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Metalli sui fondali oceanici, dove si trovano e che cosa comporta estrarli?

La richiesta di metalli da impiegare nelle nuove tecnologie è in costante aumento. Per questo l'attenzione si sta concentrando sugli enormi giacimenti presenti sui fondali oceanici. Scopriamo quali metalli contengono, dove si trovano e perché sfruttarli può essere un problema.

21 Agosto 2023
17:50
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Metalli sui fondali oceanici, dove si trovano e che cosa comporta estrarli?
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I fondali degli oceani, a migliaia di metri di profondità, custodiscono un vero e proprio tesoro: enormi giacimenti di metalli, la cui quantità supera di molto quella presente sulle terre emerse. Questi depositi, contenenti ferro, rame, nichel, cobalto, manganese e molti altri metalli, assumono gli aspetti più diversi: “pepite” scure disseminate come patate in un campo, che prendono il nome di noduli polimetallici; incrostazioni che ricoprono i fianchi delle montagne sottomarine, chiamate croste di cobalto; strutture simili ai comignoli dei camini, costituite da solfuri polimetallici.

Negli ultimi anni queste risorse hanno attirato l’attenzione delle compagnie minerarie. Sulla terraferma, infatti, alcuni metalli cominciano a scarseggiare ed estrarli è sempre più costoso. Allo stesso tempo, è notevolmente aumentata la richiesta di metalli da impiegare nelle nuove tecnologie, comprese quelle che servono per la transizione energetica (un esempio sono le batterie delle auto elettriche). Le compagnie, quindi, hanno esplorato i fondali e sviluppato tecnologie in vista di un’eventuale estrazione (l’estrazione in acque profonde è chiamata deep sea mining). Anche se non si è ancora cominciato a estrarre i metalli, a giugno 2023 la Norvegia ha manifestato l'intenzione di aprire le proprie acque territoriali al deep sea mining. Queste attività, però, potrebbero avere conseguenze molto gravi sugli ecosistemi marini. Vediamo perché e come sono distribuiti i giacimenti sui fondali.

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La distribuzione dei giacimenti sui fondali. Credit: Heinrich–Böll–Stiftung, CC BY–SA 2.0, via Wikimedia Commons

I noduli polimetallici

I noduli polimetallici si trovano sulla piana abissale, la vastissima area pianeggiante ricoperta di sedimenti che costituisce i fondali oceanici, a una profondità compresa tra 3000 e 6000 m. I noduli si presentano come sfere più o meno schiacciate di diametro compreso in media tra 5 e 10 cm, simili a patate nere, che formano tappeti estesi migliaia di kilometri. Al loro interno custodiscono alte concentrazioni di metalli come nichel, cobalto, manganese, rame e ferro (oltre a tracce di terre rare, titanio, litio e molibdeno). Si sono formati nel corso di milioni di anni, per deposito dei metalli disciolti nell’acqua oceanica.

Ma come si spiega l’aspetto molto particolare di questi depositi? Perché si formino, serve un nucleo (per esempio un pezzo di conchiglia, un dente di squalo o un semplice frammento di roccia) intorno al quale i metalli possono formare strati concentrici che si accrescono molto lentamente: si parla di neanche un centimetro in un milione di anni!

I noduli polimetallici sono la più importante potenziale fonte di materie prime presente negli oceani. Sono stati scoperti durante la spedizione scientifica Challenger (1872-1876), ma solo a partire dagli anni Sessanta è stato riconosciuto il loro valore dal punto di vista commerciale.

Un’area particolarmente ricca di noduli è la Clarion-Clipperton Zone (CCZ), una porzione di fondale dell’oceano Pacifico estesa circa 9 milioni di km2, tra le Hawaii e le coste occidentali dell’America settentrionale: la densità dei noduli sarebbe addirittura pari a 15 kg/m2, per un totale di più di 20 miliardi di tonnellate.

