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14 Dicembre 2025
13:00

Le preoccupazioni per l’impatto dell’AI sul mondo del lavoro sono fondate? Ecco cosa dicono i dati

La rivoluzione tecnologica solleva timori di "job-pocalypse", ma i report internazionali prevedono un saldo occupazionale positivo. Serviranno nuove hard skill digitali e, soprattutto, soft skill umane come pensiero critico, empatia e flessibilità per navigare una profonda trasformazione del mercato.

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Le preoccupazioni per l’impatto dell’AI sul mondo del lavoro sono fondate? Ecco cosa dicono i dati
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Molti dei lavori che svolgiamo oggi, per cui esistono corsi di studi specifici, un giorno – neanche troppo lontano – non esisteranno più a causa del progresso tecnologico. Sono tanti gli studenti e i lavoratori preoccupati che tutto quello che stanno imparando oggi possa presto diventare obsoleto all’interno del mondo del lavoro. Ugualmente, molti dei lavori che in futuro verranno svolti da coloro che in questo momento stanno studiando, ancora non esistono. Cosa dovremmo studiare quindi oggi, e come possiamo prepararci al futuro affinché sviluppiamo conoscenze e competenze che possano esserci utili?

I timori dei lavoratori legati all’avvento dell’AI

In generale, molti temono quelli che saranno i cambiamenti nel mondo del lavoro. Tra i manager che utilizzano ampiamente l’AI nella vita quotidiana, secondo un report del Boston Consulting Group “AI at Work: Momentum Builds, But Gaps Remain”, effettuato su oltre 10mila interviste a dirigenti aziendali, manager e personale operativo in 11 Paesi, quasi uno su due (46%) è preoccupato degli effetti del progresso tecnologico; questa percentuale scende al 34% tra coloro che usano meno l’AI.

I più preoccupati sono coloro che utilizzano maggiormente l’AI e che ricoprono ruoli più importanti, rispetto agli impiegati di rango minore che la utilizzano meno – in linea con il paradosso dell’effetto Dunning-Kruger, per cui man mano che si diventa più competenti ci si rende più facilmente conto dei propri limiti e mancanze. Tra i più preoccupati ci sono i professionisti in campo IT, per cui il timore nei confronti dell’AI sale al 91%.

E in Italia quanta paura abbiamo? Meno di altri Paesi. Secondo il report, in Italia il 68% dei lavoratori utilizza regolarmente strumenti di AI generativa – la media globale sale al 72%, con picchi in India (92%) e Medio Oriente (87%). Rispetto ai timori, a livello globale il 41% dei lavoratori teme entro 10 anni di essere sostituito dall’AI, mentre in Italia la preoccupazione è minore (36%) – di nuovo, sale in quei Paesi dove l’utilizzo dell’AI è più avanzato (Spagna, India e Medio Oriente). Uno dei timori più diffusi, condiviso dal 36% delle persone, è quello di non essere sufficientemente formati all'utilizzo. E in quelle aziende in cui l'AI è già stata introdotta e ha ridisegnato i flussi di lavoro, il 41% delle persone teme di essere rimpiazzata.

Anche gli studenti che escono da diversi percorsi di studi e si affacciano al mondo del lavoro nutrono timori, tanto che si parla di “job-pocalypse”. Una ricerca della British Standards Institution riportata da The Guardian li raccoglie: non sarebbero più legati solo al tema della concorrenza tra coetanei, ma soprattutto a quella dell’AI, che risponderebbe in maniera più rapida ed economica alle richieste che interessano di solito lavoratori più giovani, senza esperienza e da formare. Questa opzione si verifica già oggi per il 41% delle aziende intervistate in questa ricerca (cinesi, giapponesi, australiane, tedesche, statunitensi e del Regno Unito).

