetuti;
- Calibano e la strega di Silvia Federici (2004), che rilegge la storia della modernità e del capitalismo a partire dalla violenza istituzionale contro le donne, in particolare durante la caccia alle streghe;
- Feminism Without Borders di Chandra Talpade Mohanty (2003), che denuncia l’universalismo del femminismo occidentale e propone una politica femminista transnazionale e decoloniale, basata sulla solidarietà tra donne diverse per contesto e condizioni di vita.