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12 Dicembre 2025
7:00

La storia della strage di Piazza Fontana: perché cambiò l’Italia

L’attentato terroristico di 56 anni a Piazza Fontana, a Milano, fa rischiò di determinare una curvatura della storia italiana. Fu all’origine di una stagione difficile per la democrazia.

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La storia della strage di Piazza Fontana: perché cambiò l’Italia
Piazza Fontana Wikipedia Commons
La Banca Nazionale dell’Agricoltura dopo l’esplosione (via Wikimedia Commons).

L'attentato terroristico noto come “strage di Piazza Fontana” vide la detonazione di una bomba nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, che il 12 dicembre 1969 provocò in tutto 17 vittime e 88 feriti. Fu una strage indiscriminata a danno di civili inermi non rivendicata e senza precedenti nel secondo dopoguerra italiano. In concomitanza con l’attentato, un’altra bomba venne rinvenuta inesplosa in piazza della Scala e tre ordigni esplosero a Roma ferendo 16 persone. L’eccidio di Milano, quasi fosse un atto di guerra in tempo di pace, rischiò di innescare un processo di rottura dell’ordine democratico.

Per capire cosa accadde a piazza Fontana si sono svolti tre processi in un arco temporale di 36 anni. L’ultima risultanza processuale in grado di delineare meglio i contorni della vicenda, pur senza comminare pene sotto il profilo giuridico, è stata fornita dalla Corte di Cassazione nel 2005.

Per dar conto del tortuoso iter giudiziario, la saggista Benedetta Tobagi ha scritto un libro dal titolo indicativo: Piazza Fontana. Il processo impossibile.

La strage di Piazza fontana: la storia

Il colore politico a cui attribuire la strage, sulla base dei riscontri disponibili, non è un mistero: è il nero. Le principali responsabilità dell’attentato, nonostante diverse assoluzioni definitive, sono state ricondotte a un ristretto gruppo di carattere eversivo costituito in Veneto negli anni Sessanta e attivo nell’ambito della più estesa galassia neofascista extraparlamentare.

Anche sul piano della memoria collettiva si è poi cercato di fornire delle coordinate di riferimento. Ad esempio pochi giorni prima del cinquantesimo anniversario, nel 2019, sono state posizionate sulla pavimentazione di piazza Fontana diciassette formelle con i nomi delle vittime e una pietra commemorativa con lo stemma del Comune di Milano e queste parole: “12 dicembre 1969. Strage di piazza Fontana, 17 vittime. Ordigno collocato dal gruppo terroristico di estrema destra Ordine Nuovo”.

Non si è comunque arrivati a una ricostruzione del tutto esaustiva dal punto di vista strettamente giudiziario, anche per la mancanza, negli anni, di prove documentali circostanziate. C’è del resto un fattore da considerare: già a ridosso della strage e poi più avanti, esponenti delle strutture dello Stato, in particolare degli apparati di sicurezza, si mossero per sottrarre informazioni e interferire con le indagini, tentando così di frammentare il quadro complessivo.

In prospettiva storica, però, la somma delle conoscenze maturate nel corso dei decenni ha prodotto risultati solidi, inserendo Piazza Fontana al centro della strategia della tensione.

Funerali strage piazza Fontana
Funerali in piazza Duomo per la stage. Milano, 15 dicembre 1969. Photo credits: Wikimedia Commons.

Il contesto della strage

La strage di Piazza Fontana maturò in una cornice storica precisa, a poco più di vent'anni dalla Liberazione. L’Italia aveva vissuto grandi trasformazioni con lo sviluppo industriale, era un membro della NATO inserito nel blocco occidentale a guida statunitense e tra i paesi fondatori della Comunità economica europea (CEE). Si trovava però, durante la Guerra fredda, vicino a una delle frontiere più calde del continente, l’Europa orientale, ed era circondata da tre regimi di stampo autoritario (quello franchista in Spagna, quello salazarista in Portogallo e quello dei colonnelli in Grecia).

Era anche solcata da profonde linee di frattura  e aveva partiti, movimenti e associazioni che, richiamandosi al socialismo o al comunismo, rappresentavano ampie fasce della popolazione. Il Partito comunista italiano (PCI) era guardato con sospetto a causa dei legami con l’Unione Sovietica.

Alla fine degli anni Sessanta il conflitto sociale e sindacale era intenso, con contestazioni e scioperi frequenti. Una parte minoritaria ma non marginale della classe dirigente (politica, economica, culturale) temeva che l’Italia potesse svincolarsi dall’Alleanza atlantica e favorire l’Urss. Dietro i processi di modernizzazione si intraveda lo spettro della sovversione. E lo spazio d’azione degli estremisti neri si era già ampliato, anche a causa di contatti tra militari e civili portati avanti per interesse o per convergenza ideologica, in funzione anticomunista.

Per tutto il 1969 si registrarono decine di attentati dinamitardi, senza morti né rivendicazioni. Con la strage di piazza Fontana, poi, si configurò la strategia della tensione: un serie di atti e iniziative che, orientando l’opinione pubblica e criminalizzando il dissenso, avrebbero dovuto suscitare allarme e agevolare una stabilizzazione politica moderata o addirittura un transizione verso un nuovo assetto costituzionale.