Il mondo del lavoro con l'avvento dell'AI: previsioni e i report 

Secondo il Financial Times, l’adozione di massa di ChatGPT dal 2022 ancora non ha avuto un impatto dirompente sui posti di lavoro negli USA, al contrario di quanto affermano generalmente i dirigenti del settore tecnologico, secondo cui l’AI sta già sconvolgendo i mercati del lavoro. Le ricerche condotte dagli economisti del Yale University Budget Lab e dal think-tank Brookings Institution indicano che dal lancio del chatbot di OpenAI a novembre 2022, l’AI generativa non avrebbe avuto un effetto sull’occupazione più drammatico rispetto a precedenti innovazioni tecnologiche.

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Variazioni nel mix occupazionale nei diversi periodi di cambiamento tecnologico, Elaborazione da Yale University Budget Lab

L’indagine a cura di Randstad Research sulle trasformazioni dell'AI sul mercato del lavoro stima che in Italia circa 10,5 milioni di lavoratori siano “altamente esposti” all’impatto dell’AI. Nel 46,6 % dei casi si tratta di lavoratori a bassa qualifica; nel 43,5 % a qualifica media e solo nel 9,9 % ad alta qualifica. Le categorie maggiormente a rischio sarebbero quelle che includono operai e impiegati d’ufficio con mansioni con compiti ripetitivi o facilmente automatizzabili. Si prevede non una sostituzione in tutti i casi, ma una trasformazione del lavoro, che richiederà ai lavoratori nuove hard skill digitali, più “tecniche”, ma anche lo sviluppo di soft skill prettamente umane, come pensiero analitico, resilienza, flessibilità, agilità, leadership e influenza sociale, motivazione e consapevolezza.

Il report del World Economic Forum dedicato al futuro del lavoro pubblicato a inizio anno prevede in realtà un aumento netto globale di +78 milioni di posti di lavoro entro il 2030, con 170 milioni di posti creati, a fronte di 92 eliminati. Le trasformazioni, certo, saranno profonde. Le competenze in generale più richieste nei prossimi anni saranno in parte tecnologiche – legate alle capacità di usare le AI, di lavorare con i big data e di rispondere a esigenze di cybersecurity – e in parte, come detto, legate alle soft skill umane, come l’esercizio di pensiero critico, collaborazione, empatia.

Il report di PWC The Fearless Future: 2025 Global AI Jobs Barometer, focalizzato sull’Italia, conferma che l’AI sta ridefinendo i ruoli lavorativi in modo sempre più rapido: le competenze richieste dai datori di lavoro per i lavori esposti all’AI stanno cambiando il 66% più rapidamente rispetto agli altri lavori, con un aumento sullo scorso anno. Questi ruoli stanno evolvendo a una velocità quasi tre volte superiore rispetto agli altri settori, richiedendo un aggiornamento continuo. Secondo la ricerca, però, come accaduto con l’avvento dell’elettricità, l’IA avrebbe il potenziale per creare più posti di lavoro di quanti ne sostituisca, se utilizzata per sviluppare nuove forme di attività economica: in particolare, potrebbe rendere più accessibili alcune professioni anche a chi non ha una laurea universitaria o un percorso di studi tradizionale.

Secondo il rapporto Censis-Confcooperative 2025, i prossimi cinque anni saranno decisivi per il mondo delle imprese in Europa. Secondo una stima di McKinsey, nel 2030 circa il 27% delle ore lavorate sarà automatizzato e questo modificherà profondamente il mercato del lavoro complessivo, con l’AI che agirà come catalizzatore di due dinamiche: la polarizzazione dell’occupazione e l’erosione delle qualifiche intermedie.

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Impatto dell’Al generativa sull’automazione delle ore lavorative entro il 2030 in Europa, dati Censis e McKinsey

Complementarietà e sostituzione: come si inserirà l’AI nel mondo del lavoro

Secondo Banca d’Italia, sui circa 22 milioni di lavoratori attivi nel 2022 in Italia, il numero di lavoratori altamente esposti alla sostituzione è di circa 4,75 milioni, mente quelli altamente esposti alla compenetrazione delle AI nelle loro mansioni sono circa 4 milioni: si stima che circa il 22% della forza lavoro potrebbe, in linea teorica, essere sostituita dall’AI, mentre circa il 18% dei lavoratori potrebbe vedere un ingresso delle IA in una funzione altamente complementare alle proprie mansioni.

