Il 16 aprile la città di Dubai, così come buona parte degli Emirati Arabi Uniti e dell'Oman, è stata colpita da forti piogge e alluvioni che hanno cin tilt aeroporti e strade. Le cause di questi rovesci sono multiple: da una parte nella Penisola Arabica era già presente un'area di bassa pressione (quindi di maltempo), dall'altra nei giorni precedenti erano state condotte 7 missioni di cloud seeding. Si tratta di una discussa tecnica di geoingegneria che permette di favorire lo sviluppo di pioggia all'interno di nubi già esistenti per mezzo di sostanze chimiche con funzione igroscopica o di condensazione. Gli Emirati sperimentano il cloud seeding da diversi anni, ma le piogge record dei giorni scorsi hanno riacceso i riflettori su questa tecnologia.
Gli Emirati Arabi Uniti sono forse il Paese che più sta investendo nella ricerca in questo campo e proprio per questo motivo vale la pena fare il punto della situazione, andando a vedere nello specifico come funzionano le tecniche usate dagli UAE, quante missioni fanno all'anno e se queste funzionano veramente oppure no.
Il programma per il cloud seeding degli UAE
Tutto ciò che riguarda il cloud seeding negli Emirati Arabi Uniti viene gestito dall'UAE Research Program for Rain Enhancement Science (UAEREP) al quale è stato garantito un fondo di 1,5 milioni di dollari distribuito in 3 anni per realizzare tutte le ricerche necessarie allo studio e al miglioramento di questa tecnica. Nello specifico si occupano di:
- prevedere dove e quando si formeranno nubi idonee per la formazione di pioggia;
- quali sono le particelle corrette da "spruzzare" in atmosfera a seconda del tipo di nube;
- migliorare il monitoraggio delle nubi in tempo reale per comprendere meglio il funzionamento del cloud seeding.
Come viene fatto e come funziona il cloud seeding negli Emirati Arabi Uniti
Dal punto di vista tecnico il cloud seeding prevede di rilasciare in atmosfera varie tipologie di particelle per stimolare la formazione di pioggia all'interno delle nubi. Solitamente negli UAE vengono utilizzate:
- particelle igroscopiche come il cloruro di sodio, che assorbe l'umidità e quindi favorisce la condensazione nelle nubi umide;
- particelle come ioduro di argento o ghiaccio secco, che fungono da nuclei di condensazione in nubi fredde.
Teniamo comunque presente che queste sono le principali ma il programma di ricerca del Paese è molto attivo e, anche in questo momento, sono in fase di sviluppo nuove tecniche per ottimizzare il metodo e ottenere risultati sempre più inequivocabili e performanti. Per esempio è in fase di sperimentazione una tecnica che prevede di utilizzare piccole scariche elettriche per stimolare la formazione di pioggia, quindi senza l'uso di sostanze chimiche.
Inoltre gli Emirati avrebbero come obiettivo 300 missioni di cloud seeding nel 2024. questo, almeno, secondo quanto riportato da alcuni media locali, anche se nel sito ufficiale della UAEREP non è fatta alcuna menzione a questo valore.
Perché viene fatto il cloud seeding negli Emirati Arabi
Riprendendo le parole del presidente dell'UAEREP Alya Al Mazroui, la valorizzazione delle piogge rappresenta un'opportunità per diversificare le risorse idriche e ridurre la dipendenza dalle forniture tradizionali. La popolazione degli Emirati Arabi Uniti infatti è in una fase di crescita e, di conseguenza, è in costante aumento la pressione sulle risorse idriche del Paese: con il cloud seeding il governo spera di riuscire ad ottenere un approvvigionamento idrico costante e affidabile.
Il cloud seeding funziona davvero?
Chiudiamo con la domanda da un milione di dollari alla quale a oggi non esiste ancora risposta certa al 100%. Da una parte abbiamo alcune fonti – come vari enti e associazioni di settore – che sostengono l'efficacia del cloud seeding, con un aumento delle precipitazioni attorno al 20-30% circa.
Dall'altra parte però non solo viene fatto notare che dal punto di vista statistico non esistono prove inequivocabili, ma anche che il cloud seeding per funzionare necessita di nuvole già cariche di pioggia, che quindi avrebbero potuto portare a precipitazioni anche senza l'intervento umano.
Proprio per questi motivi ancora oggi viene messa in discussione l'effettiva efficacia del cloud seeding.