
Augusto Pinochet Ugarte, nato a Valparaíso nel 1915 e morto a Santiago del Cile nel 2006, è stato un militare e dittatore cileno. Nominato capo dell’esercito dal presidente socialista Salvador Allende, l’11 settembre 1973 fu tra i promotori del colpo di stato contro il presidente. Asceso al potere, governò il Cile come capo di una giunta militare fino al 1990. Il suo regime si caratterizzò per la dura repressione degli oppositori, molti dei quali furono sottoposti a tortura e uccisi dalla polizia politica, e per le riforme economiche di stampo liberista. Dopo la fine della dittatura, i crimini di Pinochet sono stati oggetto di inchieste giudiziarie in Cile e in altri Paesi, ma l’ex dittatore non è mai stato sottoposto a processo.
La gioventù e la carriera militare
Augusto José Ramón Pinochet Ugarte nacque a Valparaíso, in Cile, il 25 novembre 1915. Da adolescente si iscrisse alla Scuola militare Bernardo O’ Higgins, intraprendendo la carriera nelle forze armate, e nel 1945 entrò alla Accademia di guerra. Nel 1951 tornò alla Scuola militare come insegnante e in seguito divenne anche professore dell’Accademia. Dal 1956 al 1959 visse a Quito, in Ecuador, in qualità di membro di una missione militare cilena. Rientrato in patria, proseguì la carriera militare. Nel 1968 ottenne la nomina a generale di brigata e nel 1971 divenne generale di divisione.

La sua carriera ebbe una svolta nel giugno del 1973, quando si guadagnò la stima del presidente, Salvador Allende: in Cile ebbe luogo un tentativo di colpo di stato contro il governo e Pinochet contribuì con i suoi soldati a reprimerlo. Allende, certo della fedeltà del generale, il 23 agosto 1973 lo nominò comandante in capo dell’Esercito del Cile. La scelta si rivelerà presto un errore fatale.
Il colpo di Stato: Pinochet e i militari contro Salvador Allende
Il Cile era tradizionalmente uno dei Paesi più democratici dell’America Latina. Allende, asceso al potere nel 1970 in seguito a regolari elezioni, aveva introdotto misure economiche a sostegno delle fasce più povere della popolazione, nazionalizzando le miniere di rame, una delle principali risorse economiche del Paese (portò così a termine la politica avviata dal suo predecessore, il democristiano Frei). Si era inoltre schierato a sostegno della laicità dello Stato e dei diritti civili; in politica estera aveva mostrato di non accettare l’egemonia statunitense, ristabilendo, tra l’altro, le relazioni con Cuba (nella quale era al potere il governo socialista di Fidel Castro).

Per queste ragioni, Allende si guadagnò l’ostilità degli Stati Uniti, che introdussero misure economiche contro il Cile e sostennero finanziariamente i suoi oppositori. Le condizioni del Paese peggiorarono e in una parte della popolazione si diffuse il malcontento.
Nel 1973 i militari, capeggiati da Pinochet, organizzarono un colpo di Stato contro Allende. L’11 settembre aerei militari bombardarono la Moneda, il palazzo presidenziale e i soldati diedero l’assalto al palazzo. Il presidente fu ucciso (forse fu suicida) nel corso dell’assalto. Il potere fu assunto da una giunta militare composta dai rappresentanti delle diverse forze armate. Pinochet ne fu nominato capo (nel 1974 sarebbe stato nominato capo supremo della nazione).

Il golpe fu certamente sostenuto dagli Stati Uniti, ma il loro ruolo non è mai stato chiarito fino in fondo. A sostegno del colpo di stato erano inoltre schierati i proprietari terrieri, danneggiati dalla politica di Allende, e numerosi ex nazisti che avevano cercato rifugio in Cile dopo la Seconda guerra mondiale.
La presidenza, repressione, crimini e riforme
Appena ascesa al potere, la giunta militare intraprese una politica di dura depressione degli oppositori. La polizia politica, la DINA (Dirección de Inteligencia Nacional), si serviva regolarmente della tortura per interrogare i prigionieri, usando tecniche particolarmente efferate. Migliaia di oppositori furono assassinati e, in alcuni casi, i loro corpi furono fatti scomparire. Nei giorni seguiti al golpe, lo Stadio nazionale di Santiago divenne un campo di concentramento, nel quale gli oppositori subirono le più atroci brutalità. Tra le vittime rinchiuse allo stadio figuravano anche persone famose, come il poeta Victor Jara, e cittadini di altri Paesi.
Il numero esatto delle vittime della dittatura non è noto. Una commissione istituita dopo il ritorno della democrazia ha stimato che i morti, inclusi i desaparecidos, fossero stati 2279, ai quali si devono aggiungere circa 30.000 persone vittime di tortura. Si tratta, tuttavia, di cifre approssimative. Alcuni esponenti politici cileni, inoltre, furono assassinati all’estero.

Contemporaneamente alla repressione, Pinochet sviluppò una politica economica liberista, rovesciando l’impostazione di Allende e, grazie anche all’appoggio degli Stati Uniti, riuscì a ottenere buoni risultati, al punto che alcuni economisti, come Milton Friedman, parlarono di “miracolo del Cile”. Invece, secondo altri analisti, come Amartya Sen, i risultati economici di Pinochet rappresentano invece il fallimento del liberismo.
Quel che è certo è che a livello internazionale, il regime riceveva molte critiche per la sua politica repressiva, ma godeva del sostegno degli Stati Uniti. Nel 1987, inoltre, ricevette la visita del papa, Giovanni Paolo II. All’interno del Paese, nonostante la dura repressione degli oppositori e la censura sulla stampa, la dittatura non era gradita a una parte dei cileni.
La fine della dittatura, la vicenda giudiziaria e la morte
Nel 1988 Pinochet indisse un referendum per chiedere di prolungare il suo mandato di altri 8 anni, convinto di vincere in maniera facile. Contrariamente alle aspettative del dittatore, prevalsero i no e due anni più tardi Pinochet lasciò la presidenza. Il cambiamento fu reso possibile dal fatto che il contesto geopolitico internazionale non era più quello degli anni ‘70, grazie alla fine della guerra fredda, e perciò in Cile poté essere ripristinata la democrazia. Pinochet, dopo aver lasciato la presidenza, fu nominato senatore a vita e conservò l’incarico di capo dell’esercito.

I crimini commessi quando era al potere, però, non furono dimenticati. Nel 1998 l’ex dittatore fu arrestato a Londra su ordine di un giudice spagnolo. Dopo lunghe polemiche giuridico-diplomatiche, nel 2000 poté rientrare in Cile. Anche nel suo Paese, però, dovette affrontare problemi giudiziari: l’immunità parlamentare gli fu revocata e fu posto più volte, per brevi periodi, agli arresti domiciliari. Non fu sottoposto, però, a un vero e proprio processo, anche perché una parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente cilena continuava a essere schierata a suo favore.
Pinochet morì a Santiago il 10 dicembre 2006, all’età di 91 anni.