Tra le professioni più esposte alla complementarietà ci sono soprattutto quelle intellettuali con una minore responsabilità decisionale, come ad esempio il contabile, il tecnico del lavoro bancario, il tecnico statistico, ecc. (ndr. vedi tabella qui sotto), mentre tra quelle più esposte alla funzione complementare saranno tutte quelle in cui vi è sì un lato automatizzabile, ma persiste l’insostituibilità, anche morale e deontologica, dell’operato umano, come nel caso degli avvocati, dei magistrati, degli psicologi o dei direttori e dirigenti di imprese.

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Il grado di esposizione alla sostituzione o complementarità aumenta con l’aumentare del livello di istruzione: secondo i dati, infatti, il 64% dei lavoratori a basso rischio non raggiunge il grado di istruzione superiore, mentre solo il 3% è laureato; in quelli più inclini alla sostituzione la maggior parte dei lavoratori (54%) hanno un’istruzione superiore e il 33% un diploma di laurea; infine, tra i lavoratori che più vedranno l’ingresso complementare delle IA nei processi produttivi posseggono una laurea (59%) mentre sono il 29% quelli con un diploma superiore. Mediamente, le donne sono più esposte.

I nuovi lavori nell'era dell'intelligenza artificiale e quelli che sopravviveranno

Le professioni di oggi che potrebbero essere meno interessate dai cambiamenti sono quelle più pratiche e manuali, come artigianato, falegnameria, idraulica, meno sostituibili da processi automatizzati e con una richiesta sempre alta. Questi lavori non richiedono percorsi di studi specifici, bensì apprendistati e formazione pratica. Recentemente Jensen Huang, Ceo di Nvidia (azienda leader nella produzione di GPU), ha dichiarato che elettricisti, idraulici e altri ruoli tecnici saranno fondamentali nella costruzione, nella riparazione e nella manutenzione dei data center – che, a oggi, sono in tutto il mondo 12mila, in crescita. Rimarranno probabilmente “umane” anche quelle professioni che richiedono interazioni sociali complesse, come accade in campo assistenziale.

Secondo il report del World Economic Forum, in termini assoluti cresceranno ruoli “di prima linea” come lavoratori agricoli, addetti alle consegne, operai edili, addetti alle vendite e lavoratori della trasformazione alimentare. Si prevede un aumento nei prossimi cinque anni della richiesta per le professioni legate alla cura – come infermieri, assistenti sociali, consulenti e operatori dell’assistenza personale – e all’istruzione, come gli insegnanti della scuola secondaria e terziaria.

Si prevede che i ruoli legati alla tecnologia, tra cui specialisti di big data, ingegneri fintech, esperti di intelligenza artificiale e machine learning, e sviluppatori di software e applicazioni, avranno la crescita più rapida in termini percentuali, insieme alle professioni legate alla transizione green ed energetica – come specialisti di veicoli autonomi ed elettrici, ingegneri ambientali e ingegneri delle energie rinnovabili. Secondo i dati del Boston Consulting Group, l’AI migliorerà l’efficienza operativa nel settore energetico: servirà chi sarà in grado di sviluppare algoritmi.

Secondo PWC, negli ultimi anni il mondo del lavoro ha mostrato una recente richiesta di competenze legate all’IA: dallo 0,4% nel 2018 allo 0,9% nel 2024. Anche le offerte di lavoro che richiedono competenze nell’ambito sono aumentate, passando da 3mila nel 2018 a 30mila nel 2024 (ndr. vedi tabella sotto).

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In generale, le competenze relative all’integrazione dell’AI nel proprio lavoro saranno sempre più necessarie, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista più soft, come la capacità di capire per quali attività rivolgersi all’AI, analizzare in modo critico le informazioni ottenute da AI e trattare il ricorso ad essa in modo sempre etico.

