Quante volte da affamati abbiamo detto: "Ho una fame da lupo!"? Ma forse sarebbe più corretto dire che si è "affamati come Tarrare". Non stiamo parlando di un personaggio fittizio come i giganti Gargantua e Pantagruel del noto scrittore del Rinascimento francese François Rabelais, ma di un personaggio storico dall'appetito altrettanto incredibile. La sua mostruosa fame venne raccontata dal dottor Baron Percy che lo aveva in cura sul Journal de Médicine, chirurgie et pharmacie del 1804.
Si può dire che Tarrare fu il polifago più incredibile della storia umana conosciuta, perché ingurgitava davvero di tutto, e sembrava non essere mai veramente sazio. La sua condizione clinica specifica non è mai stata chiara, ma si sospettava che soffrisse di ipertiroidismo e iperfagia.
L'ultima volta che si presentò all'ospedale, nel 1798, Tarrare disse che aveva ingoiato una forchetta d'argento, ed era convinto che fosse quella la causa di tutti i suoi mali. L'autopsia che seguì la sua morte, però, giunta pochi giorni dopo del ricovero, non rilevò nessuna forchetta, ma solo una condizione anormale degli organi interni ancora indefinibile per la medicina.
Chi era Tarrare: infanzia e gioventù come fenomeno da baraccone
Partiamo col dire che il suo nome di battesimo è rimasto sconosciuto, ma che si fece conoscere con il nome di "Tarrare", probabilmente perché nato nell'omonimo villaggio vicino a Lione nel 1772.
Sin da bambino dimostrò di avere una fame fuori dal comune, che non fece altro che crescere con la pubertà. Arrivato a 14 anni la situazione si era aggravata, e la famiglia, che era contadina e povera, non sapeva più come sfamarlo. Fu così che i genitori lo cacciarono di casa, e dopo aver mendicato e rubato con una combriccola di giovani ladruncoli per alcuni mesi, Tarrare ebbe un'idea geniale: a Lione c'erano i fenomeni da baraccone, e la sua enorme fame poteva fruttargli qualche soldo e un tetto sopra la testa. Così si unì a una delle tante fiere itineranti che avrebbe attraversato la Francia.
Durante le sue esibizioni chiedeva agli spettatori di lanciargli qualsiasi cosa addosso, promettendo che l'avrebbe mangiata. E così faceva davvero: le persone gli lanciavano pietre, tappi di sughero, nastri, mele e patate, e lui ingurgitava tutto. Un giorno ci fu persino chi pensò di portargli un bue che pesava quanto lui, e sbranò anche quello. Potrebbe sembrare incredibile il fatto che quest'uomo, nonostante quanto mangiasse, era davvero magro: infatti pesava poco più di 50 chili, era gracile e con un volto di ragazzino cagionevole circondato da una schiera di capelli biondi. Molto lontano quindi dall'omone corpulento che ci si aspetterebbe.
Dopo i suoi spettacoli il ragazzo accusava dei malesseri che sfociavano ben presto in attacchi di coliche, ed era ormai un paziente fisso all'Hotel Dieu di Parigi, dove i medici gli offrivano dei lassativi per cercare di evacuare quel povero intestino. Non c'era nulla da fare, però: una volta rimesso, il ragazzo tornava ai suoi spettacoli, e la storia cominciava da capo.
Durante uno dei suoi soggiorni al Dieu, Tarrare provò persino a ingoiare l'orologio da taschino del medico chirurgo Giraud, e così l'équipe medica – stanca di questa storia – provò a mettergli paura dicendo che l'unico modo per curare la sua polifagia fosse quello di fare un intervento chirurgico. Si accordarono e fecero finta che tutto fosse pronto: il tavolo operatorio, il bisturi e tutti gli altri strumenti. Alla loro vista Tarrare ebbe così paura che scese in fretta e furia dalla barella e corse via dall'ospedale. Non tornò mai più all'Hotel Dieu.
Tarrare soldato finisce come cavia all'ospedale militare
Stanco di quelle continue entrate e uscite ospedaliere, Tarrare cercò di rigare più dritto che poteva per qualche tempo, e quando scoppiò la guerra della prima coalizione, il giovane si arruolò nell'Armée Révolutionnaire, ma ben presto capì che era stato un errore. Le razioni destinate ai soldati infatti erano insufficienti per placare la sua proverbiale fama, tantoché il ragazzo cercò di corrompere alcuni commilitoni facendo i lavori più brutti in cambio di una parte del loro cibo. Ma nemmeno questo bastava, e così ben presto fu così debilitato da dover essere ricoverato all'ospedale militare di Soultz-Haut-Rhin, al confine franco-svizzero.
