
In Antartide, nel Mare di Weddell, da decenni un enorme “buco” nel ghiaccio marino, grande più o meno quanto la Svizzera, si è aperto più volte e poi richiuso senza un’apparente regolarità, in presenza di temperature molto al di sotto dello zero. La sua origine, dopo essere rimasta a lungo sconosciuta, è stata finalmente chiarita da uno studio dei ricercatori dell’Università di Gothenburg in Svezia, di Southampton in Inghilterra e della California pubblicato nel 2024 sulla rivista Science Advances. Il buco, chiamato “Maud Rise polynya”, è stato analizzato nel 2017, quando le sue dimensioni hanno raggiunto i 50.000 km2. Per farlo sono state combinate osservazioni satellitari e dati provenienti dal monitoraggio sul campo delle condizioni dell’oceano. A causarlo sarebbero complesse interazioni tra il vento, le correnti oceaniche e la morfologia del fondale.
Il grande buco in Antartide nel ghiaccio del Mare di Weddell
Un enorme buco è stato individuato per la prima volta nella piattaforma di ghiaccio che si estende nel Mare di Weddell a partire dalla calotta antartica durante l’inverno del 1974. Successivamente il buco si è richiuso ed è poi ricomparso più volte a intervalli di tempo non regolari, in presenza di temperature dell’aria molto al di sotto dello zero. Il buco si manifesta solitamente vicino alla costa e può rimanere visibile anche per anni dopo che si è richiuso. Il fenomeno è stato chiamato “Maud Rise polynya”: Maud Rise è la montagna sottomarina al di sopra della quale si forma, mentre “polynya” è un termine che indica un buco nel ghiaccio marino. La prima volta che gli oceanografi hanno avuto la possibilità di monitorare adeguatamente la voragine è stata nel 2016-2017, quando dopo molto tempo se ne è di nuovo aperta una grande, estesa 50.000 km2. Lo studio del fenomeno è avvenuto utilizzando immagini satellitari del ghiaccio marino, dati raccolti sul campo da robot e strumenti che vanno alla deriva con le correnti per monitorare le condizioni antartiche e perfino quelli ottenuti da sensori applicati sulle foche.

Perché si formano le voragini come la polynye in Antartide: lo studio sulle cause
Lo studio dei ricercatori ha mostrato come la formazione di una polynya dipenda dalla concomitanza di diversi fattori. Tra questi vi è il rafforzamento della corrente oceanica che si muove in modo circolare intorno al Mare di Weddell (chiamata Weddell Gyre), il quale determina il fenomeno chiamato upwelling: l’acqua più calda e salata che scorre in profondità risale in superficie, mescolandosi con quella superficiale. Quest’ultima diventa più salata e si riscalda: il sale abbassa la temperatura di congelamento dell’acqua, quindi il ghiaccio marino sovrastante può fondere originando un buco. Fondendo, però, il ghiaccio dovrebbe abbassare la temperatura delle acque superficiali e interrompere quindi il fenomeno. I ricercatori hanno scoperto che se questo non accade subito è grazie a un processo chiamato “trasporto di Ekman”. Questo processo consiste nel trasporto di acqua dovuto all’interazione tra il vento e la superficie oceanica. Questo trasporto fa risalire anche i sali accumulati dai vortici della corrente oceanica sulla cima della montagna sottomarina Maud Rise. Il risultato è un maggiore apporto di sali, ma anche di calore, nelle acque superficiali.

Studiare il fenomeno delle polynye è importante perché questi buchi possono influenzare l’andamento delle correnti oceaniche e il modo in cui queste trasportano calore verso i continenti. Il processo di risalita delle acque profonde e salate che è all’origine della formazione dei buchi è lo stesso che contribuisce a una generale riduzione del ghiaccio marino nell’Oceano Antartico.