Non ci fu una regia unica, ma l’attivazione di una pluralità di disegni. Chi agì lo fece con motivazioni diverse, in momenti differenti e su livelli non coincidenti, ma con un almeno obiettivo condiviso: deviare la traiettoria della democrazia italiana.

Sciopero dell'autunno caldo
Proteste operaie alla fine degli anni Sessanta. Photo credits: Wikimedia Commons.

In mezzo a tutto questo, si ebbe l’avanzata dell’estrema destra extraparlamentare. Cioè quell’eterogenea area politica che non aveva una rappresentanza in parlamento (anche perché spesso non ne riconosceva la legittimità) e si collocava a destra rispetto al Movimento sociale italiano (MSI), la formazione d’ispirazione neofascista presente nelle istituzioni parlamentari e costituita nel 1946 da reduci della Repubblica sociale italiana (RSI).

I soggetti politici dell’estrema destra extraparlamentare traevano forza dall’eredità fascista sopravvissuta al Ventennio, non costituivano un’unica entità e avevano una consistenza piuttosto considerevole. Erano poi accomunati, in termini minimi, dal rifiuto della democrazia costituzionale e dall’ostilità alle sinistre. Una delle ragioni dell’intensificarsi dell’uso politico della violenza nell’Italia repubblicana dipese proprio dalla radicalizzazione di alcune componenti dell’estrema destra extraparlamentare.

Per lo storico Guido Crainz, si ebbe allora l’offensiva neofascista “più seria mai tentata nell’Italia repubblicana”. La violenza nera imperversò nelle strade, nelle piazze, nelle università. Nel frattempo si susseguirono progetti che non escludevano o mettevano in conto l’utilizzo della violenza come mezzo di lotta politica. Ci furono manovre di segno reazionario, tentati colpi di Stato e una sequela di stragi, come quella di Brescia nel 1974.

Strage di piazza della Loggia
Soccorsi dopo la Strage di piazza della Loggia. Brescia, 28 maggio 1974. Photo credits: Wikimedia Commons.

La bomba di Piazza Fontana diede dunque il via a un quinquennio nero (1969-1974) che fece dell’Italia un caso unico nel contesto occidentale e venne superato a un prezzo molto alto.

Cosa ha lasciato Piazza Fontana

Alcuni avvenimenti relativi alla strage del 1969 sono ancora oggi discussi: come l’ombra dei depistaggi dei servizi segreti, l’inaspettata e inquietante morte del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli nei locali della questura di Milano, le accuse nei confronti dell’anarchico Pietro Valpreda, prima arrestato e additato come colpevole e poi liberato e assolto. Come scrisse la rivista L’Astrolabio, sembrò esserci, a caldo, una “voglia di repressione indiscriminata, o, meglio, di repressione del cosiddetto estremismo di sinistra”.

Soltanto più tardi si aprì la pista nera, rivelando una rete di connessioni che all’inizio non fu facile interpretare. Per questo lo squarcio aperto dalla bomba di Piazza Fontana rimase ben visibile, anche quando a metà degli anni Settanta l’estremismo di destra venne ridimensionato, ci fu una forte mobilitazione antifascista e un’evoluzione dello scenario nazionale e internazionale.

Piazza Fontana ebbe un effetto diretto anche sulla sinistra extraparlamentare, diffondendo una percezione negativa dello Stato e alimentando la convinzione che la democrazia avesse in realtà un volto oscuro e autoritario. Inoltre, anche chi era già passato o aveva intenzione di passare alla lotta armata ne fu influenzato. La fase dello stragismo avviata con Piazza Fontana non spiega, da sola, il successivo fenomeno della lotta armata di estrema sinistra. Tuttavia, ne costituì un antecedente e insieme un acceleratore.

Estrema sinistra_anni di piombo
La radicalizzazione degli scontri di piazza. Milano, 14 maggio 1977. Photo credits: Wikimedia Commons.

Nel decennale dell’attentato, nel 1979, il sindaco di Milano, Carlo Tognoli, scrisse sul quotidiano l’Avanti che la bomba, gli eventi correlati alla strage e la lentezza della giustizia erano stati all’origine della “spirale del terrore”.

Qualche mese prima un riferimento a Piazza Fontana era stato inserito dal cantautore Francesco De Gregori in Viva l’Italia, un brano vibrante capace di evocare un paese fatto di contrasti, sofferenze e speranze. Che si concludeva così: “Viva l’Italia, l’Italia del 12 dicembre, / l’Italia con le bandiere, l’Italia nuda come sempre, / l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste, / viva l’Italia, l’Italia che resiste”.

La strage fu uno dei simboli di un periodo della storia nazionale caratterizzato da proteste, proposte, partecipazione e riforme ma anche da gravi traumi collettivi. Larga parte dell’opinione pubblica dovette riflettere a fondo sul rapporto tra democrazia, verità e potere. Lo scrittore Corrado Stajano, cronista in quegli anni, ha poi osservato: “Piazza Fontana e quel che ne seguì fu un evento che fece da cesura alla vita di tutta una generazione. Ci fu un primo e un dopo”.

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