
La Cina di fine 2025 non è solo una super potenza economica, ma probabilmente anche la Nazione che raggiungerà per prima la neutralità carbonica: quello che sembra un paradosso (aumentare il proprio PIL e contemporaneamente contrastare il cambiamento climatico) è frutto delle centinaia di proteste (spesso finite con violenze da parte della polizia, arresti indiscriminati e censura governativa) che hanno segnato i primi anni del 2000.
Per capire il percorso che ha condotto Pechino a inserire, nella propria agenda governativa, la tutela della salute umana e dell’ambiente, dobbiamo tenere a mente alcuni momenti fondamentali: Stoccolma 1972, le proteste avvenute fra il 2006 e il 2014, Parigi 2015 e l’Airpocalypse cinese, l'epidemia di Covid-19 del 2020.
1972, a Stoccolma si svolge la Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente Umano
La capitale della Svezia ospita il primo raduno internazionale organizzato dell’ONU per discutere di ambiente e di diritti umani.
113 nazioni, fra cui la Cina, si confrontano per diversi giorni sui temi che stanno scuotendo l’opinione pubblica: la tutela della salute umana, del Pianeta (ancora non si parla di riscaldamento globale), il pericolo legato alle esplosioni nucleari (derivate tanto da atti di guerra quanto da esercitazioni), l’atteggiamento predatorio che i Paesi sviluppati attuano verso quelli in via di sviluppo, eccetera.

È quasi una COP ante litteram, e si conclude con la sottoscrizione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, fondata su 26 principi relativi ai diritti e responsabilità dell'uomo in relazione all'ambiente e un piano d’azione suddiviso in 109 raccomandazioni.
Per il popolo cinese la dichiarazione non è solo lettera morta, e inizia a fare pressioni perché i principi sottoscritti vengano applicati, ma il boom economico, la possibilità di sviluppare la propria economia e ritagliarsi importanti fette del mercato globale spingono Pechino a mettere in un angolo le questioni ambientali e sociali.
2006–2014, i Villaggi del Cancro chiedono giustizia
Oltre 30 anni di crescita economica sregolata hanno portato alla nascita di quelli che verranno chiamati i Villaggi del Cancro, ovvero comunità limitrofe a impianti chimici che producono o lavorano sostanze altamente tossiche e cancerogene e in cui i tassi di tumore sono i più alti del Paese.
Fra le soluzioni prodotte c'è il paraxilene (PX), un derivato petrolchimico largamente utilizzato per la produzione di tessuti sintetici e materiale plastico con cui confezionare bottiglie e altri contenitori. Visto il suo largo impiego in tutto il mondo la Cina si è fatta avanti per guadagnare importanti fette di mercato, divenendo il quarto fornitore mondiale di PX.
Migliaia di cittadini scendono in piazza indossando maschere antigas e brandendo striscioni, dopo aver inviato quanti più sms possibili ad amici e parenti, prima che il Governo blocchi le comunicazioni, tentando di arginare le proteste popolari con la censura.
La città-simbolo di queste prime proteste (2006-2007) è Xiamen, ricco centro portuale situato nella provincia orientale del Fujian, che avrebbe dovuto ospitare un importante impianto per la produzione del PX. Secondo le dichiarazioni rilasciate all’epoca dalle autorità cinesi, lo stabilimento avrebbe potuto raddoppiare il PIL di Xiamen, ma la cittadinanza preferì salvaguardare la propria salute, bloccando definitivamente il progetto.
Quel primo successo diede il via ad altre marce popolari, cui si contrapporranno le violenze della polizia cinese (che tenterà di sedare le rivolte con l’uso di lacrimogeni e di manganelli elettrici sulla folla, finendo con arresti di massa), che si diffonderanno a macchia d’olio per tutta la Cina, attecchendo in particolare nelle città costiere (come Xiamen), quelle più ricche, ma anche più esposte ai pericoli di una crescita economica scriteriata.
Dal 2010 le proteste ambientali iniziano ad aumentare esponenzialmente (+120% rispetto agli anni passati, in cui i temi più caldi erano legati ai diritti dei lavoratori e alla difesa della proprietà privata contro gli espropri statali), coinvolgendo migliaia di persone e bloccando le città più importanti per lo sviluppo e il commercio cinese; nel triennio 2011 – 2013, in particolare, le comunità di Dalian, Ningbo e Kunming manifestano la propria preoccupazione e il proprio dissenso verso la volontà di Pechino di mettere al primo posto il profitto.