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Studio del potenziale impatto dell’estrazione dei noduli sugli ecosistemi, presso la Clarion–Clipperton Zone. Credit: ROV–Team/GEOMAR, CC BY–SA 4.0, via Wikimedia Commons

Le croste di cobalto

La piana abissale che ospita i noduli polimetallici presenta rilievi isolati di origine vulcanica: si tratta di vere e proprie montagne sottomarine, alte da 1000 a 4000 m, chiamate seamounts. Si stima che negli oceani ci siano 33.000 seamounts, molti dei quali sono ricoperti da tappeti di croste di cobalto. Questi depositi si sono formati dai metalli presenti in soluzione nelle acque oceaniche, in modo simile ai noduli di manganese. Le croste non contengono solo cobalto ma anche nichel, ferro, manganese e terre rare (oltre a tracce di molibdeno, tellurio, zirconio e platino). La deposizione è lentissima: serve un milione di anni per farne aumentare lo spessore di 5 mm!

Le croste più spesse si trovano nella parte superiore dei seamounts, tra 1000 e 2500 m di profondità. L’area più ricca di questi depositi è il Pacifico occidentale, dove si trovano le montagne sottomarine più antiche, che si sono formate circa 150 milioni di anni fa.

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Croste di cobalto. Credit: JAMSTEC

I solfuri polimetallici

La piana abissale è attraversata dalle dorsali oceaniche, lunghe catene montuose sottomarine, lungo le quali si ha un’intensa attività vulcanica, con fuoriuscita di magma proveniente dal mantello terrestre. Lungo le dorsali, le acque oceaniche si infiltrano nelle fratture della crosta e vengono riscaldate dal magma. Durante il loro percorso sotterraneo si arricchiscono di elementi sottratti alle rocce circostanti. Poi risalgono e fuoriescono nuovamente sul fondale a una temperatura di circa 400 °C, incontrando l’acqua molto fredda delle profondità oceaniche. Questa brusca variazione di temperatura fa sì che i metalli in soluzione vengano depositati intorno alle fratture da cui sono fuoriusciti, originando nel tempo strutture alte anche 30 m. Sono i camini idrotermali, detti anche fumaioli neri (o black smokers), costituiti da solfuri polimetallici, ricchi di ferro, rame, manganese e zinco (oltre a tracce di oro, argento, germanio, indio, tellurio e bismuto). Questi giacimenti si trovano a profondità comprese tra 1000 e 4000 m.

I camini idrotermali furono scoperti nel 1979, nell’oceano Pacifico, dal sottomarino da ricerca americano Alvin. Rispetto ai noduli polimetallici e alle croste di cobalto, sono considerati una potenziale fonte di metalli di importanza secondaria.

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Fumaioli neri lungo la dorsale medio–atlantica. Credit: MARUM, CC BY–SA 4.0, via Wikimedia Commons

I problemi legati all’estrazione sui fondali

Le aree dei fondali oceanici in cui abbondano i giacimenti minerari ospitano anche un’enorme varietà di organismi, in grado di vivere in condizioni estreme, con temperature molto basse, pressioni molto elevate e in assenza di luce. Recentemente, per esempio, è stato realizzato un censimento delle specie viventi nella Clarion-Clipperton Zone, che comprende oltre 5000 specie animali finora completamente sconosciute.

Le tecniche che verrebbero utilizzate per estrarre i minerali interferirebbero inevitabilmente con questi habitat. Si tratterebbe, per esempio, di “rastrellare” i fondali (tramite robot controllati a distanza) per prelevare i noduli polimetallici e di aspirarli attraverso tubi fino alle navi in superficie. Ciò vorrebbe dire produrre vibrazioni e nubi di sedimenti nocive (o addirittura mortali) per gli organismi, rimuovere il substrato che li ospita e liberare metalli tossici che attraverso la catena alimentare potrebbero arrivare anche fino all’uomo.

Attualmente si cerca di migliorare le tecnologie a disposizione in modo che abbiano effetti meno distruttivi. Tuttavia, ciò significa aumentare ulteriormente i costi (già molto alti) e non avere la garanzia di ottenere i risultati sperati.

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