
“Elementare, Watson!” è una citazione letteraria attribuita a Sherlock Holmes, il celebre detective ideato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle e apparso per la prima volta nel 1887, passata alla storia e all’uso comune per definire un fatto che in fondo ci si aspetta e non stupisce. Eppure, si tratta di un falso letterario. Come evidenzia anche la Treccani, Conan Doyle non ha mai scritto queste parole. Pur essendo un’espressione perfetta per il personaggio di Sherlock, che spesso si rivolge al dottor John Watson, ex ufficiale dell'esercito britannico e suo braccio destro nonché coinquilino al 221B di Baker Street a Londra, con ironia e con una certa supponenza, non c’è un solo dialogo in cui si trovi questa citazione.
L'origine dell'iconico “Elementare, Watson!”
Sia Sherlock Holmes che Watson utilizzano in diversi casi la parola “elementare” nei romanzi e racconti di Conan Doyle per intendere che una deduzione è ovvia, ma non troviamo mai l’espressione così come la conosciamo come modo di dire. La frase in realtà origina da un’opera vera, ma non dai racconti originali di Conan Doyle: pare, infatti, che la prima volta in assoluto in cui “Elementare, Watson!” compare sia nel romanzo Psmith, Journalist scritto da P.G.Wodehouse nel 1909. Il protagonista Psmith pronuncia la frase come riferimento diretto a Sherlock Holmes, e l’espressione piace così tanto che viene ripresa nei successivi adattamenti teatrali e cinematografici, per poi passare alla storia. Il ritorno di Sherlock Holmes, film del 1929 di Basil Dean, è la prima trasposizione cinematografiche delle avventure del detective di Baker Street, e qui avviene lo scambio di battute:
Cosa dice davvero Sherlock Holmes a Watson nei romanzi e nei racconti
Facendo una ricerca testuale sull’edizione Mondadori Tutti i romanzi e tutti i racconti di Sherlock Holmes (2018, diversi traduttori), utilizzando il termine “elementare” compare in una serie di battute tra il detective e il suo collaboratore, per la precisione per un totale di 8 volte. In nessuna di queste occasioni Sherlock si rivolge al suo collaboratore con la frase “Elementare, Watson!”, ma più volte si rivolge all’amico esprimendo questo concetto, di cui il parlare comune si è appropriato, comunque a ragion veduta, perché perfettamente plausibile nel parlare del nostro Sherlock.
Da Il segno dei quattro – Arthur Conan Doyle (1890):
«La cosa è di una semplicità elementare» replicò Holmes, ridacchiando del mio stupore. «È così ridicolmente semplice che ogni spiegazione è superflua, tuttavia potrà servire a definire i limiti tra osservazione e deduzione (…)»
«Uff, amico mio, è talmente elementare! Ma non voglio che lei mi giudichi un istrione. Le spiegherò e lei vedrà che si tratta di una cosa chiara ed evidente come la luce del sole (…)»
Da Il mastino dei Baskerville – Arthur Conan Doyle (1901):
«Interessante, anche se elementare»
Da Un caso di identità – Arthur Conan Doyle (1891):
«Tutto questo è divertente, ma abbastanza elementare, e io, caro Watson, devo mettermi al lavoro»
Da L'uomo deforme, Le memorie di Sherlock Holmes – Arthur Conan Doyle (1893):
«Magnifico!» esclamai.
«Elementare» mi rispose. «È uno di quegli esempi in cui il ragionatore può ottenere un effetto che sembra straordinario all’ascoltatore, poiché a quest’ultimo è sfuggito il piccolo particolare che costituisce la base di ogni buona deduzione (…)»
Da Il segreto degli occhiali a Pince-Nez – Arthur Conan Doyle (1904):
«Vi garantisco che le mie deduzioni sono di una semplicità elementare» disse.
da IL SEGRETO DEGLI OCCHIALI A PINCE-NEZ
Da La scomparsa di lady Frances Carfax – Arthur Conan Doyle (1911):
«Il filo del ragionamento non è infatti molto oscuro, Watson» disse Holmes strizzandomi l’occhio con aria maliziosa. «Appartiene alla stessa classe di deduzione elementare che illustrerei se le chiedessi chi ha condiviso con lei la vettura nella sua scarrozzata di stamattina»
Da L'avventura del soldato dal volto terreo, narrato in prima persona da Sherlock Holmes – Arthur Conan Doyle:
«Questo era dunque il problema che il mio visitatore mi sottoponeva. Presentava, come l’astuto lettore avrà già notato, poche difficoltà di soluzione, poiché per giungere al nocciolo del mistero c’era una serie di alternative molto limitata. Tuttavia, per quanto elementare, offriva alcuni spunti nuovi e interessanti che potranno forse giustificare il fatto di comprenderlo in questa raccolta. Procedetti quindi, seguendo il metodo di deduzione logica che mi è familiare, a restringere quanto più mi fosse possibile il campo delle eventuali soluzioni»
Chi è John Watson, collaboratore e coinquilino di Sherlock Holmes
La figura del dottor John Watson – io narrante della maggior parte delle vicende di Sherlock Holmes – appare per la prima volta in Uno studio in rosso (1887), primo romanzo di Conan Doyle dedicato alle avventure del detective londinese. In quest'opera Watson racconta che è appena rientrato a Londra e sta cercando casa ma gli elevati prezzi dell’affitto lo portano a cercare un coinquilino, ed è così che si trasferisce al 221B di Baker Street insieme al bizzarro Sherlock Holmes.
I due si incontrano grazie a Stamford, un infermiere che aveva lavorato con Watson e che sa che entrambi cercano un coinquilino: il giovane Stamford, quindi, parla al dottor Watson di «un tale che lavora al laboratorio analisi chimiche dell’ospedale». Ed è proprio lui che, per la prima volta, pronuncia il nome di Sherlock Holmes.
E così iniziano i 10 anni di collaborazione, sodalizio e profonda amicizia che legano Sherlock al lealissimo Watson, le cui conoscenze mediche saranno spesso fondamentali per risolvere i casi. John Watson, presumibilmente, continua ad esercitare la professione di medico, si sposa con Mary Morstan – che conosce durante le vicende raccontate in Il segno dei quattro – lascia la casa di Baker Street, ma quando rimane vedovo tornerà poi ad abitare con Sherlock. Definito dalla critica come l’alter ego dell’autore, anch’esso medico, Watson è senza dubbio un braccio destro indimenticabile.