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Come funzionavano le batterie con indicatore di carica e perché non sono più diffuse?

Conoscere la carica residua di una pila alcalina per alcuni può rivelarsi molto utile: nel 1996 due grandi aziende del settore offrirono la possibilità di misurarla senza strumenti esterni grazie all'inserimento di un indicatore di carica. Anni di battaglie legali e costi maggiori hanno però decretato lo scarso successo di questa comoda tecnologia.

20 Gennaio 2025
12:30
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Come funzionavano le batterie con indicatore di carica e perché non sono più diffuse?
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Sarà capitato a tutti di trovare, dimenticata in qualche cassetto o dentro qualche elettrodomestico non più usato, qualche pila usa e getta. In questi casi è difficile capire se buttarle o conservarle, perché senza gli strumenti adeguati è impossibile sapere se contengono abbastanza energia da poter essere utilizzate ancora, magari in apparecchi meno "assetati" di energie come orologi a parete o telecomandi. Già nel 1996 era stata inventata, per questo problema, una soluzione rapida, comoda e sempre a portata di mano: due compagnie concorrenti, la Duracell e la Energizer, avevano infatti lanciato sul mercato batterie che, con la semplice pressione di due tasti, potevano indicare lo stato della batteria grazie all'uso di speciali inchiostri termici. Oggi queste batterie non vengono più utilizzate, non è chiaro il motivo, ma possiamo ipotizzare che semplicemente non ne valga la pena da un punto di vista dei costi di produzione.

Cosa sono le pile alcaline e quali caratteristiche hanno

Le comuni batterie usa e getta funzionano grazie a reazioni chimiche: nel caso delle pile alcaline, le più diffuse sul mercato, ai due poli troviamo zinco metallico (Zn) e biossido di manganese (MnO2) separati da un composto alcalino che dà loro il nome, l'idrossido di potassio (KOH), che permette il passaggio di ioni da una parte all'altra.

Una batteria possiede due caratteristiche principali: l'intensità di corrente  che si misura in ampere (A) e differenza di potenziale che si misura in volt (V). Entrambe le grandezze misurabile con strumenti elettronici come i multimetri o tester appositi, spesso venduti dalle stesse aziende produttrici di batterie.

Come si misurava il livello di carica delle batterie: un circuito e l’inchiostro

Ogni strumento per la misurazione ha però un problema: non ce l'hai mai dietro, quando serve. Questo almeno devono aver pensato Burroughs e O'Kain, gli inventori di un sistema miniaturizzato da inserire sull'etichetta per testare le batterie. Nel 1996 sia la Duracell che la Energizer, sebbene concorrenti proposero sistemi di misurazione della forza della batteria molto simili: in un caso un semplice indicatore, in grado di colorarsi e far comparire la scritta "good" a contrasto, mentre nell'altro l'area del test era composta da una lunga striscia che poteva colorarsi in parte o completamente di giallo in base alla potenza residua, come una "barra di caricamento".

Nelle versioni più recenti, la striscia colorata è stata modificata e divisa in 4 settori, con una scala di colori dal rosso al verde, per rendere ancora più intuitivo lo stato di salute della batteria.

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Il test della batteria in azione: premendo nei punti indicati, la banda nell’etichetta si colora in parte, indicando la quantità di carica approssimativa rimasta. Chi l’ha usato ricorderà il dolore alle dita.

Ma come funziona esattamente questo indicatore? L'etichetta ha un'area colorata con inchiostro termocromico, ossia in grado di cambiar colore con l'aumentare della temperatura. Al di sotto dell'etichetta, sono presenti diversi strati. Il primo è una lamina metallica, che con la pressione delle dita viene messa a contatto con i poli della batteria: il polo positivo è un pezzo unico con il corpo della batteria, per cui uno dei due punti da premere è sul lato, mentre il polo negativo è un fondello (quel piccolo bottoncino nella parte posteriore) separato dal corpo principale.

I restanti strati, una pellicola isolante e un sottile pezzo di carta, servono a mantenere la lamina staccata dalla batteria: ogni volta che si effettua il test infatti, si consuma una piccola quantità di carica, per cui è importante che le due parti non si tocchino se non i pochi secondi necessari alla lettura, per evitare di scaricare la batteria inutilmente. Quando premiamo con le dita, la lamina entra in contatto con i poli della batteria permettendo il passaggio di corrente.

Pila powercheck elementi

Come si può notare dalle foto, la lamina è più stretta al polo negativo e si allarga verso il positivo: è questa differenza che permette di stimare la quantità di potenza residua. Ed ecco perché. Un materiale conduttivo attraversato da una corrente, anche piccola come quella di una batteria, si scalda perché offre una certa resistenza al passaggio degli elettroni. Questa resistenza dipende sia dal materiale usato, che dalla sua dimensione (o sezione): nella parte più stretta la lamina ha una resistenza maggiore e si scalda con un voltaggio più basso, quindi basta che la batteria abbia poca carica. Mentre per far cambiare colore ai settori che noi vedremmo verdi, che corrispondono alla massima carica ci sarà bisogno dei 1,5 V di una batteria nuova, perché sotto di questi la lamina è più larga e ha una resistenza più bassa.

Quando premiamo sui due contatti, per effetto della corrente che la attraversa la lamina si scalda e l'inchiostro termocromico presente sull'etichetta si colora! Questa natura termocromica dell'inchiostro rende però la lettura anche dipendente dalla temperatura ambiente: infatti l'etichetta suggerisce di eseguire i test a 21 °C per avere una lettura corretta. Se scaldiamo la batteria con un phon, ad esempio, possiamo notare come la barra di test si colori anche senza aver premuto i pulsanti, come potete osservare nel video che accompagna questo articolo.

Perché l’indicatore di carica delle pile è scomparso

Come mai una funzione così semplice da usare e comoda non si è diffusa a tutte le batterie e a oggi anzi, è scarsamente usata? In realtà non è chiaro definire una motivazione per cui non si siano diffuse. Possiamo però ipotizzare che, semplicemente, il gioco non valga la candela. Per quanto semplice, l'aggiunta del test si traduce in un costo maggiore per la batteria in vendita: non a caso, oggi questa tecnologia si trova solamente in alcune batterie "premium", anche a decenni dalla scadenza dei due brevetti.

Sicuramente la "guerra di brevetti" tra Duracell e Energizer, non ha aiutato la diffusione di questo sistema. Il primo ad essere depositato fu quello di Burroughs/O'Kain, depositato nel 1991 e dato in licenza alla Energizer, ma, si pensa a causa di disattenzione dell'ufficio brevetti, pochi mesi dopo sempre nel 1991 la Kodak riuscì comunque a registrare la sua versione del test, poi utilizzato dalla Duracell. Nel 1996 entrambe le aziende decisero di lanciare i prodotti sul mercato, nonostante il rischio di conseguenze legali dovute alla similitudini tra brevetti. Conseguenze legali che non tardarono ad arrivare e, come apprendiamo dal Wall Street Journal, ad avere la meglio furono i due inventori Borroughs/O'Kain che per primi avevano depositato il brevetto.

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