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28 Giugno 2025
7:00

Perché la chiusura dello Stretto di Hormuz da parte dell’Iran potrebbe danneggiare l’economia globale

La tregua proclamata tra Iran e Israele il 24 giugno allontana per il momento il rischio che Teheran chiuda lo Stretto come ritorsione. Resta alta la tensione però: una chiusura dello Stretto di Hormuz impatterebbe sui prezzi del petrolio importato (il 20% del petrolio mondiale passa di lì) da cui dipendono l'Europa e le economie asiatiche.

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Perché la chiusura dello Stretto di Hormuz da parte dell’Iran potrebbe danneggiare l’economia globale
petrolio niger

Dopo 12 giorni di guerra aperta tra Iran e Israele, il bombardamento statunitense di domenica 22 giugno dei 3 siti del programma nucleare iraniano di Fordo, Natanz e Isfahan sembra aver accelerato un accordo per il cessate il fuoco. Da martedì 24 giugno è infatti in vigore una fragile tregua tra Tel Aviv e Teheran. Mentre i servizi di intelligence israeliano e statunitense e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica cercano di capire l'entità dei danni subiti dal programma nucleare dell'Iran, i mercati internazionali hanno già tirato un sospiro di sollievo. Almeno per il momento, infatti, sembra allontanarsi la minacciata possibilità che Teheran chiuda lo Stretto di Hormuz (controllato appunto dall'Iran) come ritorsione per gli attacchi israeliani cominciati nella notte del 13 giugno. Un'eventuale chiusura dello Stretto di Hormuz impatterebbe sui prezzi del petrolio importato (il 20% del petrolio mondiale passa di lì) da cui dipendono l'Europa e le economie asiatiche.

Cos’è lo stretto di Hormuz e a cosa serve questo snodo strategico

Lo Stretto di Hormuz, situato tra l’Oman e l’Iran, collega il Golfo Persico al Golfo di Oman. Nel suo punto di minore larghezza, la costa dei due Paesi è separata da un tratto di mare di appena 34 chilometri. Tutta la costa nord del Golfo Persico appartiene all'Iran, mentre dall'altra sponda si trovano Paesi come Kuwait, Arabia Saudita, Bahrain, Qatar e Oman. Da questa strettoia transitano passano ogni giorno circa 20 milioni di barili, ossia un quinto dell’offerta mondiale di petrolio (specialmente quello di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Iraq e Iran), e più di un decimo del gas nella sua forma liquida, congelato e poi imbarcato nei porti di Qatar, Arabia Saudita e Iran. Visto il passaggio di centinaia di navi ogni giorno, lo Stretto di Hormuz è organizzato in corsie di navigazione regolate da uno Schema di Separazione del Traffico per evitare collisioni tra le imbarcazioni. Ogni corsia, una in ingresso e una in uscita dallo Stretto, è larga 3 chilometri.

stretto di Hormuz
Lo stretto di Hormuz

Cosa comporterebbe la chiusura dello stretto di Hormuz per l’Europa

Una possibile chiusura dello Stretto, anche parziale, avrebbe immediate ripercussioni sul prezzo del petrolio nei mercati finanziari. Alcuni analisti hanno calcolato che una eventuale ritorsione iraniana avrebbe causato un aumento del prezzo di 20 dollari a barile nell'arco di poche settimane, arrivando a un prezzo di 100 dollari al barile entro la fine del 2025 (oggi, 25 giugno, il prezzo oscilla intorno ai 70 dollari). Questo scenario non spaventa soltanto l'Europa, che dopo l'inizio della guerra in Ucraina ha cercato di affrancarsi dalla sua storica dipendenza energetica verso la Russia proprio scegliendo come nuovi fornitori i Paesi del Golfo (al momento l'Unione europea acquista circa 400.000 barili al giorno che passano per la rotta di Hormuz).

La preoccupazione delle economie asiatiche

Un enorme contraccolpo arriverebbe soprattutto per le economie in fortissima accelerazione dei Paesi asiatici, che sono le più dipendenti dal petrolio importato dagli Stati del Golfo. Per esempio, l'India nei primi tre mesi del 2025 ha importato ogni giorno attraverso lo Stretto 2,1 milioni di barili, mentre la Corea del Sud 1,7 milioni. In particolare, un blocco o una limitazione delle esportazioni avrebbe conseguenze molto serie per la Cina, che acquista il 90% dell’export di greggio iraniano sotto sanzioni e da diversi mesi combatte con una crescita del Pil al di sotto delle aspettative del Partito comunista cinese. Secondo le stime, nei primi tre mesi del 2025 Beijing ha acquistato dall'Iran quasi 5 milioni e mezzo di barili al giorno, ossia un quarto del totale che passa quotidianamente per lo Stretto. Anche per questo, alcuni analisti sono scettici sul fatto che l'Iran sarebbe davvero disposto a bloccare il traffico nel Golfo Persico, dato che questa misura danneggerebbe uno dei pochi settori redditizi della sua economia. Un colpo che il Paese in crisi di liquidità da anni non può realisticamente permettersi. Come ha dichiarato in una recente intervista Matteo Villa, analista senior e direttore DataLab di Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), questa sarebbe una decisione «suicida» perché «chiudere Hormuz vorrebbe dire esporre anche se stessi alla chiusura, che sarebbe devastante per un Paese come l'Iran che dipende dall'esportazione di questa materia all'estero. Ma vorrebbe anche dire provocare un fortissima recessione nel mondo colpendo a caso. In questo modo, infatti, non si colpirebbero solo gli Stati Uniti ma anche e soprattutto gli attuali importatori di petrolio forti che ci sono nel mondo, tra cui la Cina e l'Europa».

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