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I Paesi europei possono vantare, sulla carta, il possesso di un imponente complesso militar-industriale che, seppur notevolmente ridimensionato rispetto al periodo della Guerra Fredda, comprende ancora colossi di primo piano a livello mondiale nell'industria bellica che sono riusciti a ritagliarsi importanti quote nel mercato degli armamenti. Tuttavia, la realtà è che, quanto meno nel breve e medio periodo, le industrie della difesa europee non saranno in grado di affrancare completamente le forze armate dei nostri paesi dagli armamenti “made in USA” e l'Europa sarà obbligata ad adottare scelte di compromesso. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha recentemente presentato il piano di riarmo europeo, ora denominato Readiness 2030, sottolineando la necessità di una maggiore preparazione dell'Unione Europea di fronte alle crescenti sfide globali. Il contesto di questa iniziativa è segnato dalla guerra in Ucraina, dall'aggressività della Russia di Putin e dalle tensioni commerciali tra Europa e Stati Uniti, in particolare i dazi imposti da Trump.
Quali sono le grandi industrie che producono armi in Europa
Attualmente non esiste un vero e proprio piano organico di riarmo europeo, anche se da più parti si è parlato della necessità che i paesi dell'Unione Europea spendano entro il 2030 una somma pari a 800 miliardi di euro allo scopo di riformare e riequipaggiare completamente le proprie forze militari, con l'obiettivo primario di implementare una politica di deterrenza nei confronti della Russia, a seguito dello scoppio della Guerra Russo-Ucraina. Anche se, al momento, siamo ancora agli inizi di questo progetto, l'attenzione pubblica in Italia si sta già focalizzando sulle azioni dei grandi gruppi europei nel settore della difesa, per capire se riusciranno a soddisfare le aspettative.
Tradizionalmente, i paesi europei sono sempre stati dei grandi produttori di armamenti, sia nel corso della Guerra Fredda che nei decenni successivi al 1991. Con la fine della guerra fredda che ha segnato la fine della competizione tra Russia e USA, anche l'Occidente allargato (Stati Uniti, Canada, Europa occidentale, ma anche Australia, Giappone, Corea del Sud) ha dovuto rivedere le proprie priorità. Ciò ha portato a una riduzione dei bilanci per la difesa e al ridimensionamento del settore militare-industriale europeo, con la chiusura di alcune linee di produzione e la fusione di aziende un tempo indipendenti e fondamentali.
Nonostante tutto, il continente europeo è ancora oggi la sede di diversi colossi della produzione militare come la britannica BAE Systems, la francese Thales Group, la tedesca Rheinmetall, la spagnola Navantia, l'italiana Leonardo S.p.A. e la joint venture KNDS, nata dall'alleanza della tedesca Krauss-Maffei Wegmann e della francese Nexter Defense Systems. Se il progetto Readiness 2030 (prima ReArm Europe) dovesse avere il via libera, quindi il peso principale dello sforzo industriale ricadrebbe sulle spalle di questi attori già ampiamente rodati.
L'Europa è parzialmente dipendente dalle armi americane
E' necessario però ricordare che il fatto che nel nostro continente siano presenti delle grandi industrie belliche non significa automaticamente che l'Europa sia completamente indipendente – dal punto di vista della produzione militare – dalle sue relazioni strategiche esterne. Oltre 70 anni di adesione alla NATO hanno fatto sì che il settore militare-industriale europeo si integrasse con quello americano, diventandone parzialmente dipendente. I paesi europei hanno acquistato sempre più armamenti americani, e le forze armate europee hanno sviluppato capacità complementari. Se private improvvisamente del supporto americano, le strutture sarebbero quindi incomplete o insufficienti in settori chiave.

Allo stesso modo, le industrie della difesa europea, sono state coinvolte nei programmi militari di Washington, finendo per produrre su licenza sistemi d'armamento di origine americana, o sviluppando prodotti che per essere operativi necessitano della fornitura di componentistica critica “made in USA”. Un esempio è il caccia multiruolo svedese Saab JAS 39 Gripen, che vola grazie alla presenza di un propulsore Volvo Reaktionsmotor 12 (RM12), una versione svedese dell'americano General Electric F404. Discorso ancora più delicato è quello relativo al velivolo da combattimento Lockheed Martin F-35 Lightning II, sbocco finale del pluridecennale progetto Joint Strike Fighter (JSF).
L'F-35 è un aereo costoso e molto discusso: è la base su cui molte forze aeree europee stanno riorganizzando le loro strutture e dottrine, ma per funzionare al meglio necessita di aggiornamenti continui del software, i cui codici sono custoditi dalla statunitense Lockheed Martin. L'F-35 (nella versione F-35B) è anche l'unico velivolo STOVL – decollo corto e atterraggio verticale – in produzione al mondo. Quando gli aerei britannici Harrier saranno ritirati nei prossimi anni, le marine europee con portaerei di piccole dimensioni o senza catapulte non avranno scelta se non di acquistarlo per mantenere operativa la loro componente aerea.

Una soluzione non facile
Ci troviamo quindi di fronte ad un problema di non facile soluzione. Da un lato, i paesi europei si trovano alla vigilia dell'approvazione del più importante programma di riarmo degli ultimi decenni, spinto anche da una serie di minacce concrete alla loro sicurezza geopolitica ma, dall'altro, fanno affidamento su un complesso militare-industriale che non ha più le caratteristiche di “semi-autarchia” del periodo della Guerra Fredda.
Inoltre, numerosi programmi militari sono stati sviluppati nel corso del tempo in connubio con un partner fondamentale come gli Stati Uniti d'America che nell'ultimo periodo sta mostrando vistosi segni di insofferenza e di scarsa affidabilità nei confronti dei tradizionali partner euroatlantici. Se anche gli europei decidessero di affrancarsi dai prodotti e dalla tecnologia americana e volessero aggiustare le politiche industriali comuni in tal senso (anche optando per stanziamenti superiori a quello previsto nell'ambito del programma ReArm Europe) occorrerebbero molti anni per ottenere i risultati auspicati, andando ben oltre l'orizzonte temporale del 2030.
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