
L'attenzione mediatica in questi giorni è concentrata sulle presunte incursioni dello spazio aereo della NATO (dalla Polonia fino ai Paesi Baltici) da parte di droni non autorizzati: la scorsa notte lo scalo danese di Aalborg è stato chiuso nuovamente dopo l'avvistamento di droni sospetti, anche se dalle autorità non è ancora arrivata alcuna conferma sulla loro sovranità.
In uno scenario come quello attuale, dove spesso si sente parlare impropriamente di “Terza Guerra Mondiale”, cerchiamo di capire un po' meglio che cos'è lo spazio aereo di un Paese e che cosa può comportare la sua violazione. La Convenzione di Chicago del 1944 stabilisce che ogni Stato ha la sovranità piena ed esclusiva sullo spazio aereo al di sopra del suo territorio (che comprende la terraferma e le acque territoriali, che si estendono fino a 12 miglia marine dalla costa). In verticale, però, le cose sono più complicate, perché non esiste nessun accordo internazionale che specifichi il limite: per convenzione, si adotta la linea immaginaria di Kármán (100 km da terra), per distinguere lo spazio aereo da quello extra-atmosferico.
In ogni caso, la violazione dello spazio aereo di uno Stato implica la violazione dei suoi confini: nel caso della NATO esiste una missione condivisa di Air Policing per monitorare e intervenire immediatamente nel caso di sconfinamenti.
Come si calcola lo spazio aereo di uno Stato: la mappa dell'Italia
Come accennato, uno Stato esercita la propria sovranità (e quindi il proprio controllo) all’interno del suo territorio. Quest’ultimo comprende terra, acque territoriali (fino a 12 miglia marine dalle coste) e anche cielo, con lo spazio aereo che è di fatto una parte dello Stato. Il problema è che, se da un punto di vista terreste, è relativamente semplice tracciare dei confini (anche grazie alla presenza di frontiere fisiche o elementi naturali come fiumi o catene montuose), nel caso dello spazio aereo questo compito non è altrettanto facile, tanto che questi confini possono essere spesso definiti come “invisibili”.
Nella pratica la Convenzione di Chicago prevede che, da un punto di vista orizzontale, lo spazio aereo di uno Stato comprende “le regioni terrestri e le acque territoriali adiacenti” fino a 12 miglia marine, come si può vedere qui sotto con la mappa dell'Italia.

Ma se da un punto di vista orizzontale la delineazione è piuttosto semplice (tutta la terraferma più le 12 miglia marine dalle coste), da un punto di vista verticale la distinzione diventa più complessa, dato che la Convenzione di Chicago non stabilisce nulla di specifico. Per convenzione, si prende come riferimento la linea di Kármán, ossia il confine immaginario che segna il limite tra l'atmosfera terrestre e lo spazio esterno, situata a circa 100 chilometri sopra il livello del mare: questo confine, infatti, segna l'inizio dello spazio extra-atmosferico, che è considerato res communis omnium sulla base del Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967. Per capirci, oltre l'atmosfera nessuno Stato può esercitare in maniera esclusiva la propria sovranità, esattamente come avviene nel caso delle acque internazionali.
Il problema, però, è che la divisione stabilita dalla linea di Kármán non è riconosciuta né dalla Convenzione di Chicago né dal Trattato sullo spazio extra-atmosferico e, di conseguenza, non ha un valore vincolante (e quindi obbligatorio) per gli Stati.
Cosa succede se viene intercettato un velivolo non autorizzato nello spazio aereo della NATO
Insomma, pur essendo delineato da confini “invisibili”, lo spazio aereo rimane comunque un territorio dello Stato e, in quanto tale, è inviolabile. Proprio per questo, da un punto di vista legale, entrare nello spazio aereo di un altro Stato senza la sua autorizzazione implica un'invasione dei suoi confini e, di conseguenza, violazione del diritto internazionale.
Nella pratica, quando un velivolo non autorizzato viene intercettato nello spazio aereo, esistono delle procedure standard stabilite dalla stessa ICAO, l'Organizzazione Internazionale dell'Aviazione Civile che è stata creata con l'entrata in vigore della Convenzione di Chicago.
Nello specifico, dopo essere stato intercettato, il velivolo è innanzitutto obbligato a rispondere ai segnali visivi e radio: in caso di mancata risposta, scatta immediatamente l'affiancamento di un aereo per cercare di capire meglio la dinamica dei fatti: potrebbe infatti trattarsi di un attacco terroristico, ma anche di un velivolo che non è più in grado di comunicare a causa di un malfunzionamento tecnico.
A quel punto, il velivolo intruso potrà essere scortato a terra, costretto a un atterraggio obbligato oppure accompagnato forzatamente al di fuori di quello spazio aereo, per poi essere sanzionato per violazione dei confini di uno Stato.
Nel caso della NATO, trattandosi di un'alleanza militare (di cui fa parte anche l'Italia), i controlli sono ancora più rafforzati: per i Paesi dell'Alleanza Atlantica, infatti, è in vigore il sistema di Air Policing, una missione permanente di controllo (svolto collettivamente) che comporta la presenza continua – 24 ore al giorno, 365 giorni all'anno – di aerei da combattimento ed equipaggi, pronti a reagire immediatamente nel caso di possibili violazioni dello spazio aereo.
La Air Policing si svolge utilizzando il sistema di difesa aerea e missilistico integrato della NATO (NIAMDS) ed è supervisionata dal Comando Aereo Alleato (AIRCOM) grazie a due centri operativi aerei: uno a Torrejón, in Spagna, che copre lo spazio aereo a sud delle Alpi, e uno a Uedem, in Germania che copre il nord.
La missione di Polizia Aerea della NATO è attiva fin dagli anni '50, ma è stata integrata nel 2004 con una missione dedicata ai Paesi Baltici (Baltic Air Policing), sotto il controllo dell'Italia fino al termine del 2025.