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23 Gennaio 2025
17:30

Come avviene la pastorizzazione del latte?

La pastorizzazione è un processo che avviene attraverso un rapido riscaldamento, seguito da un altrettanto rapido raffreddamento. Questo elimina gran parte dei microrganismi patogeni e prolunga la conservazione del latte, ma non è efficace contro tutti i contaminanti.

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Come avviene la pastorizzazione del latte?
latte

Nata nella seconda meta dell'Ottocento dal chimico francese Louis Pastuer, da cui prende il nome, la pastorizzazione è un processo che permette di ridurre drasticamente la concentrazione di microrganismi negli alimenti, per aumentarne la sicurezza e le tempistiche di conservazione. La più conosciuta è la pastorizzazione del latte e consiste nel riscaldare il latte crudo ad alte temperature (oltre i 60 °C) da mezz'ora a pochi secondi, a seconda del processo utilizzato. Più è alta la temperatura, meno tempo dura la pastorizzazione. Grazie a ciò è possibile ottenere un prodotto sicuro microbiologicamente, secondo le Direttive nazionali, ma non vengono eliminati altri contaminanti di tipo chimico, come i pesticidi, per i quali vanno effettuati opportuni controlli e misure preventive a monte dell'intero processo.

La pastorizzazione: dal vino al latte un metodo per migliorare la sicurezza e la conservabilità

Siamo nel 1863 quando il chimico francese Louis Pasteur viene incaricato dal governo di Napoleone III di indagare i problemi che affliggevano l'industria vinicola francese: le bottiglie importate negli altri Paesi, durante il viaggio, subivano un processo di deterioramento che alterava negativamente il gusto. Pasteur scoprì che dietro a questo problema si nascondeva un processo microbiologico noto come fermentazione acetica, nel quale dei batteri trasformavano l'etanolo in acido acetico, responsabile dell'inacidimento del vino. In realtà, il termine "fermentazione" non è propriamente corretto, perché indica un processo metabolico anaerobico (cioè che avviene in assenza di ossigeno). Questo invece avviene in presenza di ossigeno, quindi è aerobico, ma viene chiamato così per convenzione.

Lo scienziato ideò un modo per uccidere questi microrganismi senza però alterare le proprietà organolettiche (consistenza, aspetto, sapore) del vino: il prodotto andava riscaldato a circa 60°C/70°C (ricordiamo che il vino è una soluzione acquosa, se si porta a 100°C inizia a bollire e parte della soluzione evapora) e poi raffreddato: questo permetteva di uccidere la maggior parte dei batteri responsabili della fermentazione acetica. Successivamente, il procedimento venne esteso anche ad altri alimenti e venne nominato, in suo onore, pastorizzazione. La più conosciuta è quella del latte.

pastorizzazione

Nel latte, il principale scopo della pastorizzazione è dunque diminuire i microrganismi che possono intaccare la sicurezza e la conservabilità dell'alimento. Questo trattamento mira infatti a prolungare quella che nel settore alimentare è definita shelf life, ovvero il periodo durante il quale un prodotto può essere conservato in condizioni ottimali senza che subisca alterazioni significative dal punto di vista igienico-sanitario, organolettico e nutrizionale.

Il latte crudo, cioè il latte che non ha subito alcun trattamento termico, ha una shelf life nettamente inferiore a quella del latte pastorizzato: i microrganismi, se non controllati, proliferano a dismisura e attraverso reazioni metaboliche portano alla formazione di acidi che abbassano il pH del latte e ne alterano gusto, consistenza e conservabilità.

Come avviene la pastorizzazione del latte?

Durante il processo di pastorizzazione, il latte viene esposto a temperature elevate (oltre i 60°C) per un determinato lasso di tempo. In base a temperature e tempistiche, possiamo distinguere tre principali tipologie di pastorizzazione del latte:

  1. LTLT (Low Temperature Long Time): il latte viene riscaldato a 63°C per 30 minuti.
  2. HTST (High Temperature Short Time): qui la temperatura si alza fino a 72°C, ma il tempo di esposizione diminuisce drasticamente fino a 15 secondi.
  3. UHT (Ultra High Temperature): vengono superati i 100°C ma per tempi brevissimi, al di sotto dei 10 secondi.