Il Governo deve prendere atto che la tutela ambientale è diventata una delle prime preoccupazioni dei cittadini cinesi (seconda solo alla corruzione statale); nel 2013 il Ministero dell’Ambiente riconosce formalmente l’esistenza dei Villaggi del Cancro. Si tratta di quasi 200 piccoli centri urbani invasi da fabbriche e stabilimenti chimici, che rilasciano sostanze tossiche nell’aria e nell’acqua senza alcun controllo da parte delle autorità locali; il tasso di tumore allo stomaco e all’intestino in quelle zone è il più alto della Cina, e la popolazione non intende più morire, letteralmente, in nome del PIL.
In questo cruciale lasso di tempo, infine, Pechino ha ospitato le Olimpiadi (2008, quella dei 130 record mondiali di nuoto), mostrando al mondo una faccia ripulita (letteralmente) sia sotto l’aspetto dell’inquinamento ambientale che della repressione sociale. Le fabbriche più inquinanti vengono temporaneamente chiuse, per permettere agli atleti occidentali di allenarsi all’aperto, e le proteste non finiscono più nel sangue.
Per il popolo cinese è la prova che il Governo ha i mezzi per tutelare l’ambiente, e la popolazione, ma non la volontà per farlo.
2015, gli Accordi di Parigi e l’Airpocalypse cinese
Mentre Parigi ospita la COP21, la Conference of the Parties che ha posto una pietra miliare nella lotta al cambiamento climatico, ovvero gli Accordi di Parigi, firmati e ratificati anche dalla Cina, a Pechino è allarme Airpocalypse dopo il terzo giorno di smog alle stelle, con una fitta coltre grigiastra che avvolge la capitale.
Lo smog ha raggiunto livelli talmente alti da bloccare quasi totalmente la parte nord- orientale Paese, con le centraline di controllo della qualità dell’aria registrano livelli allarmanti di particolato: siamo oltre i 200 microgrammi per metro cubo, laddove l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda di non superare i 25 microgrammi per metro cubo.
In totale sono quasi 30 le grandi città cinesi (fra cui Pechino, Dingzhou e Xinji) costrette ad attuare misure di emergenza per contenere i danni: circolazione a targhe alterne, scuole e uffici chiusi, fabbriche aperte solo se necessario.

Le autorità parlano di oltre 300 milioni le persone a rischio, a causa dei livelli tossici dell'aria: la coltre di smog che ha avvolto la Cina nord-orientale per diversi giorni, creando l’effetto Airpocalypse, era tanto fitta da essere stata fotografata anche dai satelliti della NASA (contrariamente alla Grande Muraglia, che non è visibile dallo Spazio).
Il 2015 è anche l'anno del documentario Under the Dome (Sotto la Cupola), che mostra i devastanti effetti dello smog sulla salute delle persone e sull'ambiente: il video, che trovate su YouTube, è stato pubblicato il 1° marzo 2015 dalla giornalista investigativa Chai Jing, e nelle 48 ore precedenti la censura governativa è stato visto da oltre 200 milioni di persone su portali video cinesi come Youku e Tencent.
La popolazione riprende a protestare, consapevole sia dei danni legati all'inquinamento sia dell'impegno formale preso dal proprio Governo. In barba a chi sostiene che protestare non serva, Pechino si rende conto che non può governare un Paese in rivolta, e inizia a inserire nei piani di sviluppo economico anche investimenti nelle fonti di energia rinnovabile, fotovoltaico ed eolico onshore in primis e progetti di efficientamento energetico al fine di ridurre le proprie emissioni di gas serra.
Il lockdown dovuto al Covid-19 e la riduzione delle emissioni clima-alteranti
Per quanto cinico possa essere dirlo, il Covid-19 ha permesso alla Cina di premere un gigantesco tasto reset, mettendo in pausa i forsennati ritmi produttivi e le emissioni di gas serra, ricominciando quasi da zero.
Assieme all’India, dove per la prima volta in quasi 30 anni si è tornato a vedere il profilo dell’Himalaya, la Repubblica Popolare Cinese è una delle Nazioni che ha maggiormente apprezzato il drastico calo di inquinamento atmosferico dovuto ai lockdown, ovvero al blocco totale di quasi tutte le attività umane.

Le immagini satellitari sulla qualità dell’aria di molte città cinesi hanno mostrato una riduzione degli inquinanti quasi impossibile da credere, permettendo a cittadini e Governo di toccare con mano come sarà la Cina del futuro, in cui la crescita economica non avrà come effetto collaterale la distruzione dell’ambiente.
Nel settembre 2020 il Presidente Xi Jinping dichiara ufficialmente la volontà del Governo cinese di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, indicando il 2030 come punto massimo delle emissioni clima-alteranti prodotte dalla Cina, ovvero come il momento in cui le fonti fossili inizieranno a lasciare definitivamente il posto alle fonti di energia rinnovabile.