Le professioni più richieste del futuro saranno quindi anche quelle basate sull’analisi dei dati e dei big data, come quelle di data scientist, analisti e ingegneri dei dati, chiamati non solo a revisionare le analisi che saranno sempre più automatizzabili, ma soprattutto a costruire modelli, renderli operativi e scalabili. In ambito strettamente AI, serviranno ingegneri specializzati e AI trainer (in grado di allenare i modelli linguistici), Eticisti dell’AI (che si occuperanno di valutare gli impatti morali, sociali e legali dell’IA, delineando delle linee guida etiche per il suo utilizzo responsabile).

Tra le figure ricercate ci saranno anche gli esperti di “digital twin” (cioè gemelli digitali, copie virtuali di oggetti fisici che in tempo reale mostrano lo stato dell’oggetto, permettono di fare test per migliorare il prodotto e prevedere guasti, risparmiando tempo e denaro), non solo in ambito manifatturiero, ma anche sanitario – un settore che sarà sempre più integrato con l’AI.

La cyber security è un settore di cui si prevede senza dubbio la crescita: saranno sempre più richiesti i Ciso (Chief Information Security Officer, cioè i responsabili della sicurezza informatica di un’azienda) e i Cio (Chief Information Officer, responsabile di tutta la tecnologia di un’azienda). In campo Finanziario, invece, saranno importanti i Cro (Chief risk officer, cioè i responsabili del rischio, che identificano, valutano, monitorano e riducono rischi interni ed esterni).

Il futuro della logistica prevede aziende sempre più vicine e con processi sempre più digitalizzati: gli esperti di “reshoring” (il processo per cui le aziende vengono riportate nel proprio Paese) e “nearshoring” (il processo per cui vengono avvicinate) in questo saranno fondamentali.

A registrare un maggior calo saranno probabilmente i lavoratori amministrativi e di segreteria (compresi quelli come cassieri, addetti alla biglietteria, assistenti amministrativi e segretari esecutivi) e quelli di addetti ai servizi postali, gli sportellisti bancari e gli operatori di inserimento dati.

Lauree e percorsi di studio per il mercato del lavoro oggi

Come detto, secondo i dati del WEF, dal 2025 al 2030 il mercato del lavoro aumenterà la richiesta di profili capaci di muoversi tra tecnologia, sostenibilità e competenze umane. Ma quindi, che cosa studiare? Le discipline informatiche e i percorsi legati all’intelligenza artificiale rimangono centrali, insieme a quelli di ingegneria, soprattutto energetica, ambientale e industriale, dove si formeranno figure in grado di progettare soluzioni sostenibili e strategiche per la transizione green. Anche facoltà di Economia, Statistica e Data Analytics avranno probabilmente sbocchi maggiori, vista la richiesta crescente di competenze quantitative e capacità di interpretazione dei dati, così come le discipline in ambito sanitario o legare all’educazione.

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In generale, il miglior investimento in chiave futura non sarà tanto la selezione di una materia specifica, quanto piuttosto la capacità di sviluppare competenze diversificate e trasversali, anche con percorsi ibridi. E spesso si tratterà di soft skill tipicamente umane, che le intelligenze artificiali possono provare a imitare, ma che, per il momento, non riusciranno mai a esercitare al pari dell’essere umano: il pensiero critico e un certo orientamento all’innovazione, l’empatia, la capacità di entrare in relazione e di comunicare con l’altro, la riflessività, le capacità di negoziazione e persuasione, la capacità di risolvere i problemi, la flessibilità. Tutte abilità che potranno essere applicate in settori tra loro molto diversi e che faranno la differenza nell’adattarsi ai cambiamenti e rispondere alle necessità che ancora non possiamo prevedere.

È difficile prevedere in maniera precisa come l’innovazione trasformerà il mondo del lavoro nei prossimi decenni, ma tutti quegli studenti curiosi e in grado di sviluppare competenze diverse e varie avrà più possibilità di trovare uno spazio e di rimodellarlo per rispondere a evoluzioni che, come in ogni periodo storico, saranno continue.

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