Bisogna notare come la temperatura di riscaldamento e il tempo del processo siano tra loro inversamente proporzionali, cioè all'aumentare di uno diminuisce l'altro. Ciò significa che temperature più alte per pochi secondi consentono di raggiungere un livello di sicurezza microbiologica che a temperature più basse richiedono tempi di esposizione più lunghi. Questo equilibrio è cruciale per preservare la qualità del prodotto finito e minimizzare eventuali alterazioni dovute al calore.

Impianto di Pastorizzazione

A livello industriale, questi processi avvengono grazie a impianti denominati pastorizzatori. Al loro interno sono presenti degli scambiatori di calore, che possono essere, principalmente, tubolari o a piastre: entrambi i sistemi sono progettati per garantire un trasferimento di energia termica tra un fluido (come acqua calda o vapore) e il latte senza che i due entrino a contatto tra loro, ma scorrendo semplicemente in due sezioni ravvicinate.

Prima del trattamento termico vero e proprio, il latte crudo viene dapprima filtrato e poi sottoposto a un riscaldamento preliminare per ridurne la viscosità e favorire così il suo scorrimento nell'impianto. Alla fine della pastorizzazione, invece, il latte viene rapidamente raffreddato a temperature che si aggirano tra i 4°C e i 6°C (usando nello scambiatore di calore acqua fredda o glicole etilenico come fluido refrigerante), questo step è essenziale per impedire lo sviluppo di batteri termofili residui che sono sopravvissuti al trattamento.

Quali contaminanti non vengono eliminati con la pastorizzazione

La pastorizzazione mira ad abbattere principalmente i contaminanti biologici presenti nel latte, ma ce ne sono anche altri. In generale possiamo suddividerli in due grandi categorie:

  1. Contaminanti chimici: pesticidi, micotossine (tossine prodotte da funghi) o metalli pesanti. Queste sostanze non vengono eliminate durante il processo di pastorizzazione, motivo per cui il controllo della loro presenza deve essere effettuato a monte, con misure preventive come monitoraggio della dieta animale o regolamentazione e limitazione dell'uso di certe sostanze chimiche negli allevamenti di mucche da latte.
  2. Contaminanti biologici: batteri, virus, lieviti e muffe, bersaglio della pastorizzazione. Particolare attenzione è posta ai batteri patogeni e a quelli deterioranti, ovvero quelli che non sono patogeni, ma devono comunque essere eliminati perché possono compromettere la qualità del latte, diminuendo la sua shelf life.
Coltura batterica latte

Bisogna però fare delle precisazioni: la pastorizzazione non è una sterilizzazione completa, ma è un processo che riduce significativamente la carica microbica senza eliminare completamente tutti i microrganismi. Alcuni batteri, come quelli appartenenti al genere Bacillus, sono anche in grado di trasformarsi in spore: queste è come se fossero versioni più forti dei batteri, e sono termoresistenti, il che significa che non sono sensibili al calore e di conseguenza riescono a sopravvivere alla pastorizzazione.

Secondo le normative italiane (D.P.R. 54/97) il latte bovino termizzato (ossia che ha ricevuto un blando riscaldamento) e destinato alla pastorizzazione deve contenere, a 30°C, un tenore di germi mesofili aerobi (genere di microrganismi più diffusi) inferiore a 100.000 per ml. Una volta pastorizzato, il latte deve dare un esito negativo al test della fosfatasi (si tratta di un enzima che, se il processo è avvenuto correttamente, è stato distrutto dal calore) e un esito positivo al test della perossidasi (enzima più resistente al calore la cui presenza dimostra che è stata raggiunta la temperatura necessaria a inibire la crescita batterica ma non a compromettere le proprietà nutritive). Solo rispettando questi parametri, il latte in questione viene ritenuto sicuro per l'uso alimentare.

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