Lì lo ebbe in cura il dottor Courville, che lo aveva già conosciuto al Dieu di Parigi, e che prolungò la degenza del paziente il più possibile per studiare al meglio la sua condizione. Il medico decise che Tarrare doveva ricevere una porzione quadrupla rispetto ai pazienti normali, ma nemmeno questa offerta bastò: più volte infatti il ragazzo venne beccato a rovistare nei cassonetti dietro alla mensa e in farmacia con le mani nei cataplasmi (impasti curativi a base di erbe e fiori da applicare sulla pelle). Un giorno, raccontò Courville, il paziente aveva messo le mani su uno dei gatti trovati nel giardino della struttura e se l'era mangiato. Questo accadeva anche con le lucertole e piccoli serpenti, e i medici che lo avevano in cura provarono a dargli in pasto anche un'anguilla viva, che Tarrare mandò giù senza problemi.
Tra i tanti esperimenti, gli venne offerta una cena per 15 operai tedeschi, con due enormi pasticci di carne e quattro galloni di latte, che il commensale finì da solo per poi addormentarsi pesantemente, gonfio come una mongolfiera e con una pesante e fetida sudorazione che allontanava chiunque gli stesse accanto.
La breve esperienza da spia e la morte
Dopo qualche mese, il dottor Courville decise di fare un esperimento ancora più bizzarro, e gli fece inghiottire una cassetta di legno cilindrica con un foglietto all'interno per testare se dopo la defecazione la pergamena fosse ancora integra. L'esperimento ebbe un risultato positivo, e così assieme al generale Alexandre de Beauharnais si pensò di utilizzare Tarrare come spia di guerra.
Ingoiò un secondo cilindro e, vestito da contadino, venne inviato per una semplice missione in territorio nemico, dove – non parlando tedesco – venne immediatamente intercettato da un'avanguardia prussiana a qualche chilometro da Landau che lo picchiò alcune volte prima di rispedirlo all'ospedale di Soultz. Il ragazzo, all'epoca poco più che 20enne, rimase così traumatizzato da quell'esperienza che disse ai dottori che voleva essere guarito a tutti i costi. Si provò di tutto: bevande acide, a base di laudano, pillole di tabacco, ostriche e altri intrugli… ma niente riusciva a placare la sua fame.
Tra il personale dell'ospedale girava voce che bevesse persino il sangue salassato di alcuni pazienti, che avevano iniziato a evitarlo. Un giorno scomparve un bambino di pochi mesi e Tarrare, sospettato (senza alcuna prova evidente) di averlo mangiato, venne allontanato dalla struttura nel 1794.
Quattro anni dopo il dottor Percy ritrovò il ragazzo, ormai 26enne, all'ospedale di Versailles, con una grave tubercolosi. Il giovane, che ormai non aveva più fame, pensava di stare male a causa di una forchetta d'argento che affermava di aver ingoiato, ma il quadro clinico parlava chiaro e morì pochi mesi dopo.
Durante l'autopsia si scoprirono numerose infiammazioni interne (era colmo di pus), e lo stomaco – che come quasi tutti gli organi addominali era più grosso della media – era quasi interamente ricoperto di ulcere. I medici dell'epoca sospettarono una possibile allotriofagia, condizione medica in cui la persona mangia anche cose che non rientrano tra gli alimenti che può avvenire in concomitanza di alcune malattie mentali. Tuttavia questa teoria è sfumata presto perché non spiegava come Tarrare potesse mangiare quantità così grandi di cibo o perché rimanesse così magro.
Ancora oggi non è ancora chiaro il quadro clinico del paziente, ma l'ipotesi più probabile è che soffrisse di ipertiroidismo e iperfagia (disturbo alimentare caratterizzato da un aumento eccessivo e incontrollato dell'appetito che può portare a un consumo compulsivo di cibo anche in assenza di fame reale).
In ogni caso, durante l'autopsia si accertò una cosa: non c'era nessuna forchetta nella pancia dello sfortunato Tarrare.