
L’idrogeno viene indicato da molti come la fonte di energia del futuro, dato che la sua combustione è tra le meno inquinanti al mondo. Quando brucia a contatto con l’ossigeno, infatti, emette energia e acqua. Acqua e non CO2, come nel caso dei combustibili fossili, cosa che lo rende un vettore energetico molto meno impattante.
Dove si trova l’idrogeno?
Ma la prima cosa da chiarire quando si parla di idrogeno è: non lo si trova facilmente. In teoria sarebbe l’elemento più presente nell’universo, ma in pratica sulla Terra non si trova mai nella sua forma semplice. Lo troviamo infatti sempre legato ad altri elementi, come ad esempio all’ossigeno per formare acqua o al carbonio per formare idrocarburi. Per ottenerlo quindi va separato, e questa cosa avviene tramite dei processi che a loro volta richiedono energia e quindi un costo da pagare. Il più famoso tra questi processi è l'elettrolisi dell'acqua, che consiste nel rompere le molecole d'acqua tramite corrente elettrica.
Come si produce l’idrogeno verde e la differenza con le altre tipologie
Come produciamo l’idrogeno – e a che prezzo – è quindi un primo fattore fondamentale. Se l’energia elettrica per produrlo proviene da fonti rinnovabili, avremo il cosiddetto “idrogeno verde”. Si parla invece di “idrogeno grigio” se proviene da fonti energetiche fossili e di “idrogeno blu” se alla fine del processo aggiungiamo l’operazione di cattura e sequestro dell’anidride carbonica. Finita qui? Non proprio, perché quel poco idrogeno puro presente in natura, nelle profondità del sottosuolo, è possibile estrarlo. In questo caso si parla di idrogeno bianco, ma la ricerca scientifica sta ancora lavorando per comprenderne meglio le caratteristiche, l’ubicazione, le quantità e in generale i costi per l’estrazione.
A che punto sono i progetti sull’idrogeno in Italia
Chiarite queste differenze capite perché, ad oggi, ci stiamo muovendo soprattutto verso la produzione di idrogeno verde. In Italia esistono dei progetti specifici per la realizzazione delle cosiddette “Hydrogen Valleys”: uno di questi è “IdrogeMO”, un polo produttivo nel modenese che sarà in grado di produrre fino a 400 tonnellate di idrogeno l’anno, destinato perlopiù al trasporto pubblico locale. L'investimento ammonta ad oltre 20 milioni di euro, finanziati in parte dal PNRR, e prevede la costruzione di un parco fotovoltaico da 6 megawatt che alimenterà un elettrolizzatore, ovvero il dispositivo che estrae idrogeno dall’acqua attraverso il processo di elettrolisi.
Allargando lo sguardo, invece, è facile immaginare che in futuro avremo diversi altri poli al Sud Italia o in Nord Africa, dove c’è una maggiore concentrazione di energie rinnovabili, solare e anche eolico. In questo senso è interessante notare come l’Italia si trovi in una posizione strategica, a metà strada tra i paesi produttori e i paesi importatori. Non a caso tra i progetti più importanti di Snam c’è la costruzione di un sistema di trasporto, il SoutH2 Corridor, lungo 3300 km con il quale portare l’idrogeno dalla Sicilia fino al Sud della Germania. Questa cosa permette di agganciarci al prossimo step della filiera: il trasporto.
Il trasporto dell’idrogeno: gli esperimenti fatti
Nel 2019 è stato condotto con successo un esperimento, da parte di Snam, per testare l’immissione di una miscela di idrogeno e gas naturale all’interno della rete già esistente. Nel test la percentuale di idrogeno immesso era del 5%, una percentuale che in un anno equivarrebbe a 3,5 miliardi di metri cubi, vale a dire i consumi annui di circa 1,5 milioni di famiglie. Questo significa che potenzialmente disponiamo già delle infrastrutture di trasporto necessarie alla transizione, dal momento che il 99% delle rete italiana è pronta, già oggi, ad accogliere l’idrogeno. Lo stesso progetto del SoutH2 Corridor conta quasi il 70% della rete solo da riconvertire. Poter utilizzare le infrastrutture già presenti è un vantaggio non da poco, soprattutto in termini economici. L’idrogeno, come il gas naturale, può essere poi trasportato anche in forma liquida a bordo delle navi; in questo caso occupa meno spazio, ma di contro la liquefazione dell’idrogeno è un processo molto costoso in termini di energia. Per ottenere un chilogrammo di idrogeno liquido servono infatti tra i 4 e i 10 kWh, circa un terzo rispetto all’energia che ricaveremmo dalla sua combustione: una perdita da tenere in considerazione.
Come funziona lo stoccaggio dell'idrogeno nel sottosuolo
Un altro tema è quello dello stoccaggio: come il gas naturale, anche l’idrogeno può essere conservato nel sottosuolo. Conservare l’idrogeno significa accumularlo quando la richiesta è minore, così da garantire un approvvigionamento continuo. Una cosa molto utile soprattutto in rapporto alle rinnovabili, che possono avere una produttività diversa in base alla stagione dell’anno. I migliori serbatoi naturali di idrogeno sono i
cosiddetti “duomi salini”, cioè formazioni rocciose saline impermeabili. Si tratta di rocce porose che sono "sigillate" da strati impermeabili e che quindi riescono a trattenere gas al loro interno. Insomma, dei contenitori naturali molto più grandi di qualsiasi serbatoio artificiale, nei quali stoccare l’idrogeno in eccesso.
Quali sono i settori in cui è più richiesto: la domanda di idrogeno in Italia
Abbiamo parlato di produzione, trasporto e stoccaggio, ovvero di tutto quello che riguarda una futura offerta di idrogeno; molto spesso però ci si dimentica che, per creare una vera filiera, bisogna lavorare anche sull’altra estremità, ovvero la domanda. Ad oggi, il settore che maggiormente sta trainando questa transizione è quello dei trasporti, con sempre più mezzi alimentati a idrogeno che quindi richiedono questa fonte di energia. Per le industrie invece il passaggio è più complesso. A Dalmine, in provincia di Bergamo, è stato installato un prototipo di elettrolizzatore per alimentare un impianto per la laminazione a caldo di tubi senza saldatura. L’obiettivo è quello di monitorare l’ecienza produttiva di queste attività nel momento in cui viene sostituita gradualmente la fonte di energia fossile con l’idrogeno. Oggetti di questa sperimentazione sono soprattutto quei settori “Hard to Abate”, come l’industria fondiaria, che necessitano di grandi quantitativi di energia per mantenersi. Decarbonizzare queste industrie è un processo complesso, dal momento che non possono cambiare la fonte energetica con cui sono alimentate dall’oggi al domani. Testare perciò l’idrogeno direttamente presso le strutture è un modo per prepararle, velocizzando il processo